CAPITOLO V - La danza degli specchi

CAPITOLO  V  -  La danza degli specchi

Al limitare di una folta giuncata un gruppo di cicogne si levò in volo oscurando il sole, prima di disporsi in una lunga fila; seduta su uno scanno di canne, Nefer le seguì con lo sguardo fino a quando, accecata da Horo, non li vide scomparire oltre il canneto da cui proveniva uno schiamazzare di anitre.
Ad una delle ragazze che stavano esibendosi nella “Danza degli Specchi”, sul piazzale antistante la cabina ove erano il Faraone e i suoi ospiti, la principessa chiese lo specchietto che quella reggeva in mano.
La “Danza degli Specchi” era una delle più aggraziate rappresentazioni musicali ed era eseguita da ragazze molto  giovani ed elegantemente abbigliate.
Nefer sorrise al proprio volto riflesso nello specchio; sorrise agli occhi sfavillanti che la guardavano ed in cui erano racchiusi sogni e fantasie. La mano le tremava, però, e il manico dello specchietto tremava con essa: lo sguardo, dal fondo di quella superficie d’argento tirata a lucido, aveva catturato il suo e lo tratteneva.
La principessa capì di avere di fronte l’altra “se stessa” e la chiamò:
“Nefer?… Ti chiami Nefer anche tu?… No!… Tu non ti chiami Nefer. Il  tuo nome…. oh, adesso ricordo… il tuo nome è Isa…Isabella. Sì! Il tuo nome, nei miei sogni, è Isabella… Tu sei il Ka di Nefer.. Sei il suo Spirito e il tuo nome è Isabella… - un attimo di attonito, meraviglioso stupore, poi riprese - Parla con Nefer, Isabella… Parla… parla, ti prego…”
Dall’ “altra parte”, Iabella sorrideva!

La principessa Nefer era conscia che la sua voce non poteva raggiungerla. La “sentiva” dentro di sé, nello sguardo, nel cervello, nel sangue, ma intuiva l’enorme distanza che le separava l’una dall’altra.
“Isabella…” chiamò ancora, consapevole che quello non era soltanto un sogno, frutto della sua fantasia, ma una concessione degli Dei, una virtù divina che le permetteva di vedere l’immagine del suo Ka, prima della partenza per la Duat, l’Oltretomba.    
“Isabella…” la chiamò per la terza volta.
Non ottenne risposta e pian piano, al lento movimento della grande barca, le palpebre le si appesantirono. Chiuse gli occhi e si lasciò scivolare in un dolce dormiveglia fino a quando una voce non la chiamò:
“Nefer… Nefer, figlia mia”
Aprì gli occhi: un volto dolcissimo ed amato aveva preso forma in mezzo alle nebbie del sonno.
“Madre… madre mia…” bisbigliò.
“Attenta, figlia! Attenta, Vita della mia Vita! La lunga mano del figlio di Teshnut si tende… si tende per allontanarti dalla tua ombra…”
Uno scarto della grossa barca la scosse e la svegliò.
“Madre… - continuò ad invocare, spalancando gli occhi – Madre, dove sei?”
Accecata dal sole che riverberava sull’acqua, li richiuse; si passò una mano tra i capelli in cui le si era insinuato un soffio di vento.
“Nefer.” 
Ancora si sentì chiamare, ma la voce non arrivava da lontano. Riaprì gli occhi e riemerse da quel mondo dei sogni popolato di misteri.
Una figura era frapposta fra lei e il sole, pochi passi più avanti. La riconobbe.
“Thotmosis.” esclamò lasciando lo scanno; si riassettò le vesti e raggiunse il fratello.

