I GEMELLI ALBANI

I GEMELLI  ALBANI

I  GEMELLI  ALBANI

 

Conosciamo tutti il mito latino di Romolo e Remo, i gemelli figli di Marte e Rea Silvia, così come ci é stato tramandato da Dionigi, Tito Livio, Plutarco… Ma che cosa sappiamo, invece, del mito più antico, quello italico?
Innanzitutto i loro nomi non erano Remo e Romolo, ma Romo e Romolo e Romolo significa: piccolo Romo.
Una versione, quella latina e successiva, piuttosto castigata e manipolata, rispetto a quella antica dei “palaiotatoi mytoy”, i  “racconti antichissimi”,  sboccati e licenziosi, tramandati a voce, raccolti e riportati dal greco Promatione nel suo “Storia d’Italia”, peraltro andato perduto, a parte i riferimenti riportati da Plutarco.
Un racconto assai diverso da quello da noi appreso sui  banchi di scuola; un racconto a tinte fosche, sguaiate e scurrili.
Eccolo qui!
Facciamo  un salto indietro  fino ad una notte di metà ottobre del 771 a.C.  e raggiungiamo la città di AlbaLonga poiché,  come nella nuova versione del mito, anche in quella più vecchia ed apocrifa (perché tale è!)  fu proprio lì che ebbe inizio ogni cosa.
Tarchizio, Tiranno di Albalonga, stava tranquillamente dormendo quando fu svegliato dalle grida scomposte dei servi terrorizzati  da uno strano fenomeno: una “cosa” fiammeggiante e mostruosa si era materializzata nel focolare domestico e minacciava tutti.
In verità, il mostro aveva un aspetto inquietante e di fuoco ardente, sì, ma decisamente familiare: quello di un fallo maschile e tutte le donne presenti, prese da panico e terrore, fuggivano scompostamente di qua e di là.
Per un po’ la mostruosa creatura le inseguì, ma poi finì per fermarsi in una  stanza vuota che il Re, tutt’altro che coraggioso, comandò di sprangare subito, indi, inviò messaggeri in Etruria ad interrogare un certo Oracolo: Tetha.
La risposta dell’Oracolo fu senza dubbio assai particolare, ma non proprio singolare per l’epoca ed i prodigi che continuamente si presentavano: il ProtoNume,  manifestatosi    come Ignis, il Fuoco-personificato, ordinava di volersi unire ad una fanciulla vergine perché:
“… da lei – riferì il messaggero -  nascerebbe un figlio tale da innalzarsi su tutti gli uomini come il più illustre, forte e coraggioso.”
Re Tarchezio, in realtà, aveva capito fin dall’inizio le intenzioni del Dio-Grande degli Italici : egli voleva un nuovo figlio, forte e vigoroso, capace di dar vita ad un nuovo popolo. Voleva un nuovo figlio simile ad Ercole e per questo si era manifestato attraverso il Dio-Ignis, forte, vigoroso e violento.
Un ordine perentorio, inquietante e soprattutto minaccioso per lui: da un tale ardente amplesso con una vergine, pensava preoccupato il Tiranno,  sarebbe  nato un bambino che crescendo sarebbe diventato forte e illustre più di tutti… più di lui, il Re, il Tiranno di Albalonga.  Un  ordine giunto per bocca di un oracolo etrusco a cui non ci si poteva ribellare.
Un bel dilemma!
Non ubbidire all’Oracolo sarebbe stata una sfida al Fato, ben  lo sapeva Tarchisio e il Fato era una Forza  che non si lasciava  ingannare da nessuno, Divinità comprese. Ubbidirgli, però, sarebbe stato come consegnarsi a lui e decretare la propria rovina,    poiché il “figlio del Fuoco”, appena cresciuto,  per prima cosa si sarebbe liberato di lui.

