Un muggito, alle spalle, e un soffio caldo all’altezza del collo, dopo pochi passi, fece sobbalzare la ragazza che si voltò spaventata. Lo sguardo andò ad incrociare quello dorato e scuro di un torello. Ancora più terrorizzata, cacciò un urlo e si buttò da parte; il torello muggì ancora, forse più spaventato di lei.
Era un animale giovanissimo, nero e irrequieto. Ghirlande di fiori e foglie gli pendevano dal collo e una bellissima collanina di sanguigna corniola gli ornava le corna dorate. Un ragazzo lo conduceva al guinzaglio e scoppiò immediatamente in una sonora risata a cui si unì anche Thotmosis.
“Perché ridete della paura di Nefer. – protestò la ragazza – Nefer non ha mai danzato davanti alle corna di un toro come le ragazze di Babilonia.”
“Ankheren non voleva ridere di Nefer.” esordì lo strano ragazzo.
Era alto e snello e l’espressione del volto era vivacizzata da uno sguardo curo e penetrante; intorno alla fronte portava una fascia di cuoio, alla foggia ittita, che gli tratteneva la luminosità corvina di una lunga e folta capigliatura. Riprese subito la parola:
“Lui è Kaptha e non è un toro selvaggio. – disse – Se ti ha fatto paura, però, bella Nefer, Kaptha di questo è dispiaciuto e ti offre, se la gradisci, la sua collana. Con il suo muggito voleva dire che starà meglio al tuo collo che alle sue corna.”
“Ah.ah.ah…” rise ancora Thotmosis; Nefer lo fulminò con lo sguardo, ma la collanina era davvero bella e Ankheren, incoraggiato dal suo sorriso, la prese dal collo del torello e la passò intorno a quello della ragazza, poi invitò i due a seguirlo, cosa che quelli non si fecero ripetere.
Si fermarono ad ascoltare un vecchio cantastorie che raccontava della stoltezza di un padrone e della furbizia del suo servo.
“I ricchi sono sciocchi!” sentenziò Ankheren, dando le spalle al citaredo.
“Perché?” domandò Nefer.
“Perché il ricco non deve aguzzare il proprio ingegno come deve fare il povero, finendo, per tale ragione, per non sapersene più servire.”
“Tu non sei povero, vero?” domandò ancora la ragazza, disturbata dall’idea che al suo nuovo amico potessero accadere le avventure del protagonista del racconto appena udito.
“Io sono figlio di Uriak, l’Ittita, domatore di cavalli e allevatori di tori al Tempio di Ptha.” Rispose il ragazzo con orgoglio.
“E’ da tuo padre che hai avuto quel coltello? - chiese Thotmosis indicando il coltello dalla lama di ferro che l’altro portava alla cintola – Se avessi del denaro con me, ti chiederei di vendermelo.”
“E’ un oggetto di nessun pregio. - Ankheren scosse il capo, ma non era vero e lo sapevano entrambi. Però, Ankheren doveva dire così, poiché agli Ittiti era vietato vendere oggetti di quel metallo – Se non posso vendertelo, però, posso donartelo.” sorrise tendendo la mano.
“Sei davvero generoso con i tuoi doni…”
Thotmosis non riuscì a portare a termine la frase poiché una voce, appartenente ad una faccia assai corrucciata, assalì Nefer:
“La mia collana… la mia collana…”
Thotmosis ed Ankheren accorsero entrambi in difesa della ragazza, disgraziatamente, però, il trambusto aveva attirato l’attenzione di una guardia.
“Dove hai preso questa collana?” domandò subito la guardia.
“L’ho trovata io per terra.” si fece avanti Ankheren.
“Lui dice il vero.” Intervenne anche Thotmosis, ma il tono secco, risoluto e perentorio della voce non impressionò nessuno; si accigliò e fece l’atto di riprendere la parola. Guardando le umili vesti che nascondevano le insegne reali, però, preferì tacere.
“E tu chi sei? – l’apostrofò la guardia – Sei suo complice?”
“Lui è mio amico e io non sono un ladro… io…” interloquì ancora Ankheren, ma una voce, tra la folla formatasi alle loro spalle interruppe in sul nascere la sua arringa in difesa di Thotmosis:
“Bugiardo. – diceva la voce – Sono sicuro che neppure il torello ti appartiene.”
“Dove hai preso questo torello?” tornò ad interrogare la guardia.
“E’ mio. E’ della mia famiglia.”
“Bugiardo. – ripetè l’accusatore tra la folla, indicando la spalla del recalcitrante animale – Quello è il marchio del tempio di Ptha.”
“Sia portato al Tempio.” fece una seconda voce.
“Siano portati al tempio tutti e tre.” aggiunse una terza voce.
“Che siano fustigati…”
Ormai era solo un coro di minacce cui solo lo scalpitare di cavalli in avvicinamento pose fine. La folla si aprì davanti ai cavalieri come un gregge spaventato dall’assalto di un branco di lupi.
“Fermi tutti. Che cosa succede qui?” un comando perentorio.
