Cap. VIII - Parte prima

Cap.  VIII  -  Parte prima

"Ahlan wa sa ahlan" - "La mia casa è la tua casa" (proverbio beduino)

Alina, la madre di Ibrahim, era la più autorevole tra le donne della tribù per la numerosa figliolanza: madre di ben quattordici maschi a cui, come ogni donna araba, era legata da vincoli quasi servili, ma a causa di cui, però, godeva di grande prestigio in seno alla comunità.
Arrivò con un bricco di terracotta contenente un intruglio di erbe e in compagnia di Selima che reggeva in mano la cassetta dei medicinali .
Per prima cosa, la donna spogliò Jasmine degli indumenti e  ripulì accuratamente la ferita, dopo averla bene esaminata: la ferita, alla spalla sinistra, non era molto profonda, ma piuttosto irregolare.
“Chi ha fatto questo scempio – disse – doveva essere davvero arrabbiato.”
Terminata la medicazione, Alina  bendò accuratamente la spalla, poi fece bere  all’inferma l’intruglio contenuto nella ciotola e la principessa piombò subito in un sonno profondo. Dopo fece mettere veli alle aperture per ombreggiare l’ambiente ed invitò tutti, con l’autorità che le veniva dall’età, a lasciare la stanza.
Le ubbidirono tutti, lo stesso Rashid, che uscì senza una parola, dopo un’ultima, amorevole occhiata alla sua Jasmine; a sorvegliare la principessa rimasero soltanto Zaira, Letizia e la stessa Alina.

Rashid, però, non riuscì a stare a lungo lontano dall’amatissima Jasmine e meno di mezz’ora dopo, era nuovamente al suo capezzale.
“Come sta?” domandò avvicinandosi al letto, immenso, in cui Jasmine pareva come sperduta ed in cui si trovava sdraiata per la prima volta.
“E’ una brutta ferita. Ha perso molto sangue.”  rispose Letizia.
“Chi le ha procurato questa ferita – le fece eco Zaira – sa maneggiare bene il pugnale.”
“Chiunque sia, del suo sangue non resterà una sola goccia, quando lo avrò fra le mani… e giuro che questo avverrà molto presto.” ruggì Rashid, sedendo al capezzale dell’inferma e prendendole una mano fra le sue.
“Tu credi che l’aggressore si trovi ancora qui?” domandò Letizia.
Rashid fece l’atto di rispondere alla domanda, ma Zaira lo prevenne:
“Conosco bene Hakam e la sua gente. – disse – Non lasciano mai  opera incompiuta. Ci proveranno ancora.”
“Credete… credete che siano state quelle belve sanguinarie?” domandò Letizia in tono sempre più apprensivo.
“Chi altri vorrebbe il male di una persona come la principessa Jasmine? - sorrise Zaira – Lei… lei è la loro Dea-Vivente… Quei pazzi sanguinari non desisteranno fino a quando non l’avranno nelle loro mani.”
“Questo non accadrà mai!” tornò a ruggire Rashid.
“Hhhhh! – la vecchia Alina, accoccolata su un cuscino ai piedi del letto, ebbe un sospiro -  Il mio sedativo farà dormire la principessa Jasmine, ma non può farla guarire.”

Come in risposta al rincrescimento della donna, la principessa Jasmine  cominciò a lamentarsi; Zaira si precipitò al capezzale.
Anche la vecchia lasciò il cuscino e si avvicinò, fece cenno a Rashid di scostarsi e sollevò il velo che ricopriva la ragazza.
Jasmine aprì gli occhi; erano ancora appannati e assenti.
“Senti dolore, principessa?” domandò Alina.
Jasmine richiuse gli occhi e li riaprì ancora, con l’evidente sforzo di chi fatica a riacquistare e riannodare fili pendenti di emozioni e sensazioni; rispose, infine, ma solo con un cenno affermativo del capo e tanto bastò per mettere in apprensione tutti quanti.
“Devo guardare la ferita. – disse Alina – Quei lembi irregolari non mi piacevano neanche un po’.”
Un cenno e Zaira si avvicinò con un catino d’acqua, spugna, garza  e bende.
Un’occhiata bastò alla vecchia Alina ed allo stesso Rashid per capire che la ferita s’era infettata; il giovane trattenne un grido di rabbia e contrarietà.
“Presto. – sollecitò la vecchia Alina – Portate nuovamente qui la cassetta dei medicinali.”

Letizia si allontanò verso l’interno della grande tenda, nella zona delle donne, dove Selima aveva riportato indietro la cassetta dei medicinali.

