Quel pomeriggio al parco

Quel pomeriggio al parco

Uno dei battenti del portone del Sant’Anna, l’ospedale ginecologico della città, si spinse in avanti e la ragazza ne uscì. Con passo veloce discese i tre gradini e si allontanò dietro l’angolo senza voltarsi nemmeno una volta. Era molto giovane: quindici o sedici anni, carina, un po’ pallida e una grande borsa in mano.  Una macchina le andò incontro; ne discese una donna.
“Sei già uscita? - la donna le tolse di mano la borsa con gesto premuroso – Arrivare prima è stato impossibile… Ma perché non hai aspettato in sala d’attesa?”
“Non volevo restare un istante di più in quel luogo.”
La ragazza prese posto sul sedile con gesto stanco, poi si lasciò andare sul poggiatesta; l’espressione del volto era un po’ triste.
“Sei pentita?” fece l’altra.
“Pentita?... No!” rispose la ragazza.
“Credevo lo volessi, questo bambino, Luisella. Non ti capisco.”
“Non c’è nulla da capire!”
Luisella sistemò con cura quasi meticolosa le cose che le erano servite in clinica; il lembo di una camicia si ostinava ad uscire fuori e lei lo sistemò quasi con stizza. Era visibilmente nervosa.
“Ormai… aspettavamo tutti Ornella.” riprese l’altra.
“Ornella non arriverà mai. Non nascerà più. Non voglio un figlio senza padre. Non più!”
“Ma…”
“… e non voglio neanche più parlarne.”
Il tono non ammetteva repliche e l’altra tacque.

 

Estate di dieci anni dopo.
Il parco del Valentino era verde e rigoglioso in quella stagione e un’arietta piacevolissima sfiorava il volto della giovane donna. Molti bambini, in bicicletta o dietro palloncini e più in là, ragazzi che giocavano a pallone: le loro grida erano piene di vita. Melodie mozartiane provenivano da altoparlanti collocati sui rami più alti di pini ed abeti collegati ad un apparecchio radio-trasmittente in sintonia con lo zampillio della fontana luminosa. Il carretto del gelataio quasi la sfiorò.  Luisella si fermò, guardò l’uomo col camicione bianco, poi ordinò:
“Crema e cioccolato”
L’uomo del carretto riempì un cono, glielo porse e ritirò del denaro. Era un bel cono, invitante e colorato e Luisella fece l’atto di portarlo alle labbra, ma due occhini azzurri, sgranati sul suo gelato, la sorpresero.
“Ehi, piccola. – disse – Vuoi un gelato?”
La bambina non rispose, ma fece un cenno affermativo col capo e Luisella richiamò il gelataio. Era una gran bella bambina davvero. Occhi pungenti e nerissimi, nasino all’insù, espressione birichina e capelli alzati sulla sommità del capo in un nodo spiritoso; il sorriso era irresistibile.

 

“Come ti chiami?” domandò la donna.
“Desirée. Mi chiamo Desirée.”
“Crema e cioccolato anche per Desirée, capo. – un sorriso stese le labbra della giovane – Per la nostra piccola Desirée.”
La piccola ebbe il suo gelato.
“Grazie.” disse, sollevando lo sguardo in quello di Luisella che si sentì immediatamente presa da uno strano turbamento: conosceva quello sguardo, conosceva quel volto, quei capelli e perfino quella voce. Sentiva qualcosa come un lieve malessere fisico; al contrario, lo spirito pareva trarne un impensato e inspiegabile piacere, come se la piccola sconosciuta fosse in realtà una persona cara che rivedeva dopo lungo, lunghissimo tempo.

“Ti piacciono i bambini?” la sorprese la piccola.
“Certo. Mi piacciono molto.”
“Allora mi racconti una favola?”
“Ok! – sorrise la giovane – Sediamoci su quella panchina.”
“No. No! Sediamoci sul prato. Mi piace camminare sull’erba.” Spiegò la piccola mentre leccava golosa il suo gelato.
“Ma guarda – tornò a sorridere Luisella – Anche a me piace camminare sull’erba.”
“Lo so! Ma ora, me la racconti questa favola?”
Sedettero per terra e la piccola appoggiò i gomiti sulle ginocchia della giovane che cominciò:

