Cap. V - terza parte

Cap.  V  -  terza parte

    “Omaggio a Te Hapy,che appari su questa Terra
     giungendo in pace per far sì che
     l’Egitto  viva…”
declamava a gran voce il Faraone dalla prua della grande Barca Reale sommersa di steli di loto e papiro.
Possente e maestoso nell’umiltà dell’officiante, il mantello conteso dal vento, il torso unto d’olio sacro, il Faraone attirava a sé ogni attenzione. L’eco delle parole giungeva a riva e qui, mille e mille voci la moltiplicavano e l’assolato e riarso altopiano roccioso di Sakkara la restituiva carica di mistica suggestione: il rito della Notte della Goccia.
         “Tu dai acqua ai campi creati da Ra
          Tu dai vita ad ogni animale.
          Mentre discendi dal Cielo
          Dai vita incessantemente alla terra…”
La barca saliva lenta la corrente, seguita dalle numerose altre imbarcazioni che componevano il corteo.
Meremptha, tredicesimo figlio del faraone Ramesse II, miracolosamente sopravvissuto ai fratelli maggiori,aveva ereditato un Regno vastissimo e pacifico, cosa che gli aveva consentito di dedicarsi con particolari cure alla celebrazione di riti religiosi ed istituzionali come la Cerimonia d’Unione delle Due Terre (Il Basso e Alto Egitto) o quella della Notte della Goccia.
La Festa della Goccia era un Patto d’Alleanza tra il Nilo e il Faraone ed aveva inizio il quindici del mese di epiphi, con sacrifici e con il lancio nel fiume  del “Libro che fa sgorgare il Nilo dalle sorgenti”
Il corteo si lasciò alle spalle la città e risalì il fiume fino a quando la sagoma dell’isola di Rhoda, dove sorgeva l’unico Tempio dedicato ad Hapy, non profilò l’orizzonte davanti alla Barca Reale.
Nella palude allagata, una grande moltitudine festante ammassava gli argini per respirare il profumo di incenso che bruciava sulle barche  e che, espandendosi, restava sospeso nell’aria. Donne, uomini e bambini, il popolo tutto, partecipavano alla cerimonia. Vestivano a festa: tuniche di lino e ampi mantelli; portavano tutti collari ed amuleti e cantavano e danzavano al suono di nacchere, sistri e liuti..
Lasciate le barche, il corteo procedette verso il Santuario; l’argine del fiume rimase occupato da barche di ogni tipo e dimensione, da quelle dei poveri, fatte di canne di papiro cosparse di bitume a quelle dei ricchi a vela o a remi.
Il grande Portale di bronco si aprì e nel vano apparve l’Hapy, il Toro Sacro; musiche e canti cedettero ad un fragoroso applauso..
Ampie corna dorate e levigate, zampe svelte come colonne, sguardo penetrante e mansueto come quello di un vitello da latte, il Dio procedeva con aria un po’ annoiata. Dietro di lui avanzavano i sacerdoti, col capo unto d’olio sacro e le figure nascoste in ampi mantelli.
La folla si dispose in due ali e il Toro Sacro, ghirlande intorno al collo e insegne d’oro fra le corna, cominciò a sfilare.
Simbolo di forza e vitalità, Hapy era nato da una Vacca Sacra e, come tutti gli animali sacri, doveva avere inequivocabili requisiti di riconoscimento. Quelli del Toro Sacro erano un triangolo bianco sulla fronte, ali di avvoltoio sulle spalle e una infinità di altri segni; alla sua morte i sacerdoti si sarebbero posti immediatamente alla ricerca di un esemplare con quei medesimi segni di distinzione..

 

