Alì?... Sei tu? Non sei Thotmosis? – la ragazza si stropicciò gli occhi e fissò il volto dell’amico chino sopra di lei – Che cosa è successo?”
Non ricordi?... L’Antro di Mertseger… il terremoto. Un masso si è staccato dal soffitto cadendoti addosso. Non ricordi?”
“Il terremoto? Oh, sì! La terra tremava e la Cima danzava…Ricordo perfettamente.”
“Ma che cosa stai dicendo? Di quale cima stai parlando? Hai avuto una visione? – domandò il ragazzo – Sei tornata nel mondo della principessa Nefer?”
“Osor… ho incontrato Osor.”
“Hai incontrato Osor? Hai visto la statua del nostro Osor?”
“Non era una statua – Isabella scosse il capo – ed era il sacerdote di Bes, il Guardiano della Soglia che, fin dal suo abbandono alla nascita, lo ha posto sotto la sua protezione e che è giunto qui in balia…”
“Ma come parli? Non capisco quello che dici? Chi è questo Bes?”
Isabella trasse un lungo sospiro prima di riprendere.
“Bes era una Divinità minore, adorata dagli artigiani della necropoli di Tebe. – spiegò – Era una figura bizzarra e dal piccolo corpo deforme. Fu il protettore del piccolo Horo, ma anche il Signore delle Sabbie del Sonno e Osor, era il suo Sacerdote.”
“Per la Barba del Profeta! – esclamò Alì – Ma cosa mi stai dicendo!”
“Bes – continuò la ragazza – lo aveva scelto perché Osor era una creatura speciale: un essere superiore per discendenza tellurica.”
“Discendenza tellurica? Che cosa vuol dire?”
“Tellus Mater, come dicevano gli Antichi: Madre Terra, fonte di forza ed energia trasmessa agli uomini al momento di una nascita in particolare condizione. Le genti antiche erano legate all’ambiente circostante in modo così stretto che la mentalità moderna non potrebbe neppure immaginare.”
“Sarebbe a dire?”
“Osor era un bambino esposto, cioè abbandonato alla terra: un atto, questo, che lo restituiva alla Terra facendo di lui un terrae filius , cioè “figlio della Terra”. Un bambino esposto era considerato un essere superiore se la Terra Madre a cui era stato affidato con l’abbandono, lo avesse protetto e nutrito evitandogli la morte.”
“Come il Mosè della Bibbia!” osservò Alì, la ragazza annuì e proseguì:
“.. e come molti altri eroi di altre culture: Romolo, fondatore di Roma, il biblico Hiram, Perseo, l’uccisore della Medusa e altri ancora…Ho incontrato Osor proprio qui, nel tempietto di Bes, dove ha predetto la morte alla principessa Nefer. Devo tornare laggiù per salvarla.”
“Tu non puoi. – esclamò il ragazzo con accento preoccupato – Tu non puoi interferire nel destino di un’altra persona. Non puoi evitare che accada ciò che è già accaduto. Tentare di allontanare il Destino, proprio o di un altro, serve soltanto ad avvicinarlo ancora di più.”
“Devo tentare!” insistette caparbia Isabella.
Qualcosa di più forte della curiosità la spingeva verso l’ignoto.
“Ascolta. – Alì le parlava in tono dolce e suadente, così come si fa con un bimbo capriccioso che si vuol ricondurre all’obbedienza – Non si può avere qualcosa che appartiene ad altri… se fosse qui, Osor te lo direbbe.”
“Osor… - mormorò lei a fil di voce; le mani le tremavano mentre faceva quel nome – Siamo stranieri, noi due, per questo nessun destino e nessuna consuetudine di nessun posto potrà legarci mai a qualcosa… Devo tornare laggiù… qualunque cosa accada!”
“E va bene! – si arrese il ragazzo – Prima, però, dobbiamo uscire da qui, ma abbiamo di fronte un bel problema davvero.” sospirò.
“Quale problema?” domandò la ragazza.
“Un problema da qualche tonnellata di peso: l’uscita di questa grotta è ostruita da un grosso blocco di pietra e ci vorrebbe la fede di Maometto per spostarlo.”
“E chi ce l’ha messo?”
“Gli uomini di Abdel il Rosso, suppongo.”
“Abdel il Rosso?... Già! Me n’ero scordata. Come faremo ad uscire?”
“Dev’esserci un congegno all’esterno che lo fa scorrere.”
“Ma perché Abdel ricorrerebbe ad una cosa così teatrale per entrare ed uscire da qui? Mi sembra di essere nella grotta della montagna di Alì Babà e i suoi ladroni. Perché non proviamo con: Apriti sesamo?”
“Vedo con piacere che non hai perso il buon umore.” sorrise Alì.
“Cosa facciamo adesso?”