“C’era una volta una bella bambina di nome Desirée…”
“Si chiamava come me?” la interruppe Desirée.
“Come te! – Luisella le accarezzò i capelli; provava un piacere infinito nell'accarezzare quei ciuffetti annodati. Non accadeva così  nemmeno con i bambini di sua sorella, che pure adorava -  Aveva anche i capelli come i tuoi… però…”
“Però!” incalzò la piccola.
“Però, non tutte le ciocche erano docili e tranquille. Ce c’era una particolarmente vivace ed irrequieta che si era stancata di stare sulla testa di Desirée. Un giorno, mentre la piccola era al mare con la mamma, si allontanò dalle compagne e chiese ad un’onda di portarla con sé.”
“Allora? Cosa accadde?” incalzò la bambina.
“L’onda la portò con sé in alto mare, ma dopo un po’, la ciocca cominciò ad annoiarsi e così, montò su un’altra onda e poi un’altra ancora. Attraversò mari ed oceani e ogni volta che passava attraverso uno stretto o un canale, si trovava in un mare con un nome diverso. Le onde si salutavano con un ciao e correvano via scaricandola dall’una all’altra. Un giorno si trovò in un posto tutto bianco. Era gelata e batteva i denti dal freddo. L’onda che l’aveva condotta fin laggiù, le spiegò che quello era il Polo Nord.”
“Oh! – fece Desirée – Che cosa fece, allora, la ciocca ribelle?”
“Chiese all’onda di riportarla indietro.” rispose la giovane con un sorriso.
“E l’onda la riportò indietro?”
“No! Le disse: guardami, sto diventando di ghiaccio anch’io, ma… guarda laggiù. Vedo un rompighiaccio. Forse quello potrà aiutarti.”
“Il rompighiaccio l’aiutò?”
“Sì! – assentì Luisella, poi riprese – Quando, però, la nave fu in vista del suo caldo mare, la ciocca non vi trovò più Desirèe, ormai tornata a casa dalle vacanze.”
“Ma allora… questa fiaba finisce male?” replicò la bambina.
“Già!” fece Luisella.
“La mia mamma cambiava sempre il finale di una fiaba, se era triste… - la piccola si schiarì la voce – Ora, però, devo andare. La mia mamma mi aspetta. Si è fatto tardi.” disse alzandosi;  Luisella la imitò, poi le fece una carezza, prima di allontanarsi.
La donna  non fece che pensare a quell’incontro ed a scavare nella mente per ricordare dove aveva visto ed a chi assomigliava quella bambina.
Di ritorno dall’ufficio, il giorno seguente, se la trovò proprio sotto casa che stava ad aspettarla con una grossa margherita in mano.
“Ciao, Luisella.”  salutò la bambina andandole incontro.
“Ciao, Desiréè, ma che cosa ci fai qui?”
“Ti stavo aspettando. – sorrise la piccola tendendo il fiore – So che ti piacciono le margherite.”
“Davvero?... E dimmi, come hai fatto a sapere dove abito?”
“Ho trovato questo.” rispose la piccola tendendo un accendino.
Luisella lo guardò stupita. Quell’oggetto, che aveva smarrito da settimane e cercato invano dappertutto, era un ricordo del passato.
“Ho letto qui il tuo nome e il numero del tuo cellulare. –  la piccola indicò l’incisione sul retro dell’oggetto  - L’ho trovato per terra ieri e volevo portartelo subito, ma tu eri già lontana.”
“Sapessi per quanto tempo l’ho cercato. – sospirò Luisella – Forse l’avevo dentro questa borsa e non lo sapevo.”
“Te lo ha dato Mario, vero?”
“Mario? Come fai a sapere di Mario?”
“Me lo hai detto tu ieri.”
“Davvero? Sai che non me ne ricordo. – la piccola fece seguire una scrollatina di spalle; la donna  continuò – Vieni di sopra? Ti offro una bella fetta di torta.”
“A due colori?” la sorprese ancora la piccola.
“Con cacao?... Certo. Come fai a saperlo?”
“Mi hai detto tu che ti piace la torta a due colori. Non ricordi?”
Entrarono nel portone e raggiunsero l’appartamento di Luisella; qui mangiarono la torta, bevvero cioccolata calda, risero, scherzarono e raccontarono fiabe, poi la piccola disse di dover andare via, ma promise di tornare ancora.
Il giorno successivo tornò e il giorno dopo anche e così per tre settimane  e più. Insieme andarono a cinema, a mangiare la pizza e il gelato, poi un giorno Desirèè espresse il desiderio di andare al Luna-Park.
Il Luna-Park le accolse, il giorno dopo, nell’assolato pomeriggio domenicale, pieno di musica ed allegria. C’erano tanti giochi, tanti premi da vincere, tante emozioni da provare e poi, la foto. Ad ogni freccia di plastica lanciata che toccava l’obiettivo, scattava una foto pronta in pochi secondi. Fu una fotografia bellissima: i loro volti vicini, gioiosi e sorridenti.
“Guarda come ci somigliamo, noi due.” osservò Luisella.
“E’ proprio vero!”
La somiglianza era notevole.

