ROMOLO.... I° Re di Roma

ROMOLO....   I°  Re  di  Roma







ROMOLO....  Primo Re di Roma


Tutti gli scrittori latini hanno cercato di coprire la distanza cronologica esistente fra l'arrivo di Enea in terra laziale  e la fondazione  della  città di Roma: era indispensabile fornire il primo Re di Roma di mitologici natali.
La nascita di Roma é stata fissata al 21 aprile del 753 a.C. ma si tratta di una data inesatta su cui ancora oggi si continua a discutere. La fondazione della Città Eterna non fu un evento improvvisato, bensì un processo espansionistico graduale, caratterizzato dalla presenza di  numerosi borghi, ognuno dei quali rappresentava un buon mercato di scambio, che finirono per confluire in un'unica "unità urbana".
Molta gente, latini, sabini, etruschi, ecc.. era affluita alle foci del Tevere, cosicché ai Latini dovette sembrare una buona decisione quella di fondare una nuova colonia nella zona dei Sette Colli, proprio  davanti all'isola Tiberina ed al porto fluviale che si erano costruiti gli etruschi (peraltro bene attrezzato).

La leggenda affida ai due divini gemelli l'impresa e ci dice che fin da subito  fra i due  si accese aperta rivalità con tanto di seguito: i Fabii di Remo e i Quintilii di Romolo.
Ci dice anche quanto distanti fossero le loro posizioni e tendenze politiche: spiccatamente etrusche quelle di Romolo e visceralmente latine, invece, quelle di Remo.
Di diverso parere,  i due fratelli, furono anche nella scelta del posto su cui edificare la città: Remo propose l'Aventino, ottima postazione per fronteggiare le velleità etrusche; Romolo,  invece, scelse il Palatino, con il pretesto, come riporta Dionigi:
     "... per la fortuna che  quel luogo aveva portato ai gemelli che vi erano stati allevati..."
Remo occupò subito l'Aventino, sostenuto dai Fabi e da Faustolo e Plistino, i gentori adottivi;  Romolo, da parte sua, occupò il Palatino con i suoi Quintili.

Paliliae erano le Feste in onore di Pale, Dea degli armenti. Si celebravano il 21 aprile nei pressi del Palatino, consacrato proprio alla Dea e da cui il colle aveva preso il nome.
Per l'occasione vi era affluito un gran numero di persone e animali e i due fratelli,  di comune accordo, avevano fissato quella data per dare inizio ai lavori per la  fondazione della propria città.
In verità, Remo s'era messo già al lavoro e il fratello si accingeva a farlo, cosicché, tutta quella gran massa di gente si trovò ad assistere alla competizione dei due fratelli.
Inevitabile che si creassero tensioni e confusione e si finisse per parteggiare per l'una o per l'altra delle due fazioni.  Le forze, però, erano pari, anche perché Romolo non aveva disdegnato, incoraggiandolo perfino, l'accesso a stranieri di ogni provenienza: ladri, schiavi fuggiaschi e chiunque altro si  era  presentato.

Remo prese a tracciare la cinta di mura di quella che doveva essere la sua città e che si sarebbe chiamata Remonia, ma  Romolo non tardò contestarlo  e mandò ambasciatori ad AlbaLonga a chiedere disposizioni a nonno Numitore, il Re.
Questi rispose consigliando di affidarsi a responsi divini per risolvere  la  faccenda e cioé, dice Dionigi:
"... sarebbe stato Re della nuova colonia chi avesse visto per primo gli uccelli del buon augurio..."
Che sarebbero i famosi avvoltoi.
Si stabilì il giorno, si celebrarono riti propiziatori e si ritrovarono tutti al centro della Valle Murcia, nel più assoluto silenzio, aspettando che sull'Aventino, dove s'era piazzato Remo oppure sul Pallatino, occupato da Romolo, arrivassero gli avvoltoi.
Come in ogni "partita" che si  rispetti, le versioni non furono concordi e nemmeno  lo  fu  il   tifo.
Gli avvoltoi, raccontano le cronache (così come le conosciamo ancora oggi) , arrivarono per primi sull'Aventino ed in numero di sei e già Remo esultava. Giustamente!
Ma ecco, a dire dei sostenitori di Romolo, arrivarne dodici sul Palatino.  
Con un po'  di ritardo, certo, sostennero gli amici, ma in numero maggiore.
Vincitori tutti e due, dunque!
No! Numitore era stato ben chiaro: sarebbe diventato Re soltanto il primo che avesse avvistato gli avvoltoi. E il primo era stato Remo.
Ma non é tutto qui!
In tutta la faccenda l'inganno di Romolo era sfacciatamente palese: egli aveva mandato messaggeri al fratello col falso messaggio di averli già avvistati.
Riferisce Plutarco:
"... come Remo venne a conoscenza della frode del fratello, si adirò..."
Insomma, la nuova città già fondava sull'inganno.

