La carovana avanzava lasciando il vuoto dietro di sé: solo le orme del suo passaggio, che presto il vento avrebbe cancellato. Si erano lasciati alle spalle le dune gialle che avevano avuto alla loro destra per molte ore di cammino ed era giunta l’ora della preghiera serale.
A turno, per non rallentare la marcia, gli uomini si staccavano dal gruppo per inchinarsi in direzione della Mecca.
Nella luce sanguigna del tramonto, il canto della gente genuflessa per terra era come una forza potente e misteriosa che saliva verso il cielo; era un’energia simile ad una massa d’aria che si alzava gradualmente verso l’alto per raggiungere la residenza di Allah.
Non era ancora sera, ma le ombre avevano già occupato l'orizzonte ed avanzavano veloci. La carovana si fermò per il bivacco e cercò un buon posto al riparo di una barcana; i fuochi crepitavano al centro dell'accampamento disposto a circolo e sorvegliato da sentinelle armate. Il silenzio assediava il campo e il freddo frantumava le pietre riducendole in sabbia, ma la notte aveva una voce misteriosa e suggestiva.
Letizia, la figlia minore del mercante greco non dormiva; i suoi occhi inseguivano lo spettacolo che solo la notte del deserto, nera come la pece e striata di blu, sapeva tessere e inventare. Nell'oscurità, sentiva il respiro della sorella Atena che s'era appena addormentata e delle due piccole schiave di Bibal, accocolate alle sue spalle, tutte abbracciate, per sorbire il calore del corpo vicino.
Facendo attenzione a non svegliarle, si alzò e raggiunse una sporgenza rocciosa, lì vicino. L'aria era fresca e soffi di vento agitavano i lembi del mantello stretto intorno alle spalle. La sua ombra, proiettata indietro dalla luce di una stupefacente luna piena, strisciava su sabbia e pietrisco e si fuse, d'un tratto, con quella di un'altra persona.
"Non dormi?... No! Non ti spaventare, bella fanciulla... Non volevo spaventarti..."
Letizia si girò; bellissima nel riflesso argenteo che splendeva sulla pelle del volto, trasparente e dal colore del latte attraversato dal chiarore lunare.
"Tu... tu sei Harith, lo sceicco dei Kinda." bisbigliò, mentre un lampo di inquieto timore le attraversava gli stupendi occhi azzurri.
"Conosci la mia lingua? - sorrise lui; lei accennò di sì col capo. Harith proseguì - Tu... tu sei quanto di più bello i miei occhi abbiano visto mai! - lei abbassò i grandi occhi luminosi, confusa e intimidita, poi sollevò una mano per coprirsi il volto con un lembo del mantello - No! Non farlo... - Harith le prese la mano, la tenne a mezz'aria - Ti prego! Non vedi?... Sono la luna e le stelle che vanno a nascondersi per non reggere il confronto con lo splendore dei tuoi occhi."
Una nuvola aveva adombrato la luna e la ragazza le fu grata perché le nascondeva il volto imporporato da quell'improvviso, strano, inquieto sentimento di vellutato piacere che la vicinanza del beduino procurava ai suoi sensi.
"Letizia?... E' così che ti chiami? - lei non parlava, gli occhi bassi e un leggero tremito sulle labbra e lui continuò, mentre uno scintillio di fuoco emergeva dagli occhi neri fissi sul volto di lei - Hai paura di me?" domandò, sollevandole il mento con l'indice e il medio e chinandosi a sfiorarle con le labbra l'angolo della bocca.
Bastò quel lieve contatto a trasformare in tremore il lieve tremito delle labbra di lei ed a scatenare in lui gli irrequieti istinti di un'irrequieta giovinezza.
Sul bel volto di Harith , ardito e dai contorni energici, sottolineato da una breve barba e bruciato dal sole, comparve un'espressione di eccitata sensualità.
"Sì! Hai paura! - esclamò in tono dolcissimo, con un'espressione che gli addolcì i lineamenti del bel volto appuntito come quello di un uccello predatore, - Non devi averne, piccolo fiore del deserto, gioia dello sguardo... Nessuno oserà mai farti del male. Te lo dice Harith in persona!"
"Perché - esordì timidamente lei - ... perché il grande sceicco dei Kinda dovrebbe prendere a cuore la sorte di una povera ragazza come me? Con la morte di nostro padre, io e mia sorella Atena, non possediamo nulla che possa attirare le mire dei tuoi uomini." continuò in un baluginio di sguardi azzurro-argentei.
"OH! - proruppe con enfasi il predone, facendole dolcemente scivolare il velo dal capo e insinuando le dita nella massa setosa dei capelli biondi - Questi due preziosi diamanti che ti illuminano il volto e l'oro di questi capelli rilucenti, dolce Letizia, spingerebbe un uomo a misurarsi contro un'intera tribù per averti."
Lungi dal rassicurarla, quelle parole ardenti ed appassionate misero nel cuore della ragazza maggiore inquietudine.
"Che cosa ne sarà di me e mia sorella? Volete venderci schiave o farci vostre schiave? - domandò con voce turbata - Se sono questi i vostri disegni..."
Il sopraggiungere di Ibrahim, il secondo del suo rais, che accostò le labbra all'orecchio per dirgli qualcosa, impedì la replica dello sceicco; prima di allontanarsi, però, egli la rassicurò:
"Torna a dormire, piccola Letizia e deponi i tuoi timori... la notte è ancora lunga."
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