"Lo sguardo dello straniero è il primo nemico della casa." (proverbio arabo)
Tappeti, stuoie, divani, cassettoni e ceste; specchi e specchietti, arazzi e telai, piatti, anfore, vasi e vassoi; fucili e pugnali: nella casa della madre di Ibrahim non mancava proprio nulla..
Luci e ombre, profumi ed odori. Confusione, risate e gridolini.
Era quasi sempre da lei che le donne si radunavano per ricorrenze. cerimonie, feste o semplicemente per fare quattro chiacchiere.
Mancavano quattro giorni alle nozze di Fatima con Ibrahim e tutte erano lì per contribuire in qualche modo.
Sedute per terra, su cataste di cuscini o su divani sepolti sotto pregiatissimi tappeti, ricamavano, intrecciavano ghirlande, fumavano narghilè e bevevano the oppure, in piedi, provavano corsetti e pantaloni o anche qualche passo di danza o unguenti e profumi acquistati ai mercati dei fellahin insieme al tabacco per gli uomini. Tutte simili a idoli luccicanti, letteralmente coperte di monili di ogni forma e dimensione, di ogni colore e materia.
C’era Letizia a raccontare favole alle più giovani… che, poi, piacevano tanto anche a tutte le altre; aveva sempre con sé dolcetti che offriva con le sue mani delicate ed affusolate da artista, movendosi leggera nella sua semplice veste di cotone stampata a fiori, ampia e lunga, stretta in vita da una fascia dello stesso colore del velo poggiato in testa o sulle spalle . Quando non raccontava suonava un violino di cui le aveva fatto dono sir Richard.
La storia più richiesta era quella delle donne di un antico popolo, di cui le aveva parlato il professore Marco e della sua Regina… Buadicca, si chiamava… Una Regina, raccontava Letizia, che aveva sfidato e affrontato un popolo assai potente, quello degli Antichi Romani.
E non mancava Selima, sempre con la sua irritante autorità di Favorita del capo. Stava mollemente sdraiata su un divano sopra una pila di cuscini, impegnata a reggere con una mano un prezioso specchietto, dono di Rashid, non mancava di sottolineare, a cui chiedeva consensi più che consigli ed attraverso cui gettava occhiate di traverso a colei che considerava la sua rivale.
Con l’altra mano, invece, giocava con uno spillone che continuava a conficcare nel cuscino posato in grembo, con gesto stizzoso e ripetuto, quasi con rabbia voluttuosa, come se lo stesse conficcando nel petto di qualcuno e non era difficile capire di chi si trattasse… Questo quando le dita non pescavano tra dolcetti al miele ed alle carrube in un grande vassoio.
Ne porse uno anche alla piccola Shannaz, la schiavetta nera, anche questa dono del rais, appena la vide comparire nel vano dell’entrata.
“Il padrone chiede la tua compagnia, signora. – disse la piccola, facendo un grazioso inchino e tendendo la piccola mano scura verso il dolcetto – E sembra molto impaziente, mia signora.” aggiunse., facendolo sparire in una delle larghe maniche della camicia.
Selima si alzò languidamente dal divano; un ultimo sguardo di patetico consenso allo specchio. Selima aveva già compiuto trenta anni e quell’età, per la donna di un harem e per di più nella condizione di Favorita, era assai più di una “minaccia”: era una tragedia.
Ristette ancora qualche attimo immobile, lasciando scorrere lo sguado tutt’intorno, poi si allontanò verso l’uscita con tutta la burrosa pinguedine trionfalmente dondolante. Con gesto di incontenibile soddisfazione, mentre la piccola schiava le teneva sollevato il lembo dell’entrata, si girò verso le donne, ridendo e sorridendo, ondeggiando e scotendosi tutta e trascinando in quel dondolio ogni più piccola parte del corpo, in quella risata che pareva essere il preludio alla felicità.
“Devo andare. Il mio signore reclama la mia compagnia.” continuava a ripetere e ridere, mettendo in mostra un’ingorda chiostra di perle un po’ ingiallite dall’abuso di datteri.
Quella risata golosa e soddisfatta non risparmiò nessuno. Soprattutto, colpì la principessa Jasmine.
In realtà, gli sguardi un po’ stupiti e dispiaciuti delle donne non risparmiarono la principessa .
Jasmine, però, scacciò subito lo stupore doloroso; per qualche attimo lasciò vagare d’intorno lo splendore di uno sguardo che pareva accresciuto più che disperso; sbatté più volte le palpebre dalle lunghissime ciglia, mentre una linea sottile le attraversava la fronte da un sopracciglio all’altro, eleganti come ali di gabbiano.
“Devo andare. – anche lei la stessa frase, mentre si alzava, tra lo sfolgorio degli ori attorno ai polsi e alle braccia, il balenio degli smeraldi agli anulari e lo splendore delle maglie d’argento attorno alle sottili caviglie – Devo andare.” ripeté, allontanandosi quasi di corsa, seguita dalla voce delle donne che la richiamavano:
“Il tuo alud, principessa… Hai dimenticato il tuo alud… Avete visto?… La principessa Jasmine ha dimenticato il suo alud…”
La principessa Jasmine si allontanò, prendendo la strada opposta a quella su cui si era incamminata l'altra donna del suo Rashid.
Jasmine sapeva che Rashid aveva altre donne. Se lo ripeteva ogni attimo del giorno. Un pensiero fisso e irremovibile. Loro due si erano appena sfiorati e nulla al mondo era stato per lei così meraviglioso, stupefacente e terrificante del fuggevole contatto con la diversità di lui.
Il suo primo bacio! Così piacevole e sconvolgente, tanto da richiamare in gola tutte le emozioni nascoste nei meandri più profondi dello spirito ancora vergine.
Ma per lui non doveva essere stato così! Le numerose donne che gli avevano dato piacere non erano come lei, andava ripetendosi. Le numerose donne da cui Rashid traeva piacere erano come Selima, donne le cui bocche gli si aprivano facilmente e voluttuosamente… non come lei, che aveva esitato prima di scoprire che aprire la bocca ai suoi baci, era la cosa più semplice, dolce e spontanea.
L'ultima cosa che desiderava adesso, però, era che Rashid pensasse che lei vollesse spiare lui e la sua Favorita... Spiare, pensava... spiare con occhi supplichevoli e smarriti e con la stolta gelosia della donna che si nasconde e spasima. No! Non era da lei!
Ed intanto, proseguendo, il passo già affondava nella sabbia, vicino alla monumentale Fontana del Fico, la cui ombra proiettata al suolo, malinconica e solitaria, la inghiottì subito.
Si tirò su un lembo del velo e se lo avvolse intorno alla persona, come a volersi nascondere. Come se quel velo, intimo ed accogliente, fosse il rifugio della sua tenda dove, sola e al chiuso, poteva nascondere e consolare la sua grande pena d'amore. Povero, vano e inutile sentimento: i baci appassionati, le carezze audaci e l'avvinghiante stretta dell'uomo che adorava non erano per lei; le passioni di lui erano soddisfatte altrove. A lei non restava che quell'angoscia dilaniante... la gelosia: troppo fugaci i loro incontri... quelli suoi e di Rashid, troppo casti i loro contatti... Selima, invece... gli sguardi avidi, le carezze predaci, la carne della rivale contratta di spasimo sotto la mano brutalmente dolce e possessiva del suo Rashid che... No... troppo insultante e provocatoria la visione dei loro corpi avvinghiati...