Cap. I - La tomba prima parte

Cap.  I  -  La tomba  prima parte
campo di scavo

Per molta gente quello dell’archeologo è un lavoro romantico e pittoresco, ma il professor Alessandro Scanu, chiamato semplicemente “il professore”, ripeteva sempre che il suo era  un lavoro ripetitivo e ingrato. In realtà, sapevano tutti quanto la sua passione per quel lavoro fosse autentica e genuina e lo fosse soprattutto nella fase della ricerca e nel momento in cui un oggetto trattenuto da un prigionia spesso millenaria, tornava alla luce.
Trentasette o trentotto anni, spirito irrequieto e curioso, il professore, stanco di meditare su stele e papiri, aveva cominciato ad attraversare l’Egitto in lungo e in largo, misurando, annotando, fotografando e disegnando. Soprattutto disegnando.
“Il disegno – amava dire – è l’immagine di chi guarda.”
Tenace, intelligente, brillante, modi decisi e fascino indiscusso, Alessandro era dotato di una prestanza fisica assai apprezzata dai nativi del posto, gente rude e di poche parole, che di lui diceva:
“Non è un italiano… è un egiziano!” e questo era proprio un complimento.
Da quasi dieci anni scavava e studiava  sulle tracce di una tomba della XIX Dinastia dei Faraoni, confortato dal ritrovamento di alcuni interessanti reperti. Lavorava e frugava nel terreno dall’alba al tramonto e mangiava e dormiva in una camera-sepolcro scavata nella roccia e risalente ad epoca tolemaica. Di fronte al sepolcro aveva fatto innalzare una tenda per la cucina ed una per gli attrezzi e le provviste.
Non era solo. A dividere quella singolare abitazione c’era Isabella, la giovanissima sorella, giunta da poco per le vacanze.

                 *************
                                             
      “Svegliati o Karnak, Regina degli Dei
       Svegliati in pace, Ammon,
       Signore di karnak!”
recitava una voce dolce e modulata: Isabella, la sorella del professore; alle sue spalle, il chiarore dorato del mattino che andava formandosi, inghiottiva le ultime stelle.
Quindici anni, gli occhi di un azzurro intenso, il sorriso dolce e la persona piena di grazia, Isabella s’era tuffata nell’atmosfera con appassionante entusiasmo. Recitava con naturalezza dosando parole e tempi, pause e toni, in modo tale da rendere l’orazione, ritmica e calzante all’atmosfera che voleva creare.
      “Il legame è spezzato. Il sigillo è rotto.
       Le Due Porte del cielo si aprono.
       Anche le Porte della Terra
       si stanno spalancando…”
Una seconda voce faceva eco.
Erano i versi dello spettacolo “Suoni e luci di Karnak” offerti ogni sera ai turisti tra le rovine; Alì, il figlio dell’assistente del professore, recitava con la ragazza.
Aveva un anno più di Isabella, profondi occhi neri che mandavano scintille e sprizzavano gaiezza ed un figura agile e snella che prometteva per l’età matura un fisico atletico. Parlava quasi senza interruzione, ma con scioltezza e nel modo più naturale e spontaneo.
      “Lode al Te, Ammon, Signore di Tebe
       Signore del cielo e Creatore degli Astri.”  riprese Isabella.
L’aria s’era fatta luminosa e i monti fiammeggiarono sotto il sole che veleggiava già alto sopra l’orizzonte.
      “Tu hai aperto tutti gli Orizzonti
       Tu hai fatto nascere gli Dei…”
Un’ombra gli cadde alle spalle. Alì volse il capo: Alessandro stava giungendo e con lui c’era Hammad, il suo assistente; il ragazzo si schiarì la voce.
      “Signore di Tebe, Signore dei Signori
       Padrone del terrore e della Pace,
       io  ti venero.” continuò a recitare.
      “Ecco la fascia bianca.”
riprese la voce di Isabella.
      “Perché la luce del tuo Occhio
       possa brillare!”
      “Ecco la fascia verde.”   ancora Isabella.
      “Per le acque feconde.”
      “Ecco la fascia rossa.”
      “Affinché la Terra sia generosa
       e il sangue fecondo.”
“Ehi, ragazzi... ma siete proprio bravi!”
Hammad avanzò con passo rapido. Hammad assomigliava ad un ritratto a tinte marcate: marcate le sopracciglia nerissime, marcato il colore scuro degli occhi, marcati da una breve barca i contorni del volto. Al contrario di queste caratteristiche, il fisico era asciutto ed elegante.
“Qualche novità? - Alì si staccò dalla ragazza e sedette a cavalcioni su una sporgenza del terreno, il mento poggiato al dorso della mano – Conosco quello sguardo. Dopo tanto frugare in questo terreno e tante polemiche, deve pur esserci qualche nuova incoraggiante.” disse.
Alessandro scrollò il capo.
Polemiche ce n’erano state, ma, a quanti gli dicevano che il tempo delle scoperte  nella Valle del Nilo era già finito, rispondeva che altri avevano detto quelle stesse parole, poi smentite dai fatti: il ritrovamento della tomba di Thut-ank-Ammon ne era stato l’esempio più illustre. Gli scavi, condotti con metodi sistematici, non lasciavano inesplorato un solo centimetro di terra. Da quattro giorni Alessandro aveva raddoppiato i turni di lavoro: da quando, cioè, ai piedi della montagna, una sporgenza era affiorata dal suolo. Una sporgenza casuale, a prima vista, una increspatura della superficie sabbiosa messa in rilievo da una fotografia.

