Un tuono riverberò da lontano annunciando l’approssimarsi del temporale. D’intorno la campagna era deserta. Nessuno si avventurava di notte in quelle zone frequentate, si diceva, da inquietanti visioni: le anime dei dannati, che in quei luoghi erano morti di morte violenta.
In verità, quelle sinistre figure nulla avevano di ultraterreno, poiché non pochi mercanti, costretti ad attraversare i boschi, erano spesso derubati dei beni e non raramente anche della vita. Gli autori di quelle birbonate non potevano essere i “cavalieri senza pace”, presi da preoccupazioni diverse da quelle dei briganti che infestavano la zona.
Un cavaliere attraversava la radura del bosco; la figura sepolta in un ampio mantello scuro, in testa un elmo dal cimiero piumato, doveva avere gli speroni conficcati nei fianchi della bestia, poiché il cavallo galoppava veloce come il vento.
Non c’era luna e nell’oscurità, rotta solo da tuoni e lampi lontani e regolari, il cavaliere si addentrò nel bosco. Un tuono sconquassò l’aria e un lampo gli illuminò la parte del volto non nascosta dall’elmo, un volto di ragazzo, dagli occhi pieni del chiarore dei lampi.
Prima che la luce del lampo morisse lontano inghiottita dalle tenebre, un drappello di arcieri apparve alle sue spalle. Erano in molti ed incitavano con sferza e speroni i cavalli, che dovevano essere forti e riposati, poiché guadagnarono rapidamente terreno.
Ancora un lampo.
Uno degli arcieri tese l’arco; il fuggiasco si curvò in avanti e la freccia gli passò sopra la testa. Tornarono le tenebre e con esse la provvisoria salvezza; sopra le cime degli alberi, la luna, nascosta dietro le nuvole, cercava spiragli.
Il cielo si illuminò ancora e questa volta, gli arcieri erano troppo vicini per sbagliare mira: una freccia colpì il cavallo, un’altra il cavaliere; in lontananza, l’angoscioso ululato di un cane riempiva la notte.
L’animale stramazzò e il ragazzo cadde con lui.
Gli inseguitori lo raggiunsero e lo caricarono su un cavallo, poi tornarono indietro e al galoppo serrato riattraversarono la foresta e la radura.
La luna, comparsa tra la nuvolaglia che andava diradando, di un rosso così vermiglio da sembrare che qualcuno l’avesse pennellata di sangue, seguì i cavalieri fino a quando la sagoma di un castello turrito non si profilò all’orizzonte.
Zaffate di fumo, provenienti dal maniero, ferivano le narici: la torre del Mastio bruciava e crepitava. Alte lingue di fuoco incendiavano il cielo ed inghiottirono la luna: i cavalieri puntarono i cavalli in quella direzione.
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