L’adattamento di Osor alle cose e alla situazione era sorprendente, ma, più sorprendente ancora, era la sicurezza con cui la prodigiosa creatura si muoveva nell’anfiteatro roccioso ed assolato che era la necropoli, come se egli stesso fosse parte integrante di quel mondo.
Avevano lasciato il campo da più di un’ora, inghiottiti da un mondo che non conosceva tuono, lampo, nebbia o grandine, ma in cui la calura regnava sovrana; un mondo dove il sole non era alleato dell’uomo e dove l’orizzonte fuggiva davanti al passo.
Le rovine ciclopiche del Tempio di Ramesse III profilavano l’orizzonte quando Osor fermò il passo. Alì ed Isabella fecero altrettanto e si voltarono a guardare il loro nuovo, straordinario amico; sulle loro teste, in un cielo sgombro di nubi, il sole navigava solitario padrone.
“Che cosa c’è, Osor?” domandò la ragazza; c’era un certo movimento nei paraggi: turisti attirati dalla notizia del ritrovamento della tomba.
“Proprio qui – Osor, chino sopra una protuberanza rocciosa, sollevò il capo e nel suo sguardo antico passò come un’ombra – il generale Horemhab tese il suo agguato al principe Zanhana di Hattusa.”
Il linguaggio della creatura s’era adeguato. C’erano in esso essenzialità, esattezza e capacità d’espressione anche per il pensiero più difficile; anche il gesto che lo accompagnava era estremamente efficace.
“Ma sentilo! – non riuscì a trattenersi Alì – Sembra uno di quei robot in un film di fantascienza.”
“Lascialo parlare. – disse Isabella – Chi è il principe Zanhana e perché quel Faraone gli avrebbe teso un agguato?”
“Zanhana, figlio di re Suppilulumia, venne da Hattusa, che era il Paese di Suppilulumia, fino a Kem, che è il Paese del Faraone. Venne per sposare la regina Ank-sen-Ammon, che il faraone Tht-ank-Ammon aveva reso vedova.” spiegò Osor.
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata poi fecero convergere lo sguardo sul volto della creatura, come in cerca di una qualunque emozione. Quel volto, però, dai lineamenti arditi e dall’espressione dolce e mansueta, e la sua voce, erano estranei a qualunque sentimento: egli parlava con profondo distacco.
“Conosco la storia della vedova di Thut, la regina AmksenAmmon, la quale inviò lettere al Re ittita affinché la mandasse uno dei figli per farne il suo sposo e regnare con lei.”
Disse la ragazza e Alì replicò:
“Ittiti ed Egizi non erano nemici?”
”Certo, ma la Regina temeva per la sua vita e per questo fece quella mossa azzardata. Suppilulumia in primo momento temette una trappola e prese tempo. Inviò un messaggero e solo più tardi si convinse a mandare il figlio… Non è così, Osor?”
“La strada per Tebe era lunga e piena di insidie. – la prodigiosa creatura riprese la parola – Il pericolo maggiore per Zanhana, - spiegò - veniva dal generale Horemhab, che aveva posto le sue mire sul trono della città di Horo.”
“E allora? – lo sollecitò Alì – Che cosa accadde?”
“Il generale disseminò di agguati il cammino del principe.- spiegò Osor – Proprio qui, seduto su questo sasso, lo colse la freccia che lo uccise.”
“E la regina Ank-sen-Ammon?” chiesero in coro i due ragazzi.
“Fu fatta sposare ad Eye, Faraone-Reggente e complice del generale che, alla sua morte, con il favore dei Sacerdoti, occupò il trono.”
“La Regina AmksennAmmon – interloquì nuovamente Isabella - scomparve senza lasciare tracce… Horemhab era un uomo spietato e si vendicò di Thut-ank-Ammon e della sua sposa, profanandone statue, templi e palazzi.”
“Non capisco una cosa… - la interruppe Alì – Che cosa può aver fermato la sua mano dal profanare anche la tomba di Thut-ank-Ammon?... Fu trovata zeppa di tesori. Non è così? Che cosa può avergli impedito di svuotarla di tante ricchezze?”
