Zaira si lanciò immediatamente in avanti; Rashid ed altri accorsero e riuscirono a sottrarre il malcapitato alle fauci spalancate di Kasha ed ai suoi affilatissimi artigli.
A fatica, ma riuscirono a trascinarla via; Kasha appariva insolitamente ed oltremodo inquieta e nervosa.
“Kasha non ha mai attaccato nessuno.” esclamò Zaira in tono quasi di scusa.
“Qualcosa in quel pastore deve averla innervosita.- convenne Rashid – Non l’aveva mai fatto prima.”
“Non capisco! – era accorso anche Harith ed anch’egli si mostrò assai stupito – Non ha attaccato mai nessuno prima. Quel pastore deve aver fatto qualcosa che ha scatenato i suoi istinti… e gli istinti di un animale come Kasha sono infallibili.”
“Quell’uomo non mi è mai piaciuto! – esclamò Rashid - Dal momento in cui ha messo piede qui… con tutte le sue domande.”
Neppure Akim nascose i suoi dubbi e le perplessità.
“Kasha non avrebbe mai attaccato senza una ragione. – disse – Se ha aggredito quel pastore, deve averne avuto una.”
“E’ quello che voglio scoprire.” convenne Rashid.
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Verso il tramonto di tre giorni dopo, una nuvola di polvere sollevata da zoccoli di cavalli si avvicinò all'oasi; Rashid, che spiava l'orizzonte col suo binocolo occidentale in compagnia di Jasmine, esclamò:
"E' sir Richard!... E l'altro cavaliere è certsmente Ibrahim."
Una doppia sorpresa, però, attendeva tutti quando, raggiunte le prime palme, i due cavalieri balzarono giù dalle selle: la tunica di Ibrahim era macchiata di sangue sotto il candido mantello e la testina arruffata di un bambino spuntò da sotto il mantello color kaki del lord inglese.
“Lui è Kashi!” spiegò semplicemente l’inglese, affidandolo alle braccia tese di Zaira, accorsagli incontro.
Kashi era un bambino di quattro anni circa, capelli neri arruffati e contorti come serpentelli, un ciuffetto ribelle sulla fronte, occhi neri e un’espressione vivace sul faccino sporco di sabbia. Era piuttosto sviluppato per la sua età e non solo nel fisico: pronto con le mani e con la lingua.
Capì subito d’essere il benvenuto in mezzo a tutta quella gente sconosciuta e cominciò immediatamente a ridere e chiacchierare.
“Ma guardatelo! – sorrideva Rashid – Un momento fa ci guardava sospettoso e taciturno ed ora non smette di parlare.”
“Fra poco ci darà ordini, rais. –anche il lord sorrideva – Durante il viaggio decideva lui dove fermarci e quando fermarci… Dovevi sentirlo!”
“Ah.ah.ah… La principessa Jasmine sarà felicissima di questo arrivo. - rise ancora il rais, poi, mentre il bimbo si allontanava, dirottò la sua attenzione sui due amici - Che cosa significa questo sangue?” domandò.
“Siamo stati aggrediti. – rispose Ibrahim – Ma questo non è il mio sangue.” spiegò.
“Venite. – anche il lord era smontato di sella – Abbiamo molte cose da comunicare.”
L’abitazione che sir Richard aveva scelto a Sahab per sé era situata nella vecchia costruzione in muratura ad est dell’oasi. Diversamente dagli altri ambienti, questa recava un’impronta squisitamente occidentale: poltrone, divani, cassapanche e perfino un pianoforte ed inoltre un grande orologio a pendolo che però non funzionava, ma da cui il lord non intendeva separarsi ed infine un grande stemma nobiliare di cui era particolarmente geloso.
Da buon inglese, aveva sempre del the pronto da offrire agli amici, perciò li invitò a sedere ed entrò subito nei dettagli della conversazione:
“Siamo stati attaccati dai Kaza. – spiegò con fredda calma, sorseggiando il suo the; Rashid lo guardava in silenzio: l’impetuoso beduino non sempre riusciva a capire la calma del flemmatico amico – Racconta tu, Ibrahim!”
Ibrahim non se lo fece ripetere: non aspettava altro.
“Dai Kaza siamo arrivati due giorni fa. – esordì – Lo sceicco Feysal ci ha accolti con un po’ di perplessità, ma ci ha invitati sotto la sua tenda e ci ha spiegato che… Ripeto le sue parole: la mia gente ha iniziato la sua strada da sola, anche se io nutro dei dubbi sulla opportunità di rinunciare alla protezione dei Kinda!”
“Gli hai detto che questa presa di posizione potrebbe minacciare gli equilibri che si sono creati su queste sabbie?” domandò Harith, con espressione contrariata.
“Suo figlio Ben non gliene ha dato il tempo. – intervenne il lord – Quello sconsiderato giovanotto è entrato nella tenda con l’impeto del sam, minacciandoci con la sua kumiya… la ricurva spada di cui pare andare molto fiero!” aggiunse con palese sarcasmo.
“A rimetterci la vita, però, è stato lo sceicco Feysal.” interloquì Ibrahim.
“Feysal è morto?”stupì il rais dei Kinda.
“Con questo pugnale. – Ibrahim estrasse l’arma, un pugnale yemenita dall’affilatissima lama – Non volevo ucciderlo, ma non ho potuto evitarlo.”
“Racconta.” fece Rashid.
“Quel pazzo sconsiderato è piombato sotto la tenda gridando che i Kaza hanno nuove regole e che tutti i dissidenti della tribù sono già stati allontanati.”
