"Ti chiamano tutti il "Leone di Ar-Rimal" e sei da tutti temuto ed io dovrei temerti, Rashid, rais dei Kinda, ma il dolore per la morte di mio padre, per mano di questo assassino, - Il giovane Ben puntò lindice accusatore in direzione di Ibrahim - ha cancellato ogni paura dal mio cuore... - una pausa, riempita da un respiro pesante e affannato, nel silenzio più totale, poi riprese - Sono venuto a reclamare giustizia presso gli Anziani della tribù dei Kinda, ma il loro rais mi ha rimandato al Gran Consiglio delle Tribù... E qui, io sono ed esigo il sangue dell'assassino in cambio di quello di mio padre, sceicco dei Kaza."
Il lord inglese lasciò il suo posto ed avanzò di un passo o due. Aveva avuto già avuto occasione, durante gli anni in cui aveva assolto al compito di Assistente di carovane per la "Compagnia d'Arabia" a nome della Graziosa Maestà, la regina Vittoria, di verificare la natura infida dei Kaza, sleali nelle alleanze e sempre pronti al tradimento. Gente perennemente in condizione di dipendenza da altre tribù, pronta all'ossequio, ma atta al tradimento.
"Falso e spergiuro! - irruppe, nell'empito di un furore incontenibile ed estraneo all'abituale flemma, attirando su di sé la generale attenzione - Tu sei il solo responsabile della morte di tuo padre... Tu soltanto!" scandì con durezza.
Un brusio si levò sull'assemblea.
"Mi accusi della morte di tuo padre ben sapendo che si tratta di una spregevole menzogna, Ben Hassad. - anche Ibrahim intervenne nel drammatico battibecco - Tu mi hai aggredito con il tuo pugnale, ospite sotto la tenda di tuo padre, lo sceicco Feysal... Sai bene, Ben Hassad, che quando tuo padre ha tentato di dividerci, è caduto sulla mia arma... Io ho un testimone." aggiunse, indicando il lord inglese.
"Ho un testimone anch'io! - replicò Ben, poi batté le mani e fece un nome - Nazir!".
Un uomo si fece avanti, un uomo sui quaranta anni. Non alto, smilzo, il mantello color tabacco un po' consunto, un ricurvo ganbiya infilato nella cintura; l'accompagnavano due giovani, certamente appartenenti alla sua gente.
L'uomo prese subito la parola.
"Chiamo Allah a testimone - cominciò, quasi in sordina - su quanto i miei occhi hanno veduto e le mie orecchio hanno udito... - s'interruppe, per lanciare un'occhiata tutt'intorno, poi riprese, un po' più baldanzosamente - In verità, ho visto quest'uomo - indicò Ibrahim - entrare sotto la tenda di Feysal, lo sceicco dei Kaza e minacciarlo."
"Tu menti! - l'apostrofò Rashid - Quali minacce hai udito dalla bocca di Ibrahim?"
"Egli diceva: se non paghi il tributo, ti sgozzo all'istante."
"Ma non è vero niente! Non è vero niente!" intervenne sdegnato sir Richard, ma l'altro continuò:
"Ho sentito che diceva a Feysal: tieniti pure tua figlia Kassida, perché io ho già la mia promessa e siccome Feysal insisteva che avrebbe pagato il tributo solo se avesse riparato al disonore fatto alla sua famiglia, egli ha tirato fuori il pugnale e l'ha colpito... Solo per intimorirlo, ha detto a suo figlio Ben Hassad, quando è accorso... ma Feysal era già morto."
Ibrahim era furibondo.
"Spergiuro! - urlò - Che cosa hai ottenuto in cambio di queste menzogne? Un Qaathn!.. Phua! - fece con disprezzo - Spergiuri ed ignavi! " aggiunse accompagnando le parole con un moto d'ira repressa.
Neppure sir Richard riuscì a frenare la propria collera e non seppe trattenere uno scatto d'ira. Conosceva bene la gente di quella tribù: ignavi, come aveva detto l'amico Ibrahim e feroci. I Qaathn non possedevano nulla all'infuori della propria persona: né beni, né animali. Non possedevano neppure tende, poiché il posto sotto cui si riparavano erano teloni retti da pali infissi nel suolo. Vivevano di razzie e di espedienti e la pace che lo sceicco dei Kinda e lo sceicco degli Aws, tanto faticosamente erano riusciti ad assicurare su tutto il territorio, a loro risultava sgradita e snervante.
L'uomo fece l'atto di replicare, ma qualcuno prese la parola al suo posto: uno degli anziani del Gran Consiglio.
"Il Giudizio di Allah!" propose, fissandolo in faccia con espressione tra il sospetto e la curiosità: insolita, nelle riunioni e negli incontri, la presenza di gente come i Qaathn, pareva pensare, gente priva di qualunque ideale od obiettivo.
Nazir impallidì.
"Dico la verità. - replicò - Perché sottopormi a Giudizio?"
"Hai paura?" insinuò il vecchio.
"Non sono colpevole... perché dovrei aver paura?" tornò a replicare l'altro con un fatuo sorriso sulle labbra.
"Allora vorrai sottoporti alla prova!"
"Ma perché? - il sorriso cominciava a trasformarsi in smorfia - Perché se dico il vero?"
"Per conoscere anche noi la verità!"
"Il Giudizio di Allah! - convenne Rashid - Decidano gli Anziani."
"Con la lingua ha sfidato l'Onnipotente, con la lingua provi la sua innocenza!" declamò l'anziano e Nazir divenne cereo: quella della lingua era una delle più tremende prove a cui si ricorreva per accertare la colpevolezza o l'innocenza di un accusato.
Si arroventava una lama e la si passava sulla lingua; se dopo il trattamento il malcapitato riusciva ancora a parlare, la sua innocenza era provata.
L'anziano porse il proprio pugnale ad un beduino ed accennò alla brace su cui le donne stava