Cap. I - seconda parte

Cap.  I  -  seconda parte

La camera di Isabella, al diciottesimo piano dell’hotel, era calda ed accogliente, concepita con i più moderni criteri di funzionalità: c’era perfino lo stappa bottiglie.
Una grande vetrata si affacciava sulla città di notte, splendente di luci e colori. Schermata da una tenda trasparente, pareva vi volesse lasciare fuori tutto il fascino e il mistero. Eppure, i lampadari in stile, il copriletto damascato, i tappeti e perfino le fioriere, trattenevano all’interno tutto quel fascino.
Isabella sedette sul letto e cominciò la lettura dei fogli di Hammad.
“Il Libro per uscire alla Vita.”
Così Hammad aveva intitolato quella raccolta di formule magiche che avrebbero permesso al Ka della principessa di penetrare nella luce dell’immortalità.
“Santo Cielo! – pensò sottovoce, visibilmente emozionata, sollevando il capo dal foglio – Questo è il Libro dei Morti della principessa Nefer.”
Riprese la lettura partendo dal capitolo introduttivo.
“Gli Scritti delle Parole Divine che sono il Libro di Thot, da pronunciarsi il giorno del funerale, giungendo alla tomba e prima di andar via…”
Isabelle fece seguire ancora una pausa, poi cominciò a recitare:
   “O Usir, Toro degli Amenti
    Io sono il Dio Grande della Barca Divina
    che ha combattuto per te
    Io sono Uno degli Dei
    Io sono i Giudici che operano
    per la Giustificazione di Usir…”

Mentre recitava, simile ad un’antica sacerdotessa di una qualche perduta Divinità della Vita, la ragazza metteva enfasi e passione nelle parole e nei gesti; dosava parole e tempi con sapienza e accuratezza e vestiva di mistero e teatralità quelle parole arcane.

S’interruppe nuovamente e sollevò il capo, come folgorata da un improvviso pensiero.
“E’ così che il chery-webb, Sacerdote Lettore, - pensò a voce alta – avrà recitato queste formule davanti alla tomba della principessa Nefer il giorno del funerale?… E’ questa l’intonazione giusta? Solo se pronunciate con la giusta voce le formule avrebbero difeso il defunto dalla disgregazione e dall’attacco di entità nemiche… Solo una vibrazione corretta della voce avrebbe procurato un giusto impiego della formula… Osor! – il volto della ragazza si distese in un sorriso dolcissimo – Ci saranno state formule per richiamare anche lui? Osor è il Guardiano a difesa della tomba di Nefer… Lei… lei poteva chiamarlo alla vita con delle formule magiche?… E se davvero ci fosse, tra queste, la formula per richiamare Osor alla vita?”
Febbrilmente si pose alla ricerca di un indizio, una parola, una frase indicativa e infine si fermò davanti ad un titolo:
“Formula per uscire dalla rete.”
Si trattava di un testo quasi incomprensibile, estremamente corrotto e con parole sconnesse. Lo stesso, la ragazza cominciò a recitare:
      “Io sorgo nell’ora di vivere
       con le interiora degli Dei
       Io conosco il ramo
       che gli appartiene: è il dito di Sokar
       Conosco il palo: è l la gamba di Nemu.
       Conosco la punta: è la mano di Isis…”

Isabella ebbe un gran sospiro.
“Uhhhhhh!… chissà cosa vorranno dire  queste parole… se avranno un senso… un significato. Mah! Domani… continuerò a leggere domani. Ho proprio sonno e mi si chiudono gli occhi.”
Con uno sbadiglio raccolse i fogli e si preparò per la notte. Indossò un leggero pigiama e si infilò tra le lenzuola; un ritornello, però, continuava a martellarle nella mente e sulle labbra:
       “… io sorgo nell’ora di vivere
        insorgo nell’ora di vivere
        con le interiora degli Dei…”
Chiuse gli occhi, ma continuò a bisbigliare:
       “Io sorgo nell’ora di vivere… io sorgo…”

Simili ad anelli di fumo di incenso, le magiche parole parevano materializzarsi appena lasciate le labbra della ragazza; parevano alzarsi e restare in sospensione nell’aria, per poi dilatarsi… più… sempre più… come una nuvola invisibile.

       “Io sorgo… io sorgo nell’ora di vivere…”
Parvero allungarsi ed allargarsi, muoversi come onde magnetiche, come energia misteriosa ed inarrestabile… tutto l’ambiente ne fu saturo e… ancora di più: l’essenza lasciò la stanza e fluì  oltre la finestra aperta sulla città.
Ogni terrazzo, ogni vetta, ogni  pinnacolo ne fu lambito; palazzi, moschee, musei ne furono investiti… arrivò al Museo delle Antichità.
Qui, penetrò l’oscurità delle sale, raggiunse sfiorò statue e mummie, naos e sarcofagi, ed infine avvolse la statua del Guardiano della tomba della principessa Nefer.

       “Io sorgo nell’ora d vivere…”
Gli occhi di Osor, il simulacro di legno, di colpo si spalancarono. Nel suo sguardo di pasta vitrea comparve un lampo: di vita e consapevolezza di esistere.
Il legno che imprigionava la “forza vitale” era sempre intorno a “lui”, come uno scudo protettivo ed incorruttibile, ma la giusta voce  era tornata ad attraversarlo per “richiamarlo” alla vita e “lui”, magica creatura, era pronto a rispondere al comando contenuto nella formula del “Risveglio alla Vita”.

“Mia dolce signora, Divina Nefer, sei tu che mi chiami?”
Le sue labbra si mossero, ma le parole rimasero ancora dentro di lui, prigioniere del legno.
Non ebbe alcuna risposta, ma il comando si ripeté, perentorio ed imperioso, dentro di lui. Gli ordinava di “sorgere alla vita” e di “vivere” e di liberarsi del legno che lo tratteneva.
       “Io sorgo nell’ora di vivere.”
Il petto gli si allargò in un profondo respiro cui seguirono echi prolungate di scricchiolii di legno,  poi la voce lasciò la materia inerte e uscì fuori:
      “Io sorgo nell’ora di vivere…”
Seguì un secondo, prolungato respiro: l’incantesimo che lo teneva prigioniero nel legno s’era rotto, infine.
“Io vivo, mia dolce signora… io vengo… io vengo…” disse, con quella sua voce gutturale e cavernosa che pareva provenire da profondità arcane e abissali.
La materia inerte e dura si ammorbidì; ogni atomo, ogni molecola del legno vibrò di vita.
La prodigiosa creatura si erse su tutta la persona, si sgranchì  le membra e distese i muscoli ancora appesantiti e tesi: quella magica aureola luminosa che guizzava intorno alla sua figura, come lingue di fuoco, andò lentamente impallidendo.
Le proporzioni del fisico erano straordinarie e l’aspetto terribile: alto quasi due metri, erano due metri di potenti muscoli armoniosamente distribuiti e guizzanti sotto una pelle bruno dorata.
Pareva un Titano.
I fianchi erano stretti in un gonnellino di pelle maculata e un cordino della stessa pelle gli tratteneva una folta, scura capigliatura; il volto era di una bellezza straordinaria.
Si chinò sul sarcofago della principessa Nefer.
“Mi hai chiamato, mia signora?”
Ma il richiamo non veniva da quella bara ed egli si voltò e le dette le spalle.
“Vengo… vengo, mia signora.” ripeté ed a lunghi passi attraversò la galleria immersa nel buio e si diresse verso l’uscita.