uomo a misurarsi contro un'intera tribù per averti."
Lungi dal rassicurarla, quelle parole ardenti ed appassionate misero nel cuore della ragazza maggiore inquietudine.
"Che cosa ne sarà di me e mia sorella? Volete venderci schiave o farci vostre schiave? - domandò con voce turbata - Se sono questi i vostri disegni..."
Il sopraggiungere di Ibrahim, il secondo del suo rais, che accostò le labbra all'orecchio per dirgli qualcosa, impedì la replica dello sceicco; prima di allontanarsi, però, egli la rassicurò:
"Torna a dormire, piccola Letizia e deponi i tuoi timori... la notte è ancora lunga."
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La gente dell'oasi s’era riversata tutta fuori delle tende. Le donne avevano lasciato fusi e lana, telai ed arcolai, per correre incontro ai loro uomini; i bambini, chiassosi e seminudi, avevano smesso di giocare per precipitarsi verso i cavalieri e questi dovevano fare ricorso alla loro proverbiale perizia, per evitare di schiacciarli sotto gli zoccoli degli animali. Incuranti del pericolo, i piccoli si insinuavano tra le gambe dei cavalli, si attaccavano alle loro code e saltavano sulle groppe.
Ma non erano i soli a manifestare la gioia con tanta esuberanza: l'intera tribù era invasa da eguale eccitazione. Tutti instancabili ed operosi nell’aiutare a scaricare asini e cammelli.
Le prime cure furono riservate proprio agli animali, feriti o disidratati; ai primi provvedevano le donne con una poltiglia di erbe medicinali e dei secondi si facevano carico i più giovani della tribù.
Sahab era davvero un posto incantevole. Piccola, non si estendeva oltre i quattro chilometri, era ricca di pozzi intorno ai quali, cosa assai insolita per un popolo nomade, c'era un accenno di agricoltura. C’erano piante, a Sahab, dai tronchi spessi quanto il torace di un uomo, le cui radici dovevano spingersi a tale profondità sotto la sabbia, da raggiungere falde acquifere quasi irraggiungibili.
Numerosissime le tende; un vero villaggio. Erano nere o a strisce colorate e sostenute da brevi paletti infissi nel terreno. Erano fatte di pelo di capra e di cammello, animali di cui, unitamente ad asini, cavalli e dromedari, erano pieni gli steccati. Su molte di esse posava una stuoia coloratissima che le donne producevano e che doveva sfidare per decenni le ingiurie del deserto.
Sulla soglia di una di quelle tende, una donna si fece da parte per lasciar entrare lo sceicco; i capelli erano bianchi e la vecchiaia le causava un tremito continuo, ma gli occhi brillavano di gioia.
"Sii il benvenuto nella tua tenda, Harith.- disse tendendo un vassoio con piccole tazze d'argento, che reggeva con mani malferme - Ed anche a te, straniero, se sei ospite del mio signore." disse rivolta all'inglese.
"Allah sia con te." la ringraziò Harith con un sorriso affettuoso.
"Grazie della cortesia." anche l'inglese ringraziò.
"Allah sia anche con te, Rashid."anche il rais ebbe il saluto della donna ed anche lui rispose con un sorriso.
"Allah sia pure con te, Fatima."
L'interno della tenda, che si estendeva più per lunghezza che per larghezza, era diviso da un telone in due parti; la prima, comunicante con l'esterno, era riservata agli uomini e serviva per ricevere gli ospiti; la seconda era riservata alle donne ed un profumo di caffè proveniva da quella parte.
Il caffè, però, doveva essere il complemento di un banchetto, che le donne avevano già preparato. Sulla tovaglia bianca stesa per terra, infatti, posavano vassoi stracolmi di cibo: un segno di riguardo verso l'ospite, una tavola riccamente imbandita!
Terminate le abluzioni, sostituiti gli abiti impolverati, sedettero tutti sulla grande stuoia e il pranzo ebbe inizio, servito da due giovani donne; l'allegro coro di voci femminili proveniente da dietro il telone, andò infittendosi sempre più.
Finalmente venne servito il caffè.
Era un vero rito. Riuniva gli amici ed era pretesto per scambio di notizie, opinioni, consigli e preghiere. Per essere perfetto bisognava che fosse: amaro come la notte, caldo come il sole e dolce come l'amore!
La tostatura veniva fatta al momento ed i chicchi venivano ridotti in finissima polvere in uno staio di ottone; solo così, acquistava quel profumo inimitabile. Onde evitare che fondi di polvere potessero trovarsi nella tazza, soprattutto in quella di un ospite, una volta giunto ad ebollizione, veniva lasciato depositare e poi era travasato in un'altra caffettiera. A questo punto, dopo averlo riportato ad alta temperatura ed aromatizzato con spezie varie, il caffè era, finalmente, pronto per essere servito.