Alto e snello, il principe Thotmosis aveva lasciatola poco l’età dell’adolescenza. Aveva i fianchi coperti da una rigida cintura di cuoio nero da cui pendevano un pugnale ed una frusta. Sul petto portava un ampio collare shebiu composto di dischetti tenuti insieme da una maglia d’oro e i piedi calzavano sandali di papiro colorato. Polsi e braccia erano chiusi entro bracciali d’oro massiccio e in testa, un copricapo nemes, nero e a righe gialle, sormontato da un urex, nascondeva la singolare capigliatura scura che fino a poco tempo prima aveva esibito trattenuta nella “treccia della fanciullezza”.
Andò incontro alla sorella a braccia aperte.
“Nefer! – esclamò con trasporto - Ti ho vista danzare per il Faraone e posso dire di non aver visto danzatrice più graziosa della mia sorellina.”
“Guarda il dono che mi ha fatto il Faraone, nostro padre.”
Nefer gli mise sotto il naso lo splendido anello che esibiva al dito medio. Un po’ grande, forse, ma assai prezioso: quello non era un semplice anello, ma un Sigillo. Un Sigillo Reale e recava inciso sulla superficie, il cartiglio del faraone Meremptha.
“Oh! – non riuscì a trattenersi dall’esclamare  il principe Thotmosis – Nostro padre deve aver gradito assai la tua danza, sorellina, se ti ha regalato uno dei suoi Sigilli… Un Sigillo Reale! E’ davvero un dono assai prezioso… ma… che cos’hai? Ti vedo un po’ strana e confusa.” osservò con un sorriso affettuoso.
“E’ come tu dici, fratello mio… mi sento strana e confusa.”
“Per il Cranio Rilucente e Calvo di Ptha! Vuoi dire… vuoi dire che… - la ragazza fece un cenno affermativo col capo e l’altro proseguì – Sono tornati? I fantasmi sono tornati?”
“Quelli del passato e anche quelli del futuro. – assentì la ragazza – Sì. Sono tornati.”
“Hai incontrato l’altra te stessa? Non mi sembri felice, però!” replicò il fratello.
“Sono turbata. – confessò la principessa – Sono molto turbata, perché insieme al mio Ka, è venuta a visitarmi anche il Ka di mia madre, la regina Telika.”
La regina Telika era una delle Spose Secondarie del Faraone, morta in circostanze misteriose un giorno in cui con un’ancella stava facendo una traversata sul Nilo.
“Oh! – fu lo spontaneo commento del ragazzo – Il Ka di tua madre non ha trovato ancora pace.”
“Il Ka di mia madre non troverà pace fino a quando il suo uccisore non si troverà anch’egli al cospetto di Osiride e dei  Quarantadue Giudici. – esclamò con veemenza la principessa – Il Ka dell’ucciso si rivolta se  il suo uccisore attraversa la sua Ombra.”
“Conosci il nome del suo uccisore?”
“No! Mia madre, però, mi ha messo in guardia da una persona, dicendomi che potrebbe nuocermi.”
“Chi è questa persona?”
“E’ il giovane Enen,  il figlio del Venerabile Teshnut. Mia madre mi ha esortato alla prudenza poiché  quell’Enen, dice, ha seminato la mia strada di pericoli ed inganni. Io, però, non so come questo possa accadere: questo Enen, io nemmeno lo conosco. So, però, che è saggio tener conto dei suggerimenti che vengono dal mondo dei sogni.”
Teshnut era un alto funzionario di Stato, insignito di vari titoli, fra cui quello assai prestigioso di”Amico del Re” ed era un uomo assai potente. Aveva accompagnato il Faraone nella spedizione militare contro il principe libico Marane e i suoi  alleati venuti dal mare e adesso con accanto il figlio Enen, che la principessa Nefer vedeva per la prima volta, stava cogliendo gli allori e i favori del Faraone.
“Per le Sacre Zanne di Upuat l’Apritore dei Cammini! – esclamò il ragazzo dopo una breve riflessione – Teshnut è un uomo molto potente e mi guarderei bene dal muovere accuse a lui ed a suo figlio senza prima aver cercato una valida protezione.”
“Io sono una principessa di sangue reale!” replicò Nefer.
“Allora potresti denunciare le loro cattive intenzioni al Faraone. – suggerì il fratello, ma subito dopo aggiunse-  Però devi presentare prove ben circostanziate, quando ti troverai davanti a Giudici a sostenere le tue accuse. Le hai queste prove, sorellina mia?”
“No! - fece sconsolatamente lei – Pensavo di chiedere consigli a te.”
“Io non saprei cosa suggerirti, sorellina mia. Conosco, però, la persona giusta per un buon consiglio.”
“Osor, l’Esposto!… Ma certo, Thotmosis… Perché non ci ho pensato io? Andrò alla Città dei Morti e parlerò con lui. Osor è molto saggio e saprà ben consigliarmi.”
“Certamente! Disse il fratello - Ricordi il giorno in cui incontrammo lui e quella simpatica canaglia di Ankheren, quando fuggimmo da Palazzo per andare nella Città dei Morti? Io verrò con te. Mi piacerebbe rivedere…”
Il principe Thotmosis non ebbe il tempo di concludere la sua frase poiché, proprio in quel momento, uno dei soldati della Guardia Reale lo chiamò e il principe, sia pure a malincuore, dovette lasciarla.

Rimasta da sola, la principessa restò per qualche attimo a guardare il fratello allontanarsi: Thotmosis era il comandante della Guardia Reale, un contingente di giovani soldati, prigionieri di guerra, senza leggi né regole, ma fedeli ad un capo che sapesse disciplinarne l’esuberanza senza mortificarne lo spirito di libertà.
Thotmosis, ultimogenito maschio del Faraone, carattere ribelle ed esuberante, era il capo giusto per quella gente.