Che cosa fare per scongiurare la minaccia, si sarà chiesto il Tiranno. Una soluzione c’era, che lo avrebbe salvato dalla rovina e che avrebbe anche potuto accrescere il suo potere.
Re Tarchisio  aveva una figlia. Proprio in età da marito.  Diventare suocero di un Dio  e nonno di un Semi-Dio era un’aspirazione tutt’altro che mavagia.
Qualcosa, però, mortificò i suoi sogni di grandezza: appena al cospetto di quella  mostruosa “cosa”, la sua bella figliola si lasciò cogliere da profondo disgusto e  pensò bene  di farsi sostituire da una schiava.
Ignaro dello scambio. il Tiranno cominciò l’attesa dei nove mesi; strada facendo, però, si accorse che ad essere incinta non era sua figlia, ma la di lei ancella.
Suo primo impulso fu di disfarsi di questa e del frutto del suo seno, ma a trattenerlo dal mettere in atto  quel proposito fu la paura dell’inevitabile reazione del Dio-Fuoco.
Con pazienza attese la scadenza.
Una nuova sorpresa, però, era ad attenderlo: i neonati erano due e non uno.
Una grossa complicazione davvero, poiché uno solo dei due poteva essere il  Figlio del Fuoco.  Ma quale? Lo sapevano tutti che da un amplesso amoroso poteva nascere un solo bambino. La nascita di due gemelli   era un evento prodigioso e significava che i rapporti avuti non potevano essere che due con lo stesso uomo oppure due con due uomini diversi.
Che la fanciulla avesse avuto rapporti con due uomni era più che evidente: lo avevano visto tutti che il Dio-Ignis si era intrattenuto per un solo rapporto.
E allora?
Allora,  solo uno di quei due bambini era un Semidio, l’altro era solo un bambino.
Per risolvere la faccenda, il Tiranno ricorse al sistema più semplice, sbrigativo e soprattutto in auge a quei tempi: esporre i due gemellini, sperando che tutti si dimenticassero di quel prodigio che… che dopotutto non era unico né il primo.
Chiamato Tirezio, servo fidato ed incorruttibile,  gli affidò una cesta da abbandonare, attraversata l’ampia  pianura,  dall’altra parte del grande fiume. In quella cesta c’erano i due gemelli che egli aveva separato dalla madre.

Il Tiranno era certo che Dio-Ignis avrebbe evitato la morte  a suo figlio e così fu.
La cesta fu raccolta e i gemelli tratti in salvo da una lupa, animale sacro a Marte, che provvide a nutrirli e proteggeeli. Dopo la lupa a nutrirli arrivò un altro animale sacro al Dio della Guerra, un picchio ed infine giunsero due umani: Faustolo e Plistino, i quali raccolsero la cesta e la portarono ad Acca Laurenzia, moglie di Faustolo.
Fu propro costei, secondo la primitiva ed apocrifa versione del mito a dare i nomi ai due gemelli. Chiamò Romo, da “rumon”, ossia fiume, il primo: quello più bello, forte e robusto e Romolo, cioé “il Romo più piccolo”, il secondo, più piccolo e gracile.
Romo e Romolo, dunque, non erano propriamente uguali  e  Romo, che la versione postuma dei Latini ribattezzerà Remo, era il più forte, il più audace e il più battagliero dei due.

Come prosegue il mito?
Ci adegueremo anche noi ed al gagliardo Romo cambieremo in nome in  Remo…  in tal modo, Romolo non sembrerà più “il piccolo Romo”  e Remo sarà semplicemente… Remo: entrambi ribelli e attaccabrighe.


Il mito, così addomesicato, ci dirà che i due gemelli a capo di una banda di giovani altrettanto ribelli ed attaccabrighe attaccarono AlbaLonga e uccisero il despota Tarchesio, dopo di che, si dichiararono pronti a  gettare le fondamenta di una nuova città e si accinsero a sceglier il posto più adatto.

segue:  “Quando  ROMO diventò REMO ?”