 


Nonostante le contestazioni, Romolo cominciò a porre in atto tutte quelle cerimonie che precedevano l'inizio della fondazione di una città; dall'alto del colle dell'Aventino, Remo trattenendo la collera, assisteva alla scena e con lui Faustolo e la sua gente.
Seguendo il costume etrusco, Romolo, con un lembo della toga calato sul capo e sotto lo sguardo corrucciato del fratello, tracciò nel terreno il primo solco; guidava un toro e una giovenca aggiogati all'aratro e lo seguivano i suoi uomini, che rovesciavano  verso l''interno,  secondo l'usanza etrusca,  la terra rimossa.
Remo assitette per un po'  alla scena e quando la misura fu colma, calò giù dal colle insieme ai suoi e sotto l'empito di una collera legittima ed intrattenibile, attraversò il solco tracciato dal fratello.
Stramazzò immediatamente al suolo con il cranio fracassato da un colpo di zappa.

Ancor oggi i pareri su chi inferse quel colpo sono discordi: fu Romolo oppure uno dei suoi?
Ecco cosa dice Plutarco al riguardo:
"... chi lo aveva colpito approfittando del disorientamento generale per darsi alla fuga, scese  a precipizio dal colle, passò a nuoto il fiume e riparò in Etruria."
In quel "disorientamento" erano provvidenzialmente  caduti anche Faustolo e Plistino, ultimi testimoni di tutta la faccenda.
In realtà, su quella mano assassina si discusse fin da subito e si continuava a farlo anche a quasi novecento anni di distanza da quei fatti, cioé ai tempi di Plutarco, il quale chiaramente, ma diplomaticamente denuncia:
"... che ancora oggi si discute su chi sia stato l'assassino, ma la maggior parte della colpa viene fatta ricadere non su Romolo, ma su altre persone.."
Personalmente oppure su commissione, si trattava pur sempre di fratricidio.

E così Romolo fondò la sua città e si fece Re di quella città.  Il suo regno all'epoca contava solo due o tremila sudditi; quasi tutti maschi. Ma durerà ben 38 anni.
Gli esordi, però, come  ben sappiamo, non furono né felici né facili.
Ripetutamente il   Re della nuova città  mandava messaggeri ed ambasciatori presso le vicine città in cerca di alleanze e donne (da sposare, ovviamente) e ripetutamente ogni richiesta veniva disdegnata: nessuno voleva allearsi  o  imparentarsi  con gente fratricida, fuggiasca e  strana.
Come finì é noto a tutti: Romolo e i suoi, le donne se le presero con la forza.
Per fortuna tutto finì bene... a parte lo stesso Romolo che per ben cinque anni dovette "accomodarsi" sul trono di Roma assieme a Tito Stazio, Re dei Sabini, che lo aveva battuto, sia pur con la scusante delle Porte aperte da quella "collaborazionista" di Tarpea, che gli stessi Sabini punirono seppellendola sotto i loro scudi.
Morto Tazio, assassinato, naturalmente, le cose andarono meglio per Romolo che poté finalmente regnare: fino a quel momento aveva fatto  solo da "spalla" al vero Re.

