Un uomo si fece avanti, un uomo sui quaranta anni. Non alto, smilzo, il mantello color tabacco un po' consunto, un ricurvo ganbiya infilato nella cintura; l'accompagnavano due giovani, certamente appartenenti alla sua gente.
L'uomo prese subito la parola.
"Chiamo Allah a testimone - cominciò, quasi in sordina - su quanto i miei occhi hanno veduto e le mie orecchio hanno udito... - s'interruppe, per lanciare un'occhiata tutt'intorno, poi riprese, un po' più baldanzosamente - In verità, ho visto quest'uomo - indicò Ibrahim - entrare sotto la tenda di Feysal, lo sceicco dei Kaza e minacciarlo."
"Tu menti! - l'apostrofò Rashid - Quali minacce hai udito dalla bocca di Ibrahim?"
"Egli diceva: se non paghi il tributo, ti sgozzo all'istante."
"Ma non è vero niente! Non è vero niente!" intervenne sdegnato sir Richard, ma l'altro continuò:
"Ho sentito che diceva a Feysal: tieniti pure tua figlia Kassida, perché io ho già la mia promessa e siccome Feysal insisteva che avrebbe pagato il tributo solo se avesse riparato al disonore fatto alla sua famiglia, egli ha tirato fuori il pugnale e l'ha colpito... Solo per intimorirlo, ha detto a suo figlio Ben Hassad, quando è accorso... ma Feysal era già morto."
Ibrahim era furibondo.
"Spergiuro! - urlò - Che cosa hai ottenuto in cambio di queste menzogne? Un Qaathn!.. Phua! - fece con disprezzo - Spergiuri ed ignavi! " aggiunse accompagnando le parole con un moto d'ira repressa.
Neppure sir Richard riuscì a frenare la propria collera e non seppe trattenere uno scatto d'ira. Conosceva bene la gente di quella tribù: ignavi, come aveva detto l'amico Ibrahim e feroci. I Qaathn non possedevano nulla all'infuori della propria persona: né beni, né animali. Non possedevano neppure tende, poiché il posto sotto cui si riparavano erano teloni retti da pali infissi nel suolo. Vivevano di razzie e di espedienti e la pace che lo sceicco dei Kinda e lo sceicco degli Aws, tanto faticosamente erano riusciti ad assicurare su tutto il territorio, a loro risultava sgradita e snervante.
L'uomo fece l'atto di replicare, ma qualcuno prese la parola al suo posto: uno degli anziani del Gran Consiglio.
"Il Giudizio di Allah!" propose, fissandolo in faccia con espressione tra il sospetto e la curiosità: insolita, nelle riunioni e negli incontri, la presenza di gente come i Qaathn, pareva pensare, gente priva di qualunque ideale od obiettivo.
Nazir impallidì.
"Dico la verità. - replicò - Perché sottopormi a Giudizio?"
"Hai paura?" insinuò il vecchio.
"Non sono colpevole... perché dovrei aver paura?" tornò a replicare l'altro con un fatuo sorriso sulle labbra.
"Allora vorrai sottoporti alla prova!"
"Ma perché? - il sorriso cominciava a trasformarsi in smorfia - Perché se dico il vero?"
"Per conoscere anche noi la verità!"
"Il Giudizio di Allah! - convenne Rashid - Decidano gli Anziani."
"Con la lingua ha sfidato l'Onnipotente, con la lingua provi la sua innocenza!" declamò l'anziano e Nazir divenne cereo: quella della lingua era una delle più tremende prove a cui si ricorreva per accertare la colpevolezza o l'innocenza di un accusato.
Si arroventava una lama e la si passava sulla lingua; se dopo il trattamento il malcapitato riusciva ancora a parlare, la sua innocenza era provata.
L'anziano porse il proprio pugnale ad un beduino ed accennò alla brace su cui le donne stava scaldando il caffè.