L'AMORE PROIBITO

L'AMORE  PROIBITO

Si immisero sulla strada che dal quartiere delle Carinae portava al Santuario di Vesta, Fabio e Ottavia; l’eco dei loro passi risuonava sul selciato di tufo e si perdeva in lontananza.

Nessuno dei due parlava.

Ottavia ebbe un brivido e sciolse la cappa che teneva sul braccio; Fabio l’aiutò a sistemare le pieghe. Un profondo senso di gratitudine la legava al giovane, ma il turbamento che le procurava la sua vicinanza, pensava, non poteva essere  solo quello. Non solo quello! Tremava e non per la brezza del mattino che andava formandosi, mentre proseguiva sfiorata dallo sguardo di lui, dal suo desiderio. Tremava perché si portava anche un senso di colpa.

Lei non aveva mai desiderato cosa diversa che servire la Grande Madre da quando ancora bambina le avevano spiegato quale grande considerazione fosse per un mortale essere chiamato a servire un Dio. Per restare fedele al voto che da lì a poco avrebbe pronunciato, lei era stata pronta perfino ad accettare la morte.

Da qualche giorno, però, sensazioni e desideri nuovi turbavano le sue notti e la luna era sempre compagna dei suoi pensieri, nei quali c’era sempre il centurione Fabio.

“Le notti sono ancora fredde. - sorrise Fabio - Va tutto bene?”

“Oh, sì! Sono stata felice questa sera.” rispose Ottavia.

Non altre parole, tra quei due che si amavano di un amore esclusivo, ma che soffrivano in silenzio senza neppure dirselo.

Dei due chi soffriva di più, forse, era Ottavia, che sentiva le proprie difese cedere e ne era atterrita; ad ogni passo che l’avvicinava al Santuario, inaccessibile rocca della virtù, si sentiva combattuta da opposti sentimenti.

Voleva correre a ripararsi là dentro e al contempo fuggirne lontano. Amava la santità di quel luogo, ma si rimproverava la pazzia di quel sentimento proibito: il pensiero di non rivedere più Fabio le procurava una stretta al cuore più dolorosa della paura. 

Fianco a fianco, nella pace e nel silenzio dell’aurora,  proseguirono senza parlare.

Raggiunsero il Sacro Mundus, sulla cui sommità sorgeva il Tempio di Vesta  e Fabio si fermò.

Il Mundus, punto di incrocio delle quattro strade principali della città. Ogni uomo, in passato, aveva gettato un pugno della sua terra natia in una fossa che, colmata, lo aveva creato: lì risiedevano i Mani di tutti i cittadini.

“Perché ti sei fermato?”  domandò Ottavia senza voltarsi, ma col tono di chi conosce già la risposta.

“Perché tu possa guardarti intorno, domina. - l’alba si era fatta annunciare da un chiarore dorato che sfumava verso un amaranto leggero, ma le stelle stavano ancora tenacemente aggrappate al firmamento, in un crepuscolo notturno che preannunciava  tepori fuori stagione - Non ti sembra che il cielo voglia dirci qualcosa? Quella stella... guarda quella stella... e tutte le altre... Guardale, ti prego.”

Ottavia sollevò il capo, guardò il cielo. La luna nascente e le stelle morenti: il mattino cominciava a tessere il suo mistero e lei sorrise.

“Le tue labbra sorridono, - lui l’avvolse in uno sguardo profondo e intenso - ma non sorridono i tuoi occhi.”

“Gli Dei sono arbitri delle nostre gioie e delle nostre tristezze”

“Gli Dei non si curano degli uomini. - sospirò  - Ma io posso aiutarti a incontrare la gioia.” aggiunse, con sul volto una luce che accese di inquietudine quello di lei.

“Io ti devo molta riconoscenza...” cominciò, ma lui la interruppe.

“Non è dalla riconoscenza che ti voglio legata a me” disse con enfasi e sollevò una mano in cerca del volto di lei da sfiorare.

“Cos’altro potrei darti?” rispose Ottavia chinando il capo, confusa dalla fiamma che brillava nello sguardo di lui.