“Io non lo so.” confessò Isabella, ma Osor, ancora una volta, li sorprese.
“La Morte Incognita. – disse, misurato e calmo – La Forza che il Sem lascia nella dimora eterna ed a cui nessuno, né uomo e nemmeno Faraone, può sfuggire.”
“Una Forza di cui è stata dotata anche la tomba della principessa Nefer?” domandarono insieme i due ragazzi.
“Come è vero che il Deforme-Bes ha scelto Osor per proteggere la sua dimora eterna…”
Una voce alle loro spalle, però, impedì alla prodigiosa creatura di proseguire, un ordine secco:
“Prendeteli!”
Un gruppo di arabi li aveva circondati, armati di pistole e pugnali.
“Io ti conosco.”
Alì puntò l’indice su uno di loro.
Era un uomo alto e robusto. La figura era sepolta entro un ampio caftano; la fronte sporgeva da sotto il mindil, copricapo arabo, e sovrastava un grosso naso alla cui base si aprivano due cavità ostruite da ispidi cespugli che nascondeva occhi neri e pungenti.
“Sei Abdel il Rosso, ladro e ricettatore. Sulla tua testa c’è una taglia e…”
“… e tu vorresti metterci sopra le tue mani. Ah.ah.ah…” rise sguaiatamente l’uomo.
Osor fece l’atto di lanciarsi in avanti, ma Isabella lo trattenne.
“Chi è questo carro armato, miss? – ghignò il trafugatore di tombe, tendendo in avanti un braccio - La tua guardia del corpo… eh.eh.eh?” ghignò; le guance, tristemente cascanti ai lati della bocca, si gonfiarono di un riso sarcastico. I solchi trasversali e riarsi che gli attraversavano la fronte si affossarono ancor più.
“E’ uno da cui è prudente stare lontano.”
Anche Alì ghignò.
“Ma non mi dire!” ridacchiò l’altro avanzando verso Isabella.
Osor lo prevenne. L’afferrò per il caftano, lo sollevò e lo scaraventò per aria mandandolo ad atterrare su un mucchio di terra smossa. I compagni affrontarono tutti insieme la creatura, ma non ebbero miglior fortuna. Abdel si rialzò, puntò l’arma che aveva in mano e fece partire un colpo.
Osor si fermò; il sole alto nel cielo strappava bagliori di fosforescenza ai suoi occhi di opaco quarzo grigio. Continuò ad avanzare.
Seguì un altro colpo; il proiettile lo attraversò da parte a parte e il suo bel sembiante assunse un’espressione temporalesca, estremamente irritata.
Abdel abbassò l’arma; la bocca aperta e l’espressione da ebete, lo fissava terrorizzato.
“Misericordia di Allah! Ma… ma chi sei?” balbettò dandosi alla fuga.
“E’ il tuo incubo! - gli gridò dietro la ragazza – Torniamo al campo, Alì. Alessandro e tuo padre saranno già tornati.” continuò, voltando le spalle all’orizzonte roccioso che torreggiava davanti agli occhi ed agli avanzi del villaggio di Medinet Habu.
Un lancinante dolore alla caviglia, però, proprio in quell’istante, le strappò un urlo di dolore: uno scorpione, che già stava cercando riparo sotto un sasso, l’aveva morsa.
Serpi, scorpioni e salamandre, che a migliaia dimoravano fra quelle protuberanze rocciose, rendevano insidiosi quei riarsi recessi.
Osor accorse, ma solo in tempo per accoglierla fra le braccia e deporla amorevolmente a terra.
“Bisogna levar via il veleno prima che raggiunga il cuore…- preoccupatissimo, anche Alì si chinò sulla ragazza – Presto.. ma che fai, Osor? Non hai sentito quello che ho detto?”
“Non parli. Il piccolo amico della mia signora non parli. Ho detto!”
Alì zittì, mentre Osor teneva premuto il suo indice sulla fronte della ragazza; il sole dava lucentezza alla sua folta capigliatura scura.
Finalmente, Isabella riaprì gli occhi.
“Rinviene. – disse Alì – Sta rinvenendo.”