Le condizioni poste da Tito Stazio, infatti, erano state davvero pesanti sia in  campo civile  che in campo militare e soprattutto in campo religioso.
Il Senato raddoppiò (con il partito di Tito in testa e ben compatto), l'esercito si modernizzò (con armamento ben più efficace) e la Religione si uniformò (con qualche comprensibile attrito per la supremazia, fra le Divinità).
Anche sul territorio i due Re erano vissuti da "separati": il Palatino e il Celio a Romolo, Campidoglio e Quirinale a Stazio.
La morte di Tito Stazio, però,  risolvette tutto e la vera leggenda di Romolo, forse, comincia proprio adesso,

Consolidato il mito della nascita divina e della leggendaria fondazione della città, molti furono gli avvenimenti e le opere a lui attribuiti  che possono ritenersi  storici.  
A lui si deve la divisione della città in Montes e Pagi, ossia villaggi in città e quelli al di fuori e successivamente inglobati; un'altra divisione che interessò la città appena sorta fu quella dei Vici, corrispondenti ai quartieri. Secondo la tradizione, inoltre,  egli divise la città in tre tribù: Ramsense o Romani, Titienses o Sabini(dal loro re Tito Stazio) e Luceres, ossia etruschi, albani ecc.. a loro volta divise in dieci Curie di dieci Centurie o Gens divise, queste ultime, in Famiglie.
Quanto al cerimoniale, pubblico e religioso, vi era in esso netta inflenza etrusca, come la Sella-Curulis, il sedile del Re o la Toga-Praetexta dei Magistrati e nobili, vietata a servi e stranieri.
Anche l'istituzione del Corpo di Guardia del Re, i Littori, era di provenienza etrusca.

Gli avvenimenti successivi alla morte di Tito Stazio riguardarono  le guerre condotte contro le città vicine: Fidene, ma soprattutto Veio; città etrusche a cui probabilmente Romolo non avrebbe voluto muovere guerra, se Tito Stazio non ne avesse creato le premesse e se il Senato, in maggioranza di etnia sabina, non ve l'avesse sollecitato.
La presa di Fidene fu un capolavoro di tattica guerresca che bisogna riconoscergli: "guerra lampo", la definiremmo oggi  e gli guadagnò il favore del popolo, soprattutto latini e romani.
Costretta Veio a ritirarsi ed a  lasciare molti prigionieri nelle sue mani, Romolo poté finalmente celebrare il suo trionfo per le strade della città.
Commise, però, l'imperdonabile errore di concedere ai vinti una pace troppo lieve: lasciò liberi molti prigionieri senza riscatto e senza consultarsi con il Senato; concesse a molti di essi di restare a Roma con incarichi di prestigio e, soprattutto, stipulò con Veio una tregua di cento anni.
Molti gli storici che sono concordi nell'affermare che proprio questa decisione sia all'origine della causa della sua morte, oltre al fatto che, come disse Dionigi:
"... sembrava diventato un capo arrogante e tracotante, che governava non più da Re, ma da Tiranno..."

Come fu ucciso?
Leggenda e verità.
Così come leggendaria era stata la nascita, altrettanto, per il popolo, soprattutto romano e latino, doveva essere la morte. Lo si fece "ascendere" al cielo e gli si donò l'immortalità.
Al popolo si disse che si trovava in Campo Marzio a presiedere una rassegna militare  quando  si scatenò un violento temporale e una nube di fuoco lo rapì. Marte in persona, si disse, era sceso a rapire il figliolo divino per portarlo in cielo.
Qualche riserva deve esserci stata, naturalmente, soprattutto da quella parte del popolo che lo aveva sempre seguito.  Ecco, secondo Tito Livio, come deve essere stata risolta la faccenda.  Riferendosi al senatore Giulio Proculo, che annunciava al popolo una miracolosa apparizione dopo la morte, ecco il racconto dello storico:
"... Romolo, il Padre di questa città, stamane all'alba é calato dal cielo e mi é apparso...   Io rimasi immobile e pieno di timori...   - e prosegue   - Egli mi disse: va. Annunzia ai romani che gli Dei vogliono Roma capo del  mondo; che curino l'arte militare e sappiano e anche ai posteri tramandino  che nessuna umana potenza potrà resistere ai romani....  Ciò detto risalì in alto... - e  infine conclude - Io sono il vostro nuovo Dio-Quirino."
Questa la leggenda, a cui i romani, soprattutto la plebe che a Romolo era sempre stata  affezionata, credette subito e volle continuare a credere.
La verità!
Sono sempre gli storici a rivelarcela. Ce  la rivela Dionigi:
"I patrizi cospirarono contro di lui e decisero di ucciderlo: avrebbero compiuto il delitto nel Senato, fatto a pezzi il cadavere e si sarebbero allontanati ciascuno con il proprio pezzo sotto le vesti..."
Uno scenario davvero raccapricciante per una fine davvero ingloriosa, coperta da una apoteosi leggendaria costruita ad arte.