Capitolo II (seconda parte)

Capitolo  II   (seconda parte)
Se Emma avesse potuto vederlo, avrebbe stentato a riconoscere il ragazzo dall’aspetto regale che le era apparso sul video, nel ragazzo che stava percorrendo una stradina che correva verso la periferia della città, con i fianchi coperti da un breve perizoma.  La figura era armoniosa e prometteva per l’età matura un fisico saldo e muscoloso.

Aveva lasciato le mura interne della città e stava dirigendosi verso i quartieri poveri.
All’interno di quelle mura, templi, palazzi e ricche dimore splendevano di ricchezza ed opulenza, ma all’esterno, capanne e modeste abitazioni indicavano un altro tenore di vita: uno stridore netto e privo di qualunque eccezione.
Quartieri polverosi si affacciavano sulle rive del Nilo segnati da stretti vicoli. Qui viveva ogni sorta di gente: operai, soldati, pescatori, gabellieri e perfino qualche medico per gente di poche risorse.
Quei quartieri ospitavano anche taverne e Case di Piacere, queste, però, frequentate da tutti: ricchi e poveri.

Proprio dietro una di queste Case, il vecchio Pahor teneva i suoi corsi di Teologia, lettura e scrittura; all’aperto, in un un praticello davanti alla sua casetta e setto o otto allievi lo scoltavano attentamente. Stavano seduti per terra, a circolo, intorno a lui che sedeva su uno scanno, tenendo in mano due o tre tavoltte d’argilla.
Uno di quei ragazzi era Ramseth.
Il vecchio scriba doveva conoscerlo molto bene ed aveva per lui un rispetto quasi reverenziale, ma lo trattava come gli altri, dal giorno in cui il ragazzo gli aveva detto:
“Riserba il tuo onore, di cui ignoro la ragione, per quando sarò diventato il più grande  astronomo d’Egitto. Per adesso sono soltanto un ragazzo in cerca della verità!”
In verità, il vecchio prete sapeva bene cosa volesse dire quel “ricercare la verità”: interminbili dispute teologiche  a cui il ragzzo lo sottoponeva con assalti di domande pungenti come il pungiglione delle api del suo alveare. Unico in tutto il quartiere e il cui miele attirava i suoi allievi forse ancor più che la voglia di sapere.
Il vecchio attese la prima domanda, ma questa non venne. Anzi, era chiaro che il suo discepolo preferito avesse lo spirito e la mente presi da altre cure, tanto da spingerlo ad alzarsi e ad allontanarsi senza dire una sola parola, seguito dal profumo di ciambelle appena fritte che una donna stava portando al gruppetto.

Quello delle ciambelle era un odore caratteristico di quel quartiere, assieme all’odore di vino, proveniente dalle taverne e di pesce, di cui erano sature le vie.
Quando, però, una delle tante porte delle mura che separavano quel quartiere dalla zona dei ricchi si apriva, allora arrivavano profumi di mirra, incenso, frutta e lavanda e si disperdevano lungo i moli a cui erano attaccate le barche dei pescatori e tra le loro capanne.

Ramseth lasciò quel posto e tornò sui suoi passi, fino alla porta attraverso cui era passato prima. Trovò ad attenderlo la lettiga con i due portatori neri: due giganteschi nubiani.
“Al Grande Tempio.” disse.

Il Grande tempio era il Tempio di Ammon, sulla riva orientale del Nilo.
Tebe, come tutte le città egizie, era divisa in due: la Città dei vivi sul versante orientale del fiume e quella dei morti, sull’altra riva.
Sia la Città-dei-Vivi che la Città-dei-Morti erano ricche di splendidi, colossali monumenti. Più a nord, c’era il Santuario di Karnak, con i Templi per onorare Ammon, Osiride, Iside e Ptha; più discosto c’era il Sacro Recinto del Dio-guerriero Montu, dalle sembianze di Falco Divino. A sud c’era il Santuario della dea Mut, Sposa di Ammon.
Il Santuario di Luxor, con il Grande Tempio e il Santuario di Karnak, erano collegati dalla Strada Sacra, una via ricoperta da lastre di pietra provenienti dalle cave dei monti circostanti, le stesse in cui erano scolpite le colossali statue: quasi ottocento arieti seduti che stringevano tra le zampe posteriori un statua del Faraone Amenopeth il Terzo. Attorno a questi complessi colossali, si  radunavano templi minori ed abitazioni.
Sull riva occidentale, invece, proprio di fronte ai due grandi Santuari, si stendeva la Città-dei-Morti con i numerosi Templi funerari.

La lettiga attraversò alcune strade, fiancheggiò viali alberati, case e giardini, poi la tendina si scostò e il ragazzo ordinò ai portatori:
“Fermatevi! – escese dalla lettiga e disse – Portate a casa di mia madre il prete Pahor.”
I due portatori si inchinarono fino a toccare con le mani le ginocchia, la schiena madida di sudore, poi risollevarono la lettiga, fecero un giro a semicerchio e tornarono indietro.
Ramseth si incamminò a piedi; proseguendo, però, si allontanò dal centro e prese la direzione del fiume.
Il Nilo  scorreva lento e maestoso, regale, tra i canneti, giuncaie e alti fusti di palme.
Ramseth si fermò  a guardare le barche.
Cercava un danabian, imbarcazione dalle veli di pelli.
“Osorkon si è spinto fino alla grande isola.” pensò a voce alta.
Uno stormo di uccelli acquatici si levò in volo ed alcune anatre starnazzarono; dietro di loro era comparso un coccodrillo.
Ramseth rimase a guardarlo mentre afferrava per un’ala una di quelle grasse malcapitate. Allontanò lo sguardo dalla scena; laggiù, sull’altra riva, il sole bruciava sulla Città-dei-Morti.
Cespugli odorosi di muschio lo invitarono; sedette e chiuse gli occhi; da lontano gli giungevano striduli versi di uccelli, rumori di remi e le voci dei pescatori.