La cassetta era sparita.
Selima giurava di averla riposta là dove stava sempre, ma  adesso non ve n’era traccia.
“Forse basterà il mio unguento a sanare la ferita della principessa.” interloquì Zaira alle loro spalle; in mano la ragazza recava un’ampolla dal color amaranto.
“E’ un unguento che ho portato con me dal Tempio. – disse e  tutti tirarono un sospiro di sollievo che, però, si mutò in  disappunto quando la ragazza l’aprì e fece seguire un esclamazione soffocata - Misericordia degli Dei!… l’ampolla è vuota. – la ragazza tese il contenitore aperto e vuoto – Guarda. … Guardate il suo  prezioso contenuto… ahimè!… l’arsura l’ha evaporato.”
“Maledizione!” proruppe il grande predone.
“No! No! Non temere, Rashid. – lo rassicurò con un sorriso Letizia  – Zaira conosce il segreto di questo unguento. Se partirete subito alla ricerca delle erbe necessarie per…”
La voce sconfortata di Zaira, però, smorzò immediatamente gli entusiasmi:
“No! – disse, facendosi avanti – Il catha edulis e l’acacia senna ed anche la dendron myria – spiegò con accento mortificato – crescono tra i monti Akhadar, assai lontano da qui: andare alla loro ricerca, tornare e farne fermentare le radici richiede molto tempo e… ed è proprio quello che manca a Jasmine… il tempo!” aggiunse, girandosi verso l’inferma, pallidissima,  il bel volto madido di sudore gelido, sprofondato nel grande cuscino.

“Brucia! – proruppe Rashid – La  sua fronte brucia di febbre…”
“Non… non preoccuparti… troppo, Rashid… - Jasmine respirava con affanno; cercò un sorriso con cui rassicurarlo e rassicurare gli altri – C’è … c’è ancora un .. rimedio…” suggerì, sempre con quel sorriso, sofferente ma rassicurante, capace di raggiungere i meandri più profondi dello spirito inquieto del grande predone.
“Quale rimedio, mio bene infinito?” domandò lui, con un nodo in gola, accarezzandola con le mani e con lo sguardo: il sorriso di lei aveva conservato tutta la dolcezza, ma lo sguardo era  appannato ed adombrato, come lucernai ancora appesi alle porte di ruderi e rovine.
“Non… non resta che… cauterizzarla… cauterizzare la ferita.” suggerì lei.
“No! No! – inorridì Rashid; il pensiero tremendo di torturare la carne di lei così morbida e delicata, di deturparne la bellezza leggendaria – No!” fece cupo; Selima, alle sue spalle, era una sfinge.
“Non ancora!” la voce del piccolo Akim, proveniente dalla sala riservata agli ospiti, fece convergere gli sguardi da quella parte.
“Jasmine ha ragione! – riudirono la sua voce quasi priva di emozioni – Non resterà che cauterizzare la ferita se… - una brevissima pausa riempita dal silenzio più profondo e dal respiro altrettanto profondo del ragazzo che s’era fatto avanti -  … se il mio tentativo  dovesse fallire.” aggiunse  nel tono più misterioso ed enigmatico che gli era familiare ed interrompendo in sul nascere la replica di Rashid che, tuttavia, domandò:
“Quale tentativo?”
Il ragazzo non rispose;  scosse il capo dal grosso, coloratissimo turbante e tese la piccola mano bruna verso il contenitore che Zaira reggeva con entrambe le mani e con espressione sconfortata.
Akim lo prese e sedette per terra a gambe incrociate, poi,  con gesto imperioso, comandò il silenzio.

Profondo come la profondità stessa del deserto il silenzio cadde intorno a lui e anche fuori della tenda, dove fu proibito qualunque rumore, cosicché il “mago” potesse concentrare tutte le forze sull’ampolla e il suo contenuto: era ormai chiaro a tutti qual era il tentativo cui si riferiva il formidabile fanciullo.
Evitando perfino di respirare, si immobilizzarono tutti come statue; solo gli sguardi scorrevano dall’ampolla al ragazzo, in attesa del miracolo.
Un tremito leggero cominciò ad attraversare le mani del piccolo Akim, perle di sudore vennero ad imperlargli la fronte; il sembiante tutto sbiancò, divenendo esangue e cereo.
Un’eternità!
Chi poteva misurare il tempo che passava?
Un violento scatto scosse d’un tratto il corpo del ragazzo, una specie di convulsione, poi Akim si lasciò cadere su un fianco, con la piccola mano tesa verso l’alto.
Fu Rashid a lanciarsi in avanti per primo per raccoglierla e evitare che la spossatezza del ragazzo la facesse cadere, poi accorsero tutti gli altri e fu Zairaa ad occuparsi di lui: gli deterse il sudore e gli dette qualcosa per fargli riacquistare le forze perdute.