Letizia si allontanò verso l’interno della grande tenda, nella zona delle donne, dove Selima aveva riportato indietro la cassetta dei medicinali.
La cassetta era sparita.
Selima giurava di averla riposta là dove stava sempre, ma adesso non ve n’era traccia.
“Forse basterà il mio unguento a sanare la ferita della principessa.” interloquì Zaira alle loro spalle; in mano la ragazza recava un’ampolla dal color amaranto.
“E’ un unguento che ho portato con me dal Tempio. – disse e tutti tirarono un sospiro di sollievo che, però, si mutò in disappunto quando la ragazza l’aprì e fece seguire un esclamazione soffocata - Misericordia degli Dei!… l’ampolla è vuota. – la ragazza tese il contenitore aperto e vuoto – Guarda. … Guardate il suo prezioso contenuto… ahimè!… l’arsura l’ha evaporato.”
“Maledizione!” proruppe il grande predone.
“No! No! Non temere, Rashid. – lo rassicurò con un sorriso Letizia – Zaira conosce il segreto di questo unguento. Se partirete subito alla ricerca delle erbe necessarie per…”
La voce sconfortata di Zaira, però, smorzò immediatamente gli entusiasmi:
“No! – disse, facendosi avanti – Il catha edulis e l’acacia senna ed anche la dendron myria – spiegò con accento mortificato – crescono tra i monti Akhadar, assai lontano da qui: andare alla loro ricerca, tornare e farne fermentare le radici richiede molto tempo e… ed è proprio quello che manca a Jasmine… il tempo!” aggiunse, girandosi verso l’inferma, pallidissima, il bel volto madido di sudore gelido, sprofondato nel grande cuscino.
“Brucia! – proruppe Rashid – La sua fronte brucia di febbre…”
“Non… non preoccuparti… troppo, Rashid… - Jasmine respirava con affanno; cercò un sorriso con cui rassicurarlo e rassicurare gli altri – C’è … c’è ancora un .. rimedio…” suggerì, sempre con quel sorriso, sofferente ma rassicurante, capace di raggiungere i meandri più profondi dello spirito inquieto del grande predone.
“Quale rimedio, mio bene infinito?” domandò lui, con un nodo in gola, accarezzandola con le mani e con lo sguardo: il sorriso di lei aveva conservato tutta la dolcezza, ma lo sguardo era appannato ed adombrato, come lucernai ancora appesi alle porte di ruderi e rovine.
“Non… non resta che… cauterizzarla… cauterizzare la ferita.” suggerì lei.
“No! No! – inorridì Rashid; il pensiero tremendo di torturare la carne di lei così morbida e delicata, di deturparne la bellezza leggendaria – No!” fece cupo; Selima, alle sue spalle, era una sfinge.
“Non ancora!” la voce del piccolo Akim, proveniente dalla sala riservata agli ospiti, fece convergere gli sguardi da quella parte.
“Jasmine ha ragione! – riudirono la sua voce quasi priva di emozioni – Non resterà che cauterizzare la ferita se… - una brevissima pausa riempita dal silenzio più profondo e dal respiro altrettanto profondo del ragazzo che s’era fatto avanti - … se il mio tentativo dovesse fallire.” aggiunse nel tono più misterioso ed enigmatico che gli era familiare ed interrompendo in sul nascere la replica di Rashid che, tuttavia, domandò:
“Quale tentativo?”
Il ragazzo non rispose; scosse il capo dal grosso, coloratissimo turbante e tese la piccola mano bruna verso il contenitore che Zaira reggeva con entrambe le mani e con espressione sconfortata.
Akim lo prese e sedette per terra a gambe incrociate, poi, con gesto imperioso, comandò il silenzio.
Profondo come la profondità stessa del deserto il silenzio cadde intorno a lui e anche fuori della tenda, dove fu proibito qualunque rumore, cosicché il “mago” potesse concentrare tutte le forze sull’ampolla e il suo contenuto: era ormai chiaro a tutti qual era il tentativo cui si riferiva il formidabile fanciullo.