Zittirono tutti e Nefer sollevò gli occhi in faccia al cavaliere, un giovane sui venti anni, bello e altero; nel silenzio sceso sulla scena, si udiva solo il campanaccio degli armenti condotti al Tempio.
“che cosa succede qui da giustificare assembramenti di persone?” tornò a chiedere il cavaliere, ma il tono s’era addolcito e l’attenzione pareva tutta concentrata sul bel volto della principessa di Tebe.
“Hanno rubato una bestia sacra del Tempio di Ptha, signore. - spiegò la guardia; alto, grasso, puzzava di sabbia e sudore – Devono essere puniti.”
Aggiunse incrociando le braccia con aria soddisfatta, ma tenne gli occhi bassi, non osando sostenere lo sguardo del principe, ed attese la lode. Per nulla interessato alle solerti accuse, attirato invece dall’avvenenza di Nefer, il principe ordinò:
“Taci. La tua voce mi infastidisce. Parla tu, ragazza. Spiega ogni cosa senza timore.”
Nefer si fece avanti incerta sul da farsi; lo sguardo audace del giovane la lusingava ma, anche, la irritava un po’. Dentro sé, però, pensava che quel giovane, a cui si rivolgevano tutti con rispetto era davvero di bell’aspetto e, benché indossasse solo un perizoma, il collare che gli copriva il largo petto e le spalle, rivelava che lui era il principe e gli altri i subalterni.
Anche Thotmosis avanzò per prendere la parola, ma l’altro non gliene dette il tempo; con un balzo fu a terra e gli si pose di fronte, gambe divaricate e braccia conserte.
“Che cosa ci fa al di qua del fiume il principe Thotmosis?” domandò.
“Tu mi conosci?” chiese a sua volta il ragazzo frugando nella memoria alla ricerca di un nome da riconsegnare a quel volto.
“Per il Cranio Rilucente e Calvo di Ptha! Davvero non riconosci Sekenze?”
“Sekenze?... Per la Barba di Ammon! Sei proprio il mio amico Sekenze.”
“L’esercizio fisico mi ha irrobustito, ma sono proprio io. Anche tu, però, sei cambiato, ma dimmi, che cosa ci fai qui, nascosto in quelle vesti? Sei venuto a cacciare la testa in qualche rete, quaggiù, ah.ah.ah…” rise.
“Un principe reale?... Pie…tà!” balbettò il solerte accusatore e anche la guardia era sbiancata in volto:
“N…non è un ladro? Oh, povero me!”
“Stupido imbecille! Meriteresti d’esser fustigato con la tua stessa frusta.- Sekenze, che pareva divertito dall’equivoco, si girò verso la ragazza – Tu sei la principessa Nefer. Sei diventata molto bella – disse; Nefer arrossì e l’altro proseguì - Ma che cosa ci fate qui, vestiti a quel modo?”
“Noi pensiamo che la tenebrosa Mertseger voglia manifestarsi e che abbia mandato al sua “voce” a Nefer per farsi sentire, ma non abbiamo capito il senso delle “visioni” e siamo venuti qui per sciogliere l’enigma.”
Un breve silenzio riempi l’attimo che seguì, poi Sekenze disse:
“Mi domando se sia stata una buona idea venire qui senza scorta, ma non dovete preoccuparvi: vi accompagnerò io fino al Sacro Antro di Mertseger… Quanto a costoro..” aggiunse girandosi verso il servo che, nella speranza di evitare la punizione tornò ad accusare Ankeren:
“E’ colpa sua. – disse – Ha portato via dal recinto una bestia sacra e deve essere esaminato con la bastonatura.”
“Ankeren è innocente. – interloquì Nefer – Dillo che sei innocente, Ankeren. Dillo.”
“Sono innocente. – si difese il ragazzo – L’ho soltanto portato fuori del recinto dove Uriak, il padre di Ankeren, alleva i tori del Tempio. Non l’ho rubato. Le Sacre Dita di Horo mi fulminino, se mento.”
“Sta mentendo e bestemmiando.” Insisteva l’accusatore.
“Non è lecito accusarmi solo perché non porto sandali ed ho i calli ai piedi. – incalzò il ragazzo – Non li porto perché voglio sentire il contatto con la terra, ma possiedo ben tre paia di sandali di corda. Frequento la scuola del Tempio con profitto ed alla nascita mi è stato predetto che un giorno avrò il comando su molta gente… Come potrei essere un ladro?”
“Questo sfrontatello dice cose strane…” cominciò Sekenze, ma Nefer lo interruppe:
“… strane, ma sensate.” disse.
“Ah.ah.ah… - rise il principe – Dici cose strane anche tu, bella Nefer.”
“Nefer parla spesso in modo strano.” convenne Thotmosis e Nefer interruppe anche lui:
“Porterò il mio amico Ankeren a Tebe con me e intercederò per lui personalmente presso il Faraone.”
“Non occorre. – fu Sekenze, questa volta, ad interrompere lei – Qui basta la giustizia di Sekenze per stabilire la Verità!” affermò e fece loro cenno di seguirlo.
Cap. VI - ultima parte