“Amore! - rispose semplicemente Fabio, accarezzandole i capelli e poi la fronte - Amore!” ripeté raccogliendo tra pollice e indice il mento levigato di lei e sollevandolo delicatamente. 

I loro sguardi si fusero e anche le labbra. Ma, proprio quel lieve, castissimo contatto, rubato e sospirato, riportò Ottavia alla realtà.

“Non posso. - disse ritraendosi e abbassando lo sguardo vergognoso - Nessun uomo può toccare una Vestale.  La collera di Vesta si abbatterebbe su di noi, se io non tornassi  al Tempio ad accudire al Fuoco Sacro.”

“C’è qualcuno in grado di proteggerti dalla tua Dea.” disse lui continuando a sfiorarle le mani con dolcezza.

“Qualcuno? Chi potrebbe  sfidare gli Dei e la loro collera?”

“Colui che è venuto a portare l’amore sulla terra, mia dolcissima.”

“Non… non capisco… chi potrebbe… ma tu... tu sei cristiano?” esclamò lei perplessa e lui:

“Se vuoi ti farò conoscere il Dio che ama le sue creature e non le condanna quando si amano, che sorregge  gli infelici e i deboli…”

“Taci! - lo interruppe lei - Vesta scatenerà la sua collera sul nostro capo e le Furie ci perseguiteranno per il resto della nostra vita....”

“Solo il male, amore mio, può scatenare il male. Rinuncia, ti prego a una Dea così lontana e insensibile.”

Ottavia sollevò lo sguardo che andò a perdersi in quello di lui e che la fece naufragare in emozioni sconosciute. Si sentiva irresistibilmente attratta da lui, riscaldata dal suo sguardo d’incomparabile tenerezza.

Fabio stava immobile, l’elmo sotto il braccio sinistro; la luce del giorno nascente riverberava sulla sua fronte protesa.

Ottavia sentì un dolce malessere assalirle l’animo; indietreggiò lentamente. Fabio sempre fermo; due, tre passi e Ottavia si trovò con le spalle contro il fusto di una colonna.

“O Fabio! - proruppe  - Se ci fosse un luogo dove la mia Dea e il tuo Dio non avessero potere io ti seguirei senza esitare, ma il potere degli Dei non ha confini... - e poiché Fabio scuoteva il capo proseguì – La tenerezza di Vesta è grande, ma  la sua collera lo è ancora di più…. Ma io… io…” gemette, poi seguì lo smarrimento.

Fu lei che si gettò nelle sue braccia o lui che l’attirò a sè?

Si trovarono l’una nelle braccia dell’altro; lei tremava e vacillava. Lui la stringeva, ma con la sottile percezione di compiere un atto di amore e di forza insieme e lei si lasciò stringere: anche lei con la sensazione di partecipare a un atto che era d’amore, ma anche di peccato. 

Sopra le loro teste le stelle non c’erano più.  Ma non erano solo le stelle ad essere scomparse: intorno a loro ogni cosa era svanita.  Non c’era null’altro. Null’altro che loro due. Nè la luna cancellata dal primo chiarore, nè il profilo delle statue sulle facciate dei Templi, nè le cime degli alberi. Vedevano solo i loro sguardi incatenati l’uno all’altro e sentivano le mani  convulsamente avvinte che tremavano leggere: unico contatto fisico di due creature candide e pure.

Quei due cuori che battevano all’unisono, quelle due anime pronte a compenetrarsi, abbagliate l’una dallo splendore dell’altra, che avevano raggiunto quel momento magico di intimità ideale, rimasero in silenzio. Tacquero dei propri desideri, delle proprie chimere, dei sogni e dei timori e lasciarono fuggire il magico momento.  Sciolsero le proprie candide anime avvinte e    tornarono ognuno alla propria esistenza.

 

(brano tratto dall'ultimo libro di Maria Pace:

LA DECIMA LEGIONE - Panem et Circenses

edito da EDITRICE MONTECOVELLO