“Cercheremo un’altra uscita.” rispose il ragazzo sollevando la torcia, la cui luce restituiva solo tenebre cosparse di ombre. D’un tratto, però, investì qualcosa sopra le loro teste, tra le pietre sporgenti del soffitto.
“Guarda.- disse Alì – Sembra una cesta.”
Isabella aguzzò la vista.
“E’ una culla! – disse con voce improvvisamente alterata dall’emozione –E’ una piccola culla di cannicci spalmati di bitume. – spiegò quando l’ebbe tra le mani, dopo che Alì si fu arrampicato per prenderla – E’ come quella in cui fu trovato Osor.”
“Vuoi dire che potrebbe essere appartenuta ad Osor? – fece eco il ragazzo, poi replicò, dopo una breve pausa – Ma perché qui e non nel Tempietto di Bes, di cui Osor era sacerdote? – ancora una pausa, poi riprese – Per la Barba del Profeta! Se fosse così, sarebbe una cosa davvero strabiliante.”
“Ho già visto questa culla. – insistette sicura e decisa la ragazza – Nodi di pescatori del Delta… solo quella gente conosceva l’arte di quest’intreccio.”
“Come fai a sapere queste cose?”
Isabella scosse il capo e proseguì:
“Questa culla e il suo intreccio sono gli unici indizi sulle origini di Osor, che ha lasciato il segreto della sua nascita tra le canne del Nilo. Dobbiamo portar via questo oggetto e farlo esaminare, ma… come facciamo ad uscire da qui?”
“Usciremo. Usciremo! Questo è il nascondiglio di Abdel e da qualche parte ci sarà il suo tesoro trafugato. Ci torneremo con mio padre e il professore, ma ora cerchiamo una seconda uscita che… sarà sicuramente da qualche parte.” aggiunse vedendo l’espressione preoccupata di Isabella.
Imboccarono un cunicolo e si trovarono in una grande grotta dalla volta alta ed irregolare; massi di ogni forma e dimensione sporgevano da pareti e pavimento.
Isabella si guardò intorno alla luce bluastra della torcia elettrica.
“Mio Dio! Non usciremo mai da questa trappola.” disse con sconforto.
“No! – la rassicurò Alì indicando una fessura nell’alto del soffitto – Quella è la nostra salvezza. Vedi, principessa, la natura stessa ci viene incontro. Il rilievo montuoso, qui, è costituito da altipiani solcati da valli di impluvio e…”
“Ehi, professore, - scherzò la ragazza – smettila di fare lezione e scendi dalla cattedra. Se hai intenzione di arrampicarti lassù, sei pazzo.”
“Possiamo farcela. Sarà come scalare una montagna.”
“Ohhh! Io non salgo neppure su una sedia, figuriamoci se mi arrampico lassù e poi, per scalare una montagna occorrono corde,chiodi e piccozze.”
“Prenderemo le corde che ci sono di là. Ce la faremo. Vedrai.”
Alì si allontanò per recuperare una corda abbandonata per terra vicino all’uscita.
“Io non ce la farò mai!” disse subito la ragazza.
“Invece sì! Un passo dopo l’altro… a tappe. Io ti aiuterò. Adesso aspetta… salgo per primo e ti lancio la corda.”
“E chi si muove!”
Il primo tratto, cinque o sei metri, era relativamente facile: grossi massi disposti irregolarmente ne facilitavano l’arrampicata. Alì si caricò sulle spalle la corda e cominciò la scalata con speditezza; la ragazza lo guardava saltare agilmente da un masso all’altro, fin a quando non lo vide raggiungere un breve spiazzo a quasi quattro metri di altezza. Qui Alì si fermò.
“Tocca a te, principessa. – il ragazzo le lanciò la corda – Non aver paura e legati la corda attorno alla vita… così!”
“E va bene..: prima o poi si muore!” sorrise Isabella legandosi la corda in vita e seguendo punto per punto i suggerimenti; raggiunto lo spiazzo, il ragazzo l’aiutò a superare l’ostacolo.
“Hai visto? Ce l’hai fatta!”
“Ce l’ho fatta, sì! La parte più difficile, però, deve ancora venire.”
“Non guardare di sotto e vedrai che ti sembrerà una passeggiata.”
“Una passeggiata? Ma certo!...Solo che non so come fare!”
“Punta i piedi contro la parete ed aggrappati alle sporgenze… Ti aiuterò io con la corda. Non sarà difficile, vedrai.”
“Una passeggiata!” ironizzò lei.
Ripeterono l’operazione per due volte ancora: la fune attorcigliata in una mano, un rampino nell’altra e un colpo di reni. Alì lanciò la corda ancora una volta.
“Ci siano” – disse – Fra poco saremo di fuori.”