“Quello che ha detto il vecchio pastore corrisponde a verità, dunque! - lo interruppe Rashid – Sono arrivati qui in cerca di protezione, una mezza dozzina di persone… della tribù dei Kaza, hanno detto, asserendo di essere stati espulsi dalla loro gente.”
“Non ne sapevamo niente. – replicò il lord – ma deve essere andata così. E… - una pausa per finire di sorseggiare il suo the e schiarirsi la gola, poi domandò – Quella gente è qui, adesso?”
Rashid assentì col capo, poi lo sollecitò a continuare.
“Ah… ecco! Torniamo a Feysal ed a suo figlio Ben… - disse sir Richard – Quello sciocco ragazzo si è avventato su Ibrahim senza permettergli di replicare alle sue stoltezze e Ibrahim ha dovuto difendersi… disgrazia ha voluto che il suo pugnale colpisse in pieno petto lo sceicco Feysal, intervenuto per separarli.”
“Questo increscioso episodio di sangue renderà ancora più difficili i rapporti con i Kaza. – disse Harith scotendo il capo – Esigeranno il sangue di Ibrahim.”
“E perché mai? Si è trattato solo di legittima difesa. – replicò il lord, poi aggiunse, in tono polemico – Il vostro codice d’onore non la contempla?”
“Bisognerà renderne le prove: con la morte del loro capo tutta la tribù si sente coinvolta e vorrà giustizia. - spiegò Harith – Presto i Kaza invieranno i loro emissari.”
I due riferirono anche che nessuna delle tribù convocate sarebbe mancata all'appuntamento e alla fine, Rashid:
“Restate qui ed ascoltate quanto ho da dirvi. – disse, facendo seguire una pausa per sorseggiare il suo caffè, poi proseguì – Ci siamo sempre posti una domanda… Che cosa avessero in comune quell’insaziabile avvoltoio di Sayed Alì e quel serpente velenoso di Hakam.”
“Sei, forse, al corrente di qualcosa che noi ignoriamo?” domandò Harith.
“Fratelli! Quei due flagelli dell'umanità sono fratelli – fu la sorprendente risposta, una rivelazione che lasciò tutti senza fiato – Figli della stessa madre. Quelle due carogne, avanzi per iene ed avvoltoi, sono fratelli: figli della stessa madre, una donna di nome Asha.”
“Per la Barba del Profeta!” “Allah misericordioso!” Queste ed altre, le esclamazioni e le imprecazioni che seguirono, poi Harith replicò:
“Asha? E’ un nome che non ho mai sentito prima.”
“Neanche a me questo nome dice nulla.” esordì il lord inglese.
“Certamente. Asha al nostro orecchio è il nome di un’estranea, ma Muna non lo è affatto!” ruggi il rais con tutto il rancore affatto represso.
“Muna? – proruppe Ibrahim che, come gli altri stava consumando il suo pasto e che rimase con il cosciotto d’agnello a mezz’aria e la faccia aggrottata – Muna è il nome di quell’aborto di donna, escremento di capra, puzza di topo, che nei sotterranei di quella maledetta Grotta dei Graffiti ci ha aizzato contro le sue fiere…”
Sir Richard si girò a guardarlo e si sorprese a pensare, mentre si puliva la bocca col dorso della mano destra, che, come tutti gli uomini della sua tradizione, anche l’amico Ibrahim possedeva un quel linguaggio fiorito, poetico oppure no: conforme l’occasione, infatti, una donna poteva essere "Come un sole che illumina e scalda" oppure "Stolto letame o anche Sterco di capra".
Tuttavia domandò:
“Questa donna sarebbe… ”
Rashid terminò per lui la frase:
“La madre di Hakam. Muna è la madre di Hakam. – spiegò – Il suo nome era Asha, quando fu rapita con suo figlio, un bambino di sei o sette anni e portata via da una tribù delle montagne del Neged, un villaggio di nome Sumenat e condotta al mercato degli schiavi di Doha.”
“Impressionante! - fece il lord – Un viaggio davvero lungo… davvero lungo!”
“Quando comparve sul palco degli schiavi, - riprese il racconto - Asha fece il vuoto attorno a sé e non soltanto per la straordinaria bellezza, ma per le due magnifiche compagne che le scodinzolavano accanto…”
“Le tigri! – proruppe ancora il lord – Le tigri che ci ha aizzato contro.”
Rashid assentì e proseguì, mentre il rancore contenuto nella voce cresceva con le parole:
“Asha era una cacciatrice di fiere… una domatrice. – spiegò – Ad aggiudicarsela, in una gara di offerte strabilianti, fu lo sceicco Ammad Sayed Alì.” tornò a ruggire la sua voce, trovando eco nell’accento temporalesco della voce del suo sceicco.
“Ecco spiegate molte cose. – disse infatti Harith – Lo sceicco Hammad Sayed Alì è il responsabile del massacro della tua famiglia, Rashid.”
Un silenzio profondo sceso sotto la tenda, perfino mani e mascelle smisero di lavorare e si poteva perfino udire il respiro della siepe di rovo davanti all’apertura della tenda dello sceicco, dove erano radunati..
“Proprio lui! – proferì Rashid – Hassan Sayed Alì, padre di Sayed Alì, cui l’inganno e il tradimento permisero di salire sul trono di Doha!”
“Io, mio rais, - interloquì Ashraf, uno degli uomini migliori di Harith – Io non conosco questi fatti, ma… per la Barba del Profeta!… mi pare un buon motivo per attaccare Doha!”
“E intendo farlo, un giorno, amico mio.