CAP. I (seconda parte)

CAP.  I  (seconda parte)

Erano trascorsi due mesi dal viaggio in Egitto e c’erano ospiti, quel giorno, a casa del professore e la converazione era animata ed appassionata.
“In altre parole, comprimere un’ora in un secondo.”
L’ospite si portò la sigaretta alla bocca con gesto meccanico; la sigaretta era spenta e un bel cartello, molto chiaramente riportava:”non fumare”.
“Di più! –  spiegò il professore – Di più! E’ comprimere un’ora in un decimo di secondo.”
“Una macchina capace di realizzare un miliardo di LIPS… è davvero un progetto molto ambizoioso.”
“Certo! – esordì Dario, c’era anche lui – E con simili prestazioni sarà possibile ottenere risultati strepitosi in ogni campo. Quello più importante è la memoria: una capacità di memoria che permetterà risposta ad ogni quesito, permettendo di attingere direttamente all’intera conoscenza umana.”
“Suggestivo! – replicò l’uomo – ma il traguardo…”
Costui era un uomo non più giovane. Vestiva di blu e grigio, a quadri; un abito dal taglio giovanile che rendeva meno severa l’espressione del suo volto. Sui cinquant’anni, stempiato, brizzolato, naso largo e carnoso, bocca larga, denti protesi e grossi; le orecchie, però, erano piccole e un po’ piatte e stonavano con le proporzioni del capo e della faccia.
Se è vero che ognuno di noi ricorda le sembianze di un animale, quel volto proteso in avanti, dalla radice del naso al mento, ricordava una testa di cavallo… ma molto simpaticamente.
“Il traguardo? – spiegò il professore – Non troppo lontano… forse due o tre anni…”
“Non le fa impressione una macchina con spetti quasi umani?” replicò l’altro.
“Si rassicuri, signor Lamberti. – sorrise il professore – Nessuna macchina avrà mai capacità umane. Non si lasci trasportare da certa letteratura e certo cinema…”
“Una macchina è capace solo di eseguire ordini con velocità e precisione. .. Nulla di più!”
L’attenzione di tutti si spostò sull’uscio e sulla persona che stava facendo il suo ingresso e che disse subito, in tono di scusa:
“Scusate!… Non volevo intromettermi nei vostri discorsi.”
“Vieni avanti, ragazzina. – sorrise l’uomo in grigio – Hai detto una cosa molto giusta!”
“Questa ragzzaina è mia figlia. – disse il professore – Vieni, Emma. Vieni a salutare il professor Lamberti.” e sul suo volto comparve un’espressione di paterno orgoglio.
Emma avanzò nella stanza.
“Siedi con noi e concludi il tuo pensiero.” sorrise ancora Lamberti.
“Grazie! – Emma sedette – Dicevo che la macchina fa solo quello che le viene ordinato… E’ vero – aggiunse  - che negli ultimi tempi sono stati creati linguaggi evoluti… quasi umani… Dialogare con un computer, però, non è poi così complicato! – il professore fece un cenno affermativo col capo e lei continuò –Il linguaggio LOBO, ad esempio, è stato introdotto perfino nelle Scuole. Proprio questa mattina se ne parlava in classe. Credo che una  commissione parlamentare… crisi permettendo, ah.ah.ah… abbia preso in esame la possibilità di introdurlo in tutte le scuole italiane.”
“Sei molto informata.”
“Io continuerò gli studi di mio padre, signore.” sorrise Emma, poi si girò in direzione della madre che stava giungendo con un vassoio pieno di tazze fumanti e che salutò dicendo:
“Ho preparato della buona cioccolata.”
“Brava, mamma! – disse Emma, andandole incontro per prendere il vasoio e distribuire le tazze – Ahi, come scotta! – disse portandosi alle labbra una delle tazze – Però, è tanto buona!”
“Buona davvero! – si complimentarono tutti – Buona davvero!”
Piera Curti sorrideva contenta e soddisfatta.
“La macchina – chiese – sarà un giorno in grado di eseguire ordini mentali?”
“E’ il sogno dell’uomo moderno da quando questa corsa ha avuto inizio. – rispose il marito – Oggi il computer ubbidisce agli ordini più complicati, ma  non sarebbe in grado di rispondere al più semplice dei quesiti se non gli  si descrivesse nei minimi particolari quello che si vuole da lui.”
“Ubbidisce passivamente, dunque!”
“Le ultime ricerche sulle emissioni di onde cerebrali fanno ben sperare.” spiegò il professore, avvolgendo con uno sgurdo carezzevole la persona della moglie. C’era, tra i due, un’intesa perfetta, che traspariva da sguardi e gesti.
“Davvero? – domandò Piera Curti – Di che si tratta?”
“Secondo questi studi, – spiegò il professore – onde e radiazioni provenienti dal cervello vengono emesse prima ancora che la persona pronunci le parole che intende pronunciare. E’ stato anche scoperto che ad ogni parola corrisponde una radiazione diversa.”
“Ma allora… - osservò la donna – In questo modo si possono risolvere i problemi dei sordomuti.”
“Molto è stato già fatto. – spiegò lo scienziato – e molto si farà ancora.”
“E’ una ricerca così affascinante! – interloquì Dario Cardiff – Tanto che null’altro è ugualmente affascinante ed entusiasmante!” continuò, lasciandosi trasportare dall’entusiasmo.
“Dimentica le stelle, Dario.” replicò Emma.
“E’ vero! – disse suo padre – La nostra Emmolina ama i computer quanto le stelle.”
Le sorrisero tutti.
“Adesso, però, devo tornare in camera mia. – Emma rispose al sorriso – Domani ho un compito di matematica.” spiegò, alzandosi e salutando,  poi  si allontanò, seguita da sguardi sorridenti e compiaciuti.