Furono finalmente fuori; davanti a loro la valle si stendeva assediata dalla calura, desolata e pietrosa.
“Oh! – esclamò la ragazza facendo un lungo respiro – Uhhh! Ma che caldo! Sembra di essere in una fornace. – si lamentò – Là sotto faceva freddo, ma quassù sento il calore arrivare da ogni lato.”
“R’ proprio così! – spiegò il ragazzo sistemandosi bene sulle spalle la piccola culla di cannicci – Assorbiamo calore non solo dal sole, ma anche dall’aria e dal terreno.”
“Ho sete.”
“Io pure e presto ne avremo ancora di più: l’aria è priva di umidità. Dobbiamo cercare subito dell’acqua o e ci disidrateremo presto e… attenta a dove metti i piedi o queste sporgenze te li ridurranno a pezzi.”
“Come torniamo al campo? Non sarà meglio aspettare la Cavalleria?”
“Ah.ah.ah… - rise il ragazzo – Ci staranno cercando, è vero, ma ci cerca anche l’amico Abdel, che a quest’ora avrà già scoperto la nostra fuga.”
“E allora? Cosa facciamo? Ci sono otto chilometri da qui al campo”
Il ragazzo non rispose subito; osservato il terreno tutt’intorno, valutata la distanza dal campo, la temperatura e la fatica, suggerì:
“Andremo verso Nord e ci fermeremo a riposare ogni quindici minuti.”
“Riesci a capire dov’è il Nord? Sai che io sono un pessimo marinaio, ah.ah.” rise lei, cercando di stemperare la crescente preoccupazione.
“I resti del Tempio di Hathor sono a nord del villaggio, seguiremo quella via. Copriti bene il capo e srotola le maniche della camicetta: dobbiamo evitare colpi di sole e trattenere i liquidi del corpo… e dobbiamo evitare di parlare. Tieni la bocca chiusa e respira col naso.”
“La marcia nel deserto ebbe inizio.
Il deserto!
Alì lo conosceva bene. Era un elemento ostile ed ingannevole: triplicava le distanze. Mezz’ora dopo, infatti, sembrò di aver percorso solo poca strada e intanto la piccola barca di cannicci sulle spalle si faceva più pesante ad ogni passo. Sedettero al riparo di un basso crostone roccioso a riposare, facendo attenzione alle insidie che poteva nascondere: serpi o scorpioni.
“Sei stanca?” domandò Alì; Isabella scosse il capo, ma a sua volta chiese:
“Ci sono bestie feroci qui intorno?”
“Ehi, principessa? – sorrise lui – Tu sei sotto la protezione di Anubi. Eccolo laggiù lo sciacallo, amico del Traghettare di Spiriti… eccolo laggiù, fra quei sassi.”
“Non verrà qui?”
“Oh no. Quello ha più paura di te, ma la sua presenza è buon segno.”
“Vale a dire?”
“Gli animali nel deserto si aggirano sempre in prossimità di qualche sorgente. Quello sciacallo ci porterà fino all’acqua.”
Trovarono l’acqua a meno di un chilometro, nella cavità naturale di un masso di duro e ferrigno basalto che l’aveva trattenuta dall’ultima pioggia; ne bevvero a lunghi sorsi, poi sedettero.
L’aria era opprimente, il suolo arroventato e la stanchezza, killer spietato, stava in agguato.
“Laggiù… - Isabella drizzò il braccio in avanti, facendo l’atto di alzarsi – Guarda laggiù, Alì… è la jeep di Alessandro.”
“Ferma. Ferma. Non ti agitare. – la trattenne il ragazzo – Stai calma. E’ solo un miraggio… E’ il bagliore della calura e della luce. E’ l’aria torrida della terra rovente. Chiudi gli occhi… E’ un miraggio – ripeté – Sono le immagini deformate delle rocce che ci circondano.”
“Dov’è Osor?”
“Vorrei saperlo anch’io.”
