Cap. II La Camera della tortura (prima parte)

Cap.  II   La Camera della tortura  (prima parte)
La camera del Giudizio, dove Raniero venne trascinato e legato ad un palo, era un lugubre ambiente rischiarato solo dal fuoco di un tripode alle cui fiamme si stavano arroventando le lame di alcuni ferri.

Mastro Gastaldo, che tra gli altri compiti relativi all’amministrazione della Giustizia di competenza della Castellania, svolgeva anche l’ufficio di carceriere e carnefice, era già pronto con un nerbo di bue in mano.
“Lascia. Non voglio privarmi di questo piacere.” sibilò il conte strappandogli il nerbo dalle mani.
L’uomo cominciò subito a colpire, una, due, tre volte, con la furia cieca di chi non possiede più il governo delle proprie azioni ed emozioni  e le fiamme del tripode, ben presto, strapparono dolorosi bagliori agli occhi dello sfortunato ragazzo e lampi di soddisfazione in quelli del vecchio Castaldo.
Soprattutto a quelli del cugino Alfonso, in verità, che continuava a toccarsi il braccio dolorante, che il ragazzo gli aveva serrato nella mano come in un guanto di ferro.
Il sibilo del nerbo continuava ad attraversare l’aria e lacerarla.
Raniero lo sentiva ruggire, mentre stoccheggiava: così veloce da coprire ogni altro suono. Chiuse gli occhi.
Il dolore, quando si abbatteva sulla pelle e sulla carne già esposta, andava espandendosi attraverso ossa, nervi, sangue e raggiungeva il cervello. Ripartiva, dopo, per passare attraverso le vene, il cuore e raggiungere le viscere, che parevano ribollire.
La vista gli si offuscò, al quinto o sesto colpo, e così i sensi. La lacerazione della carne e dello spirito, cominciarono pian piano ad affievolire i suoi lamenti, fino a spegnerli del tutto.
Prima di sprofondare nel nulla, però, gli parve di vedere un’ombra occupare interamente la soglia del lugubre ambiente con la sua figura: un’ombra ammantellata di nero, incappucciata e con sulla scheletrica faccia, due orbite vuote.
Spaventevoli.
Quelle orbite erano fisse sulla sua faccia sofferente e dal loro “vuoto”, partivano due strali rosso incandescente, che andavano ad infrangersi contro l’enorme falcia d’argento brandita con entrambe le scheletriche braccia.
“No! – Raniero sollevò il capo, cercando disperatamente di trattenere  gli ultimi brandelli di forza e coscienza  - Torna da dove sei arrivata. Il mio tempo non è ancora stato stabilito… Non è ancora giunta la mi ora… Vai… Vai lontano da qui… “
“Lo sentite, ah.ah.ah… messere? – il vecchio Gastaldo rise, passandosi una mano lercia sulla bocca – Sta certamente discorrendo  con  Comare Secca…   che dev’essere qui intorno con la sua grossa falce, ah.ah.ah…”
“Non così in fretta, padre. – interloquì Alfonso alle spalle del conte, facendosi  di lato per evitare il ritorno della frusta – Non vorrete già consegnarlo a  Comare secca?  Non possiamo, padre…”