... dolce fermezza femminile...

... dolce fermezza femminile...

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L'interno della tenda in cui poco più tardi Harith introdusse i due giovani, era assai confortevole.  Nove metri circa per sette, era divisa al centro da una parete di tappeti. Da dietro quella parete, che era la zona riservata alle donne, provenivano note di un rababba, il violino monocorde beduino.

Una ragazza entrò nella maq'ad, la zona riservata agli uomini, comunicante con l'esterno e stese per terra una stuoia a vivaci colori, tessuta con fibre di palma e pelo di capra. I tre giovani vi presero posto in attesa del cibo.

"La voce del deserto - esordì Harith- è veloce come il vento. E' giunta l'eco della beffa che tu, fratello mio, hai inflitto al tuo mortale nemico. -Rashid sorrise e l'altro continuò- E’ giunta anche voce che la principessa Jasmine sia stata rapita e che a rapirla sia stato il mio rais."

"Non è così!- ruggì il giovane predone- Non sono stato io, ma se quella voce è vera, per Allah!..."

L’arrivo di altre due ragazze, con vassoi di carni fumanti, spense l’imprecazione sulle labbra del giovane.

Erano a viso scoperto e sir Richard le sfiorò fuggevolmente con lo sguardo: guardare in faccia una donna, benché schiava, era una mancanza di rispetto.

Non erano particolarmente belle, ma gli occhi, truccati col kohl, la nera tintura che faceva risaltare il bianco della cornea, brillavano di dolcezza e malizia. Sorrisero, nel deporre al centro della stuoia i vassoi, poi distribuirono ciotole di rame.

Guardandole di sottecchi, il biondo avventuriero si sorprese a pensare che la donna beduina era stata solo sfiorata dalla condizione mortificante in cui si trovava la donna musulmana. Forse perché nel deserto, il ruolo della donna era assai più importante di quello della donna cittadina, considerata un puro oggetto, una proprietà, una cosa da sottrarre alla vista altrui. Forse perché nel deserto era lei il  pilastro della famiglia; era lei il mitico Atlante sulle cui spalle poggiava l'universo familiare. Era lei che faticava con gli animali e come gli animali, mentre l'uomo passava le giornate a bere the o caffè sotto la tenda oppure a vagabondare per il deserto per tutto il giorno. 

Le donne che lui aveva conosciuto in quelle terre avevano solo doveri e nessun diritto. Le sapeva segregate negli harem, che costituivano la forza attraverso cui l’uomo musulmano costruiva la propria potenza. L’harem era il vivaio delle schiere di figli di cui l’uomo aveva bisogno per affermarsi… era l’elemento vincente… Gli era capitato di discuterne, soprattutto sul ruolo della donna, che in quel gioco di potere era un semplice strumento.

La donna musulmana, pensava il lord, salvo pochi casi, era stata esclusa da quei “giochi”. La sola, l’unica, biblica forza a lei riconosciuta, il solo orgoglio, la sola fierezza,  stava nella maternità. Ma era stata disarmata anche di quella forza quando le fu ordinato di nascondere e velare la sua bellezza. 

Segregata, radiata, nascosta, la donna musulmana, pensava il lord, era stata cancellata ed annientata. 

E tutto questo nonostante la Sharia, la legge islamica, che le riconosceva pari diritti con l'uomo. E tutto questo nonostante che ai tempi del Profeta le donne partecipassero alla vita pubblica e politica e perfino alle guerre.  

Dolce e sorridente, bella e remissiva, la donna  beduina, però, pareva aver accettato con grazia il ruolo di sottomessa all'uomo; come una gazzella nata in cattività, non pareva soffrire troppo della propria condizione… così pareva  al lord, sempre osservandole di sottecchi.  Forse, si diceva, perché la donna delle tende non era condannata a nascondere la sua bellezza… forse perché l’uomo delle sabbie non se ne sentiva così minacciato da diventarne il solo ed unico padrone.

(continua)

brano tratto da IL  RAIS

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