“Osor… Osor… Osor…” continuò a chiamare la ragazza, poi si avviò lentamente, libera e staccata, col sorriso e lo sguardo rivolto verso quell’altra esistenza.
“Osor… Sekenze… Amosis. – Isabella cominciò ad agitarsi - Amosis, aspetta. Sekenze non può venire con noi. Aspetta… aspetta…”
“Isabella! – la chiamò Alì. – Potenza di Allah! Sta delirando. E’ tornata laggiù.”
Con gesti affettuosi la sottrasse all’ingiuria del sole, poi tese l’orecchio. ma non udiva altro che lo scricchiolio della roccia che andava in frantumi.
Passò quasi un’ora prima che le ombre fluttuanti davanti ai suoi occhi partorissero ombre più chiare e distinte, poi udì chiaramente il suono di un clakson. Una jeep si fermò a pochi passi e ne discesero Alessandro ed Hammad; il professore si precipitò verso la sorella.
“Cosa è successo?” domandò chinandosi su di lei.
“Sta male. Sta delirando. – rispose il ragazzo sollevando il capo e proteggendosi con una mano gli occhi dall’ingiura del sole – Come avete fatto a trovarci?”
“E’ stato Osor a condurci qui. – rispose Hammad chinandosi anch’egli sulla ragazza – Lasciate che mi occupi di lei.”
Figlio del deserto, Hammad aveva con quell’elemento così insidiosamente affascinante, un rapporto odio-amore; ne aveva rispetto e timore, ma soprattutto, profonda conoscenza.
Bedu, in arabo, vuol dire deserto e, da sempre, nell’immenso oceano di sabbia, i Beduini realizzano un’esistenza libera ed indipendente e una capacità di adattamento e sopravvivenza unica e particolare.
Mentre Hammado si prendeva cura della ragazza, Alì spiegava le circostanze che li avevano condotti laggiù, infine mostrò la culla di cannicci..
“Isabella sostiene che questa sia la culla di Osor, sacerdote di Bes e che il nostro Osor sia la sua incarnazione…”
Hammad non lo lasciò finire:
“Venite. Presto! – li sollecitò; i due si avvicinarono – Ascoltate…”
“… a me davanti – ascoltarono la voce della ragazza che diceva – ren Nefer… a me davanti la morte…urreka za…de’lamdzi hri peri kess…”
Il volto di Isabella aveva assunto un’espressione sgomenta, le parole erano smozzicate e spezzettate, stentate e frammiste a suoni antichi, come di dialetti lontani.
Gli animi si riempirono di inquietudine.
“Che cosa sta dicendo? – chiese Alì – Sta ancora delirando?”
“No! – rispose il professore – Non sta delirando.”
“… dizeem ren Nefer… zeem Amosis… La morte davanti a Nefer… nel calice del loto… blu… vrong vee dt… a dong Nefer…”
“che succede?... Péerché parla così?” chiese ancora il ragazzo.
“Xenoglossia! E’ un caso di xenoglossia. – spiegò Alessandro – E’ la capacità di esprimersi in una lingua sconosciuta.”
“E in che lingua sta parlando?”
“Antico egizio.”
“Per la Barba del Profeta!”
“… di zeem… di zeem – continuava Isabella – A dong…”
“Ma che cosa sta dicendo?”
“Forse… A me pare una richiesta d’aiuto… Non so. Qualcosa del genere.”
“Non ho mai visto una cosa del genere.” confessò Hammad.
“E’ più frequente di quanto non si creda. – spiegò Alessandro – Si tratta di fenomeni sollecitati in condizione di grande tensione psichica in soggetti molto ricettivi… come Isabella in questo periodo.”
“… aiutatemi… la morte davanti a me… di zeem… a dong… nel calice… Isabella… di loto blu…Nefer… Osor…” continuava la ragazza.
“Osor!” ripeterono in coro i tre e si girarono verso la formidabile creatura che, immobile alle loro spalle, pareva essere tornata una statua.
“Osor!… Osor potrà spiegare ogni cosa e svelare ogni mistero.”