“Salute a Te, Hapy, gli uomini sollevano il  volto alla Tua vista.
Vieni a noi ed accogli le nostre suppliche…”
Pregavano i fedeli ei l brusio era simile allo spirare del vento tra le canne e i papiri. Tutti deponevano ai suoi piedi tavolette di legno o rotoli di papiro a cui avevano affidato sogni, desideri e suppliche: dalla sua andatura, i sacerdoti avrebbero tratto  gli auspici.             
Più tardi, rientrato il Toro Sacro nel Santuario, la folla si disperse e il corteo tornò alle barche, tra lanci di petali di foglie.
Una manciata di fiori di loto investì la principessa Nefet, già a bordo della Barca Reale. La ragazza li allontanò da sé.
“Perché non partecipi alla Festa?” domandò Thumosis, che era con lei.
Un lungo sospiro riempì la pausa che seguì; Nefer pareva titubante, ma ciò non fece che accrescere la curiosità del fratello.
“Uno strano sogno mi tiene compagnia, da qualche tempo, ed assorbe ogni mio pensiero.”
“Un sogno? – fece interessato Thutmosis – I sogni sono importanti, ma come possono assorbire tutti i tuoi pensieri? Io so che le ragazze della tua età hanno la mente occupata da ben altre cose.” sorrise sornione.
“E tu come lo sai?” anche Nefer sorrise. Maliziosamente.
“E’ quello che sento dire da quando sono arrivato al Distretto di Guerra.”
“Forse prima era così. – confessò la ragazza scuotendo il capo, poi riprese, facendo attenzione a conservare l’equilibrio minacciato dalle onde che sciabordavano contro la chiglia della barca –Ora il Bizzarro Bes mi manda visioni senza neanche stendermi più sulle palpebre le benefiche Sabbie del Sonno e mi fa vedere cose che sono nella mente, così come vedo e tocco te.”
“Per le Sacre Vigne di Ammon! – sbottò il fratello – Davvero hai il dono della Vista Sacra?”
“Un dono? – replicò lei – Io non so nulla di cose sacre.”
“Forse qualche Dea ti sta chiamando e per farsi sentire ti ha fatto il dono della Vista sacra e ti sta inviando visioni. – Nefer ebbe un sospiro assai eloquente e il fratello continuò – Non dovresti lamentarti di questo dono. Sono sicuro che qualche Dea protettrice delle ragazze voglia stendere la sua mano su di te e per farlo di invia delle visioni.”
“Credi davvero che sia la voce di una Dea Protettrice delle ragazze?”
“Sono sicuro di questo… Racconta. Racconta.” la incoraggiò Thutmosis e Nefer, finalmente, cominciò:
“ Arrivano assieme a Bes, il Dispensatore delle Sabbie del Sonno. Bes, però, si prende gioco di Nefer e sulle palpebre non distende Benefiche Sabbie, ma ombre fluttuanti in cui si muovono strane creature. Sembrano uomini e donne come noi, ma non sono come noi e… non sono di questo mondo. Le loro vesti sono strane… più di quelle delle genti di Cnosso o Colchide, che pure sono assai diverse da quelle della gente di Tebe.”
Una pausa: Nefer parlava piano, lo sguardo affamato di verità. Non di corsa, ma con pause ed interruzioni che rendevano il suo discorso chiaro e calzante al pensiero ed alle ansie che voleva esprimere e Tutmosis ascoltava interessato.
“Prosegui.” la incoraggiò.
“Non è gente come noi. – Nefer riprese il racconto – Quelli catturano il tempo e trattengono il sole.”
“Catturano il tempo? – sbalordì il fratello – Per la Sacra Bilancia di Osiride! Che cosa significa?”
“Io non so. Portano tutti al polso un bracciale che tiene imprigionato il Tempo e… e non è una clessidra, che lascia passare acqua o sabbia… Ed agli occhi portano dischetti scuri che consentono di guardare il Sole senza che la luce li accechi.”
“Prodigioso!”
“E i loro carri?... se tu potessi vedere i carri che ho visto io!”
“Ho visto i carri di Hatty, dai rostri uncinati delle ruote e…”
“I carri che ho visto io – lo interruppe la sorella – strisciano sulla sabbia come pivieri sull’acqua, ma da soli e senza buoi… e tuonano come tori infuriati.”
“Oh…” fu il solo commento del ragazzo.
“Ho visto grosse aquile costruite con il minerale degli Dei…”
”.. minerale degli Dei? – Thumosis era sempre più strabiliato – Come i grandi Portali della città di Colchide?”
“Proprio quello!”
Minerale degli Dei, così era chiamato il ferro, ancora quasi sconosciuto in Egitto a quell’epoca..
“Parlami di loro.”
“Sono immense e si alzano nel cielo con la voce del tuono. Inghiottono nel loro ventre la gente e la rigurgitano quando tornano a terra, come fa la cicogna che nutre i piccoli e… e io, fratello mio, io sono in mezzo a queste cose e le vivo attraverso l’altra me-stessa.”
“Non capisco. Chi è l’altra te-stessa?”
“Proprio non lo so, ma il suo volto è uguale alla mia immagine riflessa nello specchio… simile a me, eppure diversa.”
“Oh… le vie che portano agli Dei sono misteriose…”
“Che cosa devo fare?”
“Forse la spiegazione a tutto questo è nascosta nell’Antro di Mertseger, Colei che protegge la Terra che mischia gli uomini.”
“Credi che le visioni vengano da Lei? Credi che la Grande Dea-Serpente mi stia chiamando?... – una pausa dettata da dubbi e timori – Credi davvero che Mertseger, la Dea dei Servitori della necropoli, stia chiamando me?... E perché non Nefrure o Sithator, che tutti dicono siano più docili ed obbedienti di Nefer?”
Thumosis si strinse nelle spalle, poi disse:
“Forse Mertseger non desidera una sacerdotessa docile e obbediente.”
“Ma io sono stata votata ad Hathor-la-Splendente, non a Mertseger-la-Misericordiosa.”
“Non sta a noi giudicare il volere degli Dei.”
“Cosa può volere da me Mertseger?”
“Forse Mertseger vuole che tu scenda nell’Antro dove Ella dimora e l’affronti. Forse vuole questo.”
“Ma io ho paura a scendere là sotto.”
“Se Lei davvero ti vuole, allontanerà la paura dal tuo spirito…” ma mentre parlava, sul volto del ragazzo passò un’ombra di tristezza: quelle visioni stavano ponendosi tra loro come un misterioso confine e tendevano ad allontanarli l’uno dall’altra.