"Inshallah!"
Era il cammello degli sposi, Fatima e Ibrahim e si fermò davanti alla tenda del giovane, lunga bassa e aperta, così come sua madre Alina aveva voluto che fosse, proprio accanto alla sua.
Lo sposo aiutò la sposa con gran premura a scendere dal sontuoso baldacchino montato sulla groppa dell'animale che era stato fatto inginocchiare: premura quasi esagerata, non fosse per il fatto che i voluminosi drappeggi del prezioso e luccicante abito nuziale non riuscissero a nascondere i segni della sua gravidanza.
La tribù intera dello sposo era lì ad accoglierla, ma negli occhi della sposa, dietro il candido e trasparentissimo velo, navigava una nuvola di malinconia: nessuno della sua gente, gli Aws, la sua tribù, era presente a quel lieto evento. Gli Aws avevano accolto quelle nozze come un insulto alla onorabilità della famiglia, essendo, il matrimonio, un istituto familiare e non personale e considerando la proposta di matrimonio di Ibrahim un ripiego al rifiuto del cugino Harith, sceicco dei Kinda.
Tutti, però, si adopravano per alleggerire il disagio della sposa e disperdere dal suo sguardo quel velo di malinconia.
Seduta su una sella ricca di sfarzi ed ornamenti, l'attorniavano le ragazze della tribù; i maschi, invece, sfogavano la propria esuberanza attraversando il campo in sfrenate galoppate o riempendo la sera incipiente di colpi di fucili e carabine.
Zaira, Letizia, Jasmine, Agar, Selima e le altre... c'erano tutte e tutte si rimpinzavano di dolcetti al miele e dolcissime bevande sotto gli sguardi ammiccanti di giovani possibili pretendenti: quelle feste erano occasione per fidanzamenti e matrimoni futuri.
Tra risate e gridolini, si gingillavano con anelli di cui erano cariche le dita, cercando attraverso il "gioco degli anelli" di scoprire il futuro.
Cominciò Agar, la sorella minore dello sposo, uno scricciolo di donna scintillante di vistosi gioielli come un piccolo idolo; esibiva un anellino nuovo, avuto per l'occasione, un cerchietto interrotto da due minuscole pietre azzurre, che esibiva al mignolo destro e mostrava a tutte con grande orgoglio.
"Hai scelto il mignolo, piccola Agar. - spiegò Zaira - perché sei tanto giovane e un po' incosciente... ma hai tutta la vita che ti attende!" aggiunse con un sorriso indulgente.
"Non l'ho scelto io. - spiegò la piccola; Agar aveva solo nove anni e un visetto arguto e vivace - Era l'anello più piccolo del cofanetto di mia madre e poteva entrare solo al mio mignolo..."
"Ah.ah.ah..." risero tutte.
"Guarda i miei anelli, Zaira e dimmi il mio futuro."
La Favorita del rais, bardata quasi come la sella su cui sedeva la sposa, fece dirottare l'attenzione di tutte su di sé. Selima esibiva anellli quasi identici ad entrambi i pollici: una piccola scacchiera di diamanti ed una strana figura alata montati su due cerchi piuttosto larghi e spessi, tali da coprirle quasi interamente le falangi grassocce.
"Sono doni di Rashid." tenne a precisare, con quell'irritante superiorità che le veniva dall'essere la Favorita del capo.
"Rashid non poteva farti dono più appropriato, Selima. - interloquì Letizia, sollevando su di lei lo sguardo e fissandola a ciglia socchiuse, con tale intensità da non accorgersi del gesto di insofferenza dell'altra, irritata dalla sua familiarità - Con quegli anelli alle dita sembri la regina Maria Antonietta... Vi ho raccontato la storia della regina Maria Antonietta di Francia?... Quelli che porti alle dita sembrano gli anelli del Comando... simboli di dominio e prepotenza... un po' come sei tu, Selima. Ah.ah.ah..." rise.
Selima fece l'atto di replicare, ma Zaira la prevenne.
"Non devi dispiacerti, Selima, per quello che ha detto Letizia. Lei voleva soltanto riconoscere la tua autorità sulle altre donne del rais..." disse in tono conciliante la figlia dell'asceta indiano.
Lei portava al dito un'enorme perla che le aveva donato sir Richard, proveniente, le aveva spiegato, dalle acque della costa di Al Mughera, i cui fondali era piuttosto familiari al lord inglese e quella meraviglia era frutto proprio di una sua immersione in quelle acque.
La perla, lo sapevano tutte, era indice di saggezza, equilibrio emotivo e senso di giustizia, qualità che non mancavano certo nella bella indiana.
Selima, però, non aveva rinunciato alla sua replica.
"E la figlia di Aristos Gallas, mercante di gioielli e preziosi, che cosa porta alle sue dita?" domandò in tono caustico.
Letizia sollevò la mano ed indicò l'anulare ornato di un magnifico anello d'oro impreziosito di piccoli diamanti e sormontato da uno splendido rubino.
"E' dono dello sceicco Harith - continuò Selima - oppure.."
"E' un dono di Harith." rispose con semplicità Letizia.
"Avremo presto un'altra festa di nozze, dunque!" ancora Selima, sempre con quell'irritante sarcasmo.
L'atletica figura di Harith, che a lunghi passi stava percorrendo lo spiazzo diretto proprio nella loro direzione, parve quasi una conferma alle parole della ragazza; il gruppo dei giovani s'era sciolto: alcuni di loro s'erano seduti in circolo subito raggiunti da ragazze con vassoi ricolmi e altri, invece, avevano preso altre direzioni.
Harith si avvicinò al gruppo delle ragazze, salutò, poi si allontanò in compagnia di Letizia.
"L'anulare - li seguì la voce di Zaira - che la nostra cara Lerizia ha scelto per il suo anello è il dito dell'Amore... Sì! Credo proprio che festeggeremo presto nuove nozze."
"Hhhh! - grugnì Selima, mandando un fuggevole sguardo in direzione di Jasmine, più bella che mai, più taciturna che mai, più malinconica che mai - Hhhh!" ripeté e si alzò per allontanarsi in gran fretta, andando quasi a scontrarsi con il lord inglese che stava sopraggiungendo e che salutò con un inchino compito.