Nella parte più interna del palazzo, una ragazza sostava all’ombra di una colonna. Seduta sul bordo di una vasca che ospitava ninfee e loti, guardava oltre la siepe della balaustra rossa di bacche carnose e verde di foglie rigogliose; guardava i tetti delle case, i pinnacoli dei minareti, le strade.
Diciassette o diciotto anni, era snella ed armoniosa nei tratti del corpo che si indovinavano sotto la veste di broccato che lei stessa aveva intessuto nelle lunghe ore della sua laboriosa giornata, perché la donna islamica non trascorreva mai in ozio il suo tempo… a meno che non facesse parte di quella folta schiera che popolava un harem.
Ogni tanto si girava a guardare verso l’interno, come in attesa di qualcuno, poi tornava a riassettarsi, con gesto grazioso, la candida camicia e i larghi calzoni di leggerissima seta, impreziositi da un corsetto ricamato ed annodato sul seno; una cintura dorata e morbide babbucce, anche queste dorate, completavano il suo abbigliamento.
La figura era delicata come un fiore cresciuto in serra e gli straordinari occhi verdi erano pieni di splendore, nutriti di sogni e fantasie. Dolci ed allungati verso le tempie, rivelavano innata curiosità e sensibilità; il candido jasmac di finissima mussola che le copriva il volto, li faceva risaltare come due puri smeraldi.
Quella ragazza era Jasmine, pupilla del Sultano.
Era da sola e reggeva un libro chiuso tra le mani. Voci e risate, però, le sue ancelle che giocavano a palla, giungevano da vicino, oltre la grande siepe dietro cui s’era appartata per assaporare quell’attimo di solitudine.
La principessa di Doha amava la solitudine e correva a rifugiarsi in quell’angolo luminoso per rifuggire dagli odori e dai profumi dell’harem e per sfuggire al buio dei corridoi. Da quei giardini, in posizione elevata, poteva guardare la città di sotto: i tetti, le strade, i palazzi e quella nebbiolina misteriosa e dorata che saliva verso l’alto, simile al suo trasparentissimo velo, e rendeva morbidamente sfocati i colori dei boccioli ancora chiusi dei fiori della grande siepe.
Jasmine era una ragazza sensibile e romantica e come tutte le persone romantiche, anche amabile, introversa e con il bisogno quasi istintivo di crearsi un posto appartato e silenzioso dove rifugiarsi per consumare la solitudine come una preziosa leccornia Solo così l’animo si apriva all’emozione, come le gemme alla rugiada, perché nulla come la solitudine suscitava nel più intimo riposto del suo animo, ansie e costrizioni nascoste. E poteva vedersi correre, attraverso gli spazi infiniti creati dalla fantasia, in sella al suo amato cavallo ed offrire il volto e i capelli al vento. Libera e non segregata. Perché lei non era quel fiore di serra fragile e delicato, ma un fiore sbocciato in mezzo al deserto. Lei era come una di quelle meraviglie della natura, inimitabili, che si aprivano alla vita dopo una di quelle brevi e violente piogge del deserto e che non avevano uguali in bellezza e profumo.
“Jasmine…”
Una voce di donna la distolse dalle fantasticherie evocate dal richiamo irresistibile proveniente dal mondo oltre quella siepe; lo splendido piumaggio della ruota aperta a ventaglio di un vanitoso maschio di pavone, alle spalle, cercava di attrarre l'attenzione di una femmina. (continua)