Le passeggiate al Valentino, le scorpacciate di torta al cacao, i giganteschi coni di gelato alla crema e cioccolato, i regalini, poi, un giorno, Luisella preparò una sorpresa per la piccola amica e la invitò a casa.
Desirèe arrivò con la solita margherita.
“Vieni avanti, tesoro. Ho una sorpresa per te.”
“Ne ho anch’io una per te.” disse la piccola.
“Davvero? Di che cosa si tratta?”
“Prima la tua.”
“Ecco la mia sorpresa.” disse la giovane tendendo una bambola; la piccola ebbe un’esclamazione  di sorpresa:
“Oh… ma questa è la mia bambola. E’ Desirèe, la mia bambola. Ha perfino lo stesso vestito.”
“Davvero? – stupì Luisella – Questo vestito è il completino che indossavo il giorno del mio battesimo e questa bambola mi è stata regalata dalla mia mamma  il primo giorno di scuola. Lei stessa l’ha cucito… Hai detto che la tua bambola si chiama Desirèe?”
“Come me.” assentì la piccola.
“Anche questa bambola si chiama Desirèe ed adesso ne avrai due… due gemelle. - sorrise la donna, poi domandò - E la tua sorpresa?”
“Più tardi. – rispose con accento di mistero la bambina – Prima andiamo al parco del Valentino.”
“Certo. Prendi la bambola con te.”
Desirèe prese la bambola ed uscirono di casa.
Il Valentino le accolse come ogni giorno; cercarono l’ombra di una pianta e sedettero contro il tronco. La bambina appariva taciturna; insolitamente taciturna.
“La tua sorpresa?” chiese Luisella.
“La mia non è una bella sorpresa. – il tono della voce di Desirèe era triste e quasi contrito – Io devo partire e forse non ci vedremo mai più.”
“Ma che dici? – Luisella ebbe come l’impressione di aver ricevuto un pugno in pieno stomaco – Devi partire? E dove vai?... la tua famiglia si trasferisce altrove? Non ti ho mai chiesto della tua famiglia. Non so nulla di te… La tua mamma ti lascia andare in giro da sola…”
“Ma io non sono sola. – la interruppe la piccola – C’è anche la mia mamma, qui al parco.”
“Ah, sì? E dov’è?”
“E’ là!”
Desirèe indicò una giovane donna in evidente stato di avanzata gravidanza. Era piuttosto giovane e carina, capelli lunghi e sciolti sulle spalle, occhi scuri.
“La mia mamma ti assomiglia molto.” disse ancora la piccola.
“Davvero? La tua mamma è molto carina. Chiamala. Non deve averti vista.”

“Lei non  mi conosce ancora.” la sorprese per l’ennesima volta la piccola.
“Ma che dici?”
“Sicuro! Io sono la bambina che porta in grembo e lei sarà la mia mamma. Lei ama molto i bambini e da tanto desidera averne uno e… e io sto per arrivare.”
“Desirèe… ma che sciocchezze vai dicendo? – la donna tese una mano per una carezza, mentre una improvvisa inquietudine le afferrava lo spirito – Quante fantasie in questa testolina.”
“Tanto tempo fa io avevo scelto te: anche tu mi volevi. – una pausa; angosciosa soprattutto per Luisella – Avevi preparato anche il corredino: scarpine gialle, abitino bianco… Avevo già perfino un nome: Ornella! Mi piaceva il nome che avevi scelto per me, ora mi chiamerò Silvia…”
“Desirèe…” tentò di interromperla la giovane; l’altra proseguì:
“Ho sofferto quando mi hai mandata via. Avevo paura che nessuna mamma mi volesse… poi è arrivata lei. – la piccola indicò la giovane, che stava accarezzando un bimbo – A lei piacciono i bambini.”
“Desirèe… stai farneticando.” gemette Luisella.
“Ma non capisci? Io non mi chiamo Desirèe. Desirèe è il nome che hai voluto darmi tu.  Desirèe è… è il tuo desiderio di avermi di nuovo. Io sono Ornella… Io ero Ornella… la tua Ornella…”
Un travaglio immane, seguito da un dolore quasi fisico, improvviso ed insopportabile investì la donna in ogni fibra del corpo, come una scarica elettrica. Poi, la sensazione che la terra le mancasse sotto i piedi, lasciando la mente di una lucidità impressionante, quasi che lo spirito godesse della sofferenza del corpo.
“Io sono Ornella – continuava la voce della piccola – e tu hai riconosciuto subito i miei occhi…”
“Oh!” gemette ancora la giovane, ma la piccola, implacabile:
“Non mi hai voluta ed io sono tornata lassù. – continuava - Ora un’altra mamma mi aspetta e io sarò la sua bambina… Devo andare.”  e con queste parole  le dette le spalle e fece  qualche passo.
La bambola era rimasta per terra, dove un attimo prima stava seduta lei e la voce supplice di Luisella la seguì:
“Aspetta, ti prego. Aspetta… Ornella…”
“Devo andare. – rispose la piccola senza voltarsi; la sua voce era turbata. Così parve a Luisella – Ho imparato a volerti bene in questi giorni, ma… non si può. Non si può tornare indietro.”
“Ornella!” gemette ancora la giovane, ma la sua voce restò inascoltata: DesIrèe era scomparsa.
“Si sente male, signora?” qualcuno le si avvicinò premuroso; Luisella cercò di riprendere il controllo:

"Nn é niente. Grazi! Non é niente!" e si allontanò.