I quattro lasciarono il posto.

In uno scenario estremamente arido, ma sotto un cielo di un azzurro intenso, sconosciuto ad altre latitudini, nella luce porporina del mattino, il deserto grigio-antracite digradava verso l’orizzonte. Faceva già caldo, nonostante l’ora: lì, il sole non era amico né alleato dell’uomo.
Alessandro indicò da lontano la protuberanza rocciosa messa a nudo dalla sabbia: una grossa selce, forse le fondamenta di qualcosa.
Fosche colline profilavano l’orizzonte; un gruppo di avvoltoi si levò gracchiando, sul fondo, saturando l’aria dei loro striduli versi, poi  si dispose in diagonale prima di sparire dietro le colline.
“Credete che ci sia qualcosa là sotto? – esordì Isabella; il fratello fece un cenno d’assenso, la ragazza proseguì – Non c’è quasi nessuno al campo… non si potrebbe fare qualcosa per accelerare i tempi?”
“Ah.ah.ah… - rise Alì – Sei diventata impaziente.”
Dalla loro postazione si vedeva tutto il campo e ogni cosa appariva un po’ sfocata dalla nebbia del primo mattino: le tende, i mucchi di detriti e dei materiali estratti, le buche scavate in precedenza.
“Oggi è venerdì.” fece osservare Alessandro.
“Già! E giorno di festa e di preghiera per la gente musulmana. – convenne la ragazza – Ecco perché Alì indossa la sua tunica bianca…”
Alì rispose con un sorriso e lo stesso fece Hammad, che disse:
“E’ così! E’ pur vero che la fretta è cattiva consigliera… come dice il professore.” continuò.
“Parole sante! – assentì Alessandro – In passato si sono spesso adottati metodi veloci  e disinvolti, ma oggi, nessun serio professionista va più a caccia di bottino con polvere da sparo. Le leggi, oggi, sono assai severe.”
“Per volontà di Allah! – convenne Hammad – Captare il respiro del mondo antico è ben più esaltante di qualunque bottino.”
“Paradossalmente, - osservò Alessandro – a salvare molti dei monumenti dallo spoglio e dalla rovina, è stato proprio l’abbandono: la popolazione, costretta a spostarsi verso IL Cairo, ha permesso alla sabbia di proteggere i resti di tante gloriose testimonianze…”
“Insomma – replicò Isabella – questo posto è una sorta di tombola… di caccia al tesoro per i posteri… per il popolo.”
“Per il popolo! Hai detto bene, piccola. – sorrise Hammad – E’ una sorta di giustizia del destino. E’ un rendere al popolo quanto è costato ai suoi antenati in fatica e dedizione a Dei e Faraoni.”
“Furono tanti i Faraoni che seppellirono ricchezze in paludi o sotto le sabbie… Oh, siamo arrivati… - Alessandro si fermò – Guardate questo terreno: è compatto ed omogeneo. Qui sotto c’è qualcosa..” affermò convinto. 
“Sì! – Hammad era dello stesso parere – Qui sotto dev’esserci veramente qualcosa.”