Evitando perfino di respirare, si immobilizzarono tutti come statue; solo gli sguardi scorrevano dall’ampolla al ragazzo, in attesa del miracolo.
Un tremito leggero cominciò ad attraversare le mani del piccolo Akim, perle di sudore vennero ad imperlargli la fronte; il sembiante tutto sbiancò, divenendo esangue e cereo.
Un’eternità!
Chi poteva misurare il tempo che passava?
Un violento scatto scosse d’un tratto il corpo del ragazzo, una specie di convulsione, poi Akim si lasciò cadere su un fianco, con la piccola mano tesa verso l’alto.
Fu Rashid a lanciarsi in avanti per primo per raccoglierla e evitare che la spossatezza del ragazzo la facesse cadere, poi accorsero tutti gli altri e fu Zairaa ad occuparsi di lui: gli deterse il sudore e gli dette qualcosa per fargli riacquistare le forze perdute.
Jasmine reagì al farmaco in modo sorprendente e quando, tre o quattro ore dopo, riapriva gli occhi, la febbre era completamente calata e le forze in parte riacquistate.
Seduto al suo capezzale, Rashid le accarezzava dolcemente la fronte e la massa setosa dei capelli ancora bagnati di sudore.
Li lasciarono da soli.
Lui la chiamò con i nomi più dolci e teneri e la sua bocca cercò la dolcissima curva, tra la nuca e il collo, che tanto lo inebriava. Il suo sguardo si tuffò in quello di lei che luccicava, verde e dorato, all’avvampare della luce del sole che penetrava dall’apertura della tenda; verde e limpido… troppo limpido per pensare ad un vaneggiamento, quando lei tornò ad accusare:
“Dov’è Selima? – domandò, tentando di sollevarsi su un braccio, ma ricadendo all’indietro – Voglio chiederle di persona perché mi ha conficcato quel pugnale nella spalla.”
“Selima?” fece lui di rimando, mostrando una faccia sinceramente stupita.
“L’ho già detto. E’ stata Selima ad aggredirmi davanti alla Fontana del Fico.” insistette lei.
“Non è possibile, tesoro mio. – le sorrise lui accarezzandole la guancia come si fa con una bambina spaventata – Selima era con me quando sei stata aggredita.”
“No!”
“Invece sì, mio tesoro! – continuava a sorriderle e ad accarezzarla lui – S’ era appena allontanata da me quando le grida di Abdul hanno spinto i miei passi verso la Fontana del Fico e..”
“Il corsetto!… il corsetto di Selima è sporco del mio sangue.” lo interruppe nuovamente lei, quasi con veemenza.
“Non ho visto nessun corsetto sporco di sangue addosso a Selima.” insistette Rashid e Jasmine, facendo convergere su di lui uno sguardo in cui parevano essersi concentrati tutta l’amarezza e lo sconforto di questo mondo:
“Non mi credi?” disse.
“Oh!… Luce degli Occhi Miei! – proruppe il grande predone con voce più dolce e carezzevole che mai - Tu hai subito una grave aggressione, amor mio ed hai la mente ancora offuscata… Quando starai meglio ogni cosa apparirà nella sua vera luce, tesoro mio…”
“Vedo già le cose nella loro luce, Rashid e so già da dove arriva il pericolo.”
“Non temere, mio bene. – cercò di rassicurarla lui - Io non permetterò più a nessuno di farti del male, Jasmine. …Non farai un sol passo senza essere sorvegliata e..”
“Credi davvero, Rashid, che io abbia bisogno di essere sorvegliata? - insorse lei con lieve sarcasmo – Mi credi davvero una tenera colomba da proteggere da falchi ed avvoltoi?… Io so difendermi da sola, Rashid… - incalzò quasi con durezza - Non mi occorre protezione… e non ne voglio… Oh! – fece un lungo respiro, poi girò il capo dall’altra parte – Sono stanca. – disse – Sono molto stanca… Vorrei riposare, Rashid e… restare da sola.”
Rashid assentì col capo e a malincuore si allontanò, con la sensazione che deve provare l’assetato che sente l’acqua sfuggirgli di tra le dita senza potersi dissetare.