Jasmine guardava la figura di Rashid immersa in tanta suggestione, affascinata e trepidante d'amore. Giovane, bello, irruente, l'aitante, indomita giovinezza, l'aspetto fiero da antico guerriero: di quelli che consumano l'inchiostro degli scrittori e il colore dei pittori.
Anche lui la guardava da lontano; come in attesa.
Lei avanzò, attirata dal richiamo di quello sguardo, come l'ape è attratta dal fiore; avanzò con la sua ciotola in mano e con lo sguardo di velluto carico di promesse, la pelle vibrante d'amore.
Ma ecco, proprio al culmine di tanta eccitazione, il suo spirito trasformarsi in un campo di macerie; ecco l'improvvisa necessità di porre freno a tanta emozione: Selima aveva raggiunto Rashid e gli stava offrendo lo stesso cibo.
Jasmine rimase a guardarli mentre lei gli accostava alle labbra un boccone di carne con lo slancio di un gesto di passione; rimase a guardarli mentre lui l'accettava con un sorriso. Con gradimento.
Una fitta al cuore le dilatò le pupille: batteva così forte, che dovette toccarsi il petto per placarlo; sul bel volto comparvero smarrimento e sgomento e lasciò passare solo qualche attimo prima di voltare le spalle ed allontanarsi.
Si fermò soltanto quando sentì le lacrime scorrerle lungo le guance e si accorse di piangere.
"A chi è destinato quel cibo?"
La voce di Rashid, tenera e gioiosa, la fece trasalire; era di spalle e lei non poteva vedere il suo volto e l'eccitazione dl suo sguardo fisso su di lei.
"A nessuno!" rispose e ripeté quel gesto che già tante volte lui le aveva impedito di fare: senza voltarsi chinò il capo e si calò il velo sul volto.
"Sai chi era Nessuno? - lui si chinò a sfiorarle la nuca con labbra - Era un grande guerriero di cui parlava sempre il professor Marco... si chiamava Ulisse, in realtà..." proseguì, facendole fare una piroeetta e attirando a sé la sua figuretta fluttuante di veli.
Rashid la strinse a sé quasi con impeto. Lei si irrigidì, ma non lo respinse. Lui la liberò del velo, poi serrò la stretta e si chinò a baciarla sulla guancia. Lei non reagì. Lui continuò e con la bocca cercò quella dolcissima curva tra la nuca e collo e vi affondò le labbra.
"Vieni." disse infine, allentando appena la stretta e guidandola in un posto appartato, dove risate, musica e canti, giungevano solo in sordina. Soli. Lontani dal mondo. Pian piano Rashid scivolò a terra con lei, facendo attenzione a non rovesciare il contenuto della ciotola, poi le sedette di fianco e guidò la mano di lei, che scomparve in quella di lui forte e grande, a rovistare all'interno della ciotola in cerca di un pezzo di carne che si portò alle bocca.
"Non sei ancora sazio? - fece lei con leggera, amara ironia, lasciandolo fare - Non ti é bastato il cibo che ti ha offerto Selima?"
"Ah.ah.ah..." scoppiò in una bella risata Rashid, con la bocca ancora piena, poi tornò a ripescare nella ciotola in cerca di un altro pezzo di carne che portò alla bocca di lei.
Si guardarono negli occhi, mentre mangiavano, e si scambiarono quello che era un messaggio di desiderio carnale.
Lui non staccava gli occhi da quelli di lei, sfavillanti del chiarore lunare.
"Oh, Jasmine...." proruppe infine, lasciando andare la ciotola, poi le circondò la vita con un braccio e l'attirò contro il proprio fianco e nell'incavo delle braccia. La imprigionò con tenerezza e le sciolse i capelli, per costringerla ad alzare la testa e lasciarsi baciare sulle palpebre abbassate, sulle guance e agli angoli della bocca. Passò poi ai lobi delle orecchie e scivolò sulla nuca per sostare con ghiotta piacere su quella curva morbida e tenera tra collo e nuca.
Jasmine si lasciò sfuggire un gemito di piacere, allungò un braccio per circondargli il collo e restituì il bacio sulla guancia ispida di barba, mentre le dita affondavano tremanti nella massa dei capelli di lui che, con le labbra semiaperte, scendeva giù dalla gola fino al seno.
Un fremito attraversò il corpo di Jasmine che fece l'atto di ritirarsi, felice ma spaventata.
Rashid la trattenne, ma anch'egli era spaventato. Spaventato e come indifeso al cospetto di tanta purezza ed innocenza: avvertiva il rossore delle sue guance contro la pelle eccitata del suo petto nudo sotto il mantello di cui si liberò con uno strattone.
La desiderava come non aveva desiderato mai altro nella vita e sapeva che anche in lei c'era lo stesso desiderio. Aveva colto lo splendore del suo sguardo quando i loro occhi si erano incontrati e quando i finchi si erno avvicinati. Aveva sentito il fremito della sua mano mentre gli accarezzava i capelli e della sua bocca mentre lo baciava, ma non voleva spaventarla.
Lui non era abituato al rifiuto e nessuna delle numerose donne da cui aveva avuto picere, aveva mai mostrato ritrosia, ma Jasmine era diversa e lui la voleva così com'era: quasi irraggiungibile. La voleva perché lei sola sapeva guardarlo in quel modo infinitamente appagante, come se lui soltanto esistesse al mondo; lei sola sapeva guardarlo con negli occhi qualcosa che gli faceva fremere la carne di languore tenero e sensuale; lei sola sapeva accendere il desiderio e farlo irrompere come lo straripare di un wady dopo la pioggia, incontenibile ed irresistibile.
Rashid fermò il proprio impulso, ma continuò a tenerla stretta a sé; le mani tornarono a cercare la pelle nuda della schiena sotto la tunica e la bocca tornò a saziarsi agli angoli di quella di lei, prima di sentirla aprirsi tra le sue, come un fiore appena sbocciato tra le mani.
Lei fremeva e lui le prese una mano e la guidò su di sé per insegnarle a riconoscerlo in ogni parte del corpo e il fremito della sua mano, piccola e delicata, divenne tremore. Lei non l'allontanò. Come un bimbo che esplora l'ignoto, la mano di lei continuava a percorrere il corpo di lui, timida ed eccitata insieme. Con la gioia febbrile di sentire i loro corpi aderire, di assaporare il piacere della bocca di lui premuta sulla sua, esigente e compiacente; di scoprire piaceri sconosciuti e sognati, indomabili... come l'istinto. L'istinto di amare. E lui captò, come in un lampo, in una saetta, il verde balenio dei suoi occhi fissi nei suoi: innocenti, innamorati e quasi supplici. E di colpo capì.
Cap. XI - parte terza
