CAP. I - OMIKRON (prima parte)

CAP.  I  -  OMIKRON   (prima parte)
Era proprio un bel telescopio ed Emma corse sul balcone per vederlo; la sacca di jeans con i libri di scuola volò nella stanza e finì sul letto.

Poggiato su una base di legno, il telescopio puntava la canna della lente a specchio  contro il cielo e pareva aspettare solamente l’occhio umano per spiare remote distanze.
“E’ splendido! – esclamò, girandosi a guardare sua madre, che l’aveva raggiunta alle spalle – Non potevate farmi regalo più bello.”
Sedici anni, un po’  rotondetta, un musetto sbarazzino, Emma era una ragazza dinamica ed allegra. Aveva due splendidi occhi neri grandi e luminosi sotto un morbido caschetto che andava a posarsi sull spalle e che conferiva al suo volto un’espressione tipicamente romantica.
Emma aveva due grandi passioni: le stelle e il computer.
Passava mattinate intere in compagnia di Omikron, il suo computer, in una sfida eccitante e sempre più stimolante e serate intere dietro un cannocchiale puntato contro il cielo.
Si era anche iscritta ad una specie di club per appassionati di stelle ed era in contatto epistolare con riviste scientifiche astronomiche che, per la sua giovane età, l’avevano accettata come socio onorario.
Cercare “quel che di profondmente nascosto dietro le cose”, come diceva Einstein, ecco ciò ch appassionava Emma e suo padre l’assecondava nella ricerca.

Il professor Curti era uno scienziato. Era un ricercatore nel campo della Intelligenza Artificiale e uno studioso, tra i più insigni d’Italia, della visione artificiale e della memorizzazione di una macchina.
I suoi progetti erano ambiziosi e competitivi come quelli americani e giapponesi.
“Ti prometto solennemente… - la ragazzina si portà la mano al petto – che per un mese intero laverò i piatti.”
“Ah.ah.ah… - rise sua madre, poi, guardando l’orologio – Santo Cielo! Sono in ritardo. Devo correre all’aeroporto. L’aereo di tuo padre atterra tra meno di un’ora.”
“Poso venire con te, mamma?”
“Certo! Ma credevo che ti saresti attaccata al tuo telescopio.” sorrise la donna.
Piera Curti era una donna moderna, dinamica, giovanile. Fisicamente Emma le somigliava moltisimo; fece una carezza a sua figlia poi si voltò per raggiungere la porta.
“Sono ansiosa di vedere papà. Ha sempr tante cose da raccontare quando torna dai suoi viaggi.”

La macchina era già fuori del garage, nel vialetto alberato di tigli; madre e figlia la raggiunsero.
“Sono ansiosa di vedere i regli che papà mi ha portato dall’Egitto.” disse Emma, prendendo posto accanto alla madre, già alla guida.

Trovarono il professor Curti al bar del’’aeroporto di Caselle che stava prendendo un caffè in compagnia di un signore.
Alto,  leggermente brizzolato, un paio di occhiali posati quasi con noncuranza sul naso, il professore era un uomo dall’aria simpatica.
Lo sguardo un po’ svagato, tipico dell’uomo di studio, il mento volitivo, la mascella quadrata, Ernesto Curti era una persona tranquilla dall’aria cordiale.
Al contrario, l’uomo che lo accompagnava, molto giovane,  simpatico, affascinante, occhi e capelli nerissimi, colorito bruno, era un bel ragazzo davvero e non passava di certo inosservato.
Si chiamava Dario Cardiff, da poco laurato in Fisica Nucleare ed era un collega del professore.
“Ciao, papà!”  gridò la ragazza correndo incontro al padre.
“Ciao, piccola! Tutto bene? – il professore l’abbracciò, poi abbracciò la moglie – Ti presento il dottor Dario Cardiff – disse rivolto alla donna, poi al giovane – Lei è mia moglie Piera e questa signorina è Emma.”
“Lieta di conoscerla, dottore.”
Emma tese la mano.
“Niente dottore. Mi chiamo Dario.” sorrise il giovane.
“Ciao, Dario!” Emma rispose al sorriso.
“Sono felice di conoscerla, signora.”
Dario si girà verso Piera Curti.
“Fa molto piacere anche a me.”

I quattro salirono in macchina.
“Dario resterà a cena da noi.” informò il professore mettendosi accanto al posto di guida; Emma e Dario sedettero dietro.
”Con molto piacere.” sorrise la donna.
“Spero di non procurare molto disturbo.” 
“Ma le pare, Dario?” tornò a sorridere Piera avviando il motore.
“Questa sera potremo assistere ad un tramonto inconsueto. – interloquì Emma – Sai, papà…  è arrivato il telescopio.”
“Molto bene! Sarai contenta!” rispose il padre, girandosi a guardarla.
“Felicissima!”
“Ti piace l’Astronomia?” domandò il giovane, accanto a lei.
“Moltissimo. – ripose la ragazza – Mi appassiona quasi quanto un computer… forse anche di più!”
“Una fortuna che Emma ci abbia chiesto un telescopio per la sua promozione,  quest’anno e non un motorino. – disse la donna, infilandosi  nella statale diretta in città -  Con i pericoli del traffico, è una consolazione per noi…”
“Non è che lo scooter non mi piaccia…” rettificò sorridendo la ragazzina.
“Fermati davanti a quell’edicola. – disse il professore alla moglie – Prendo l’ultimo numero di Archeologia.”
La donna frenò e la vettura si fermò con un rantolo; erano giunti a Torino. Il professore ne discese, atteaversò la strada e si avvicinò all’edicola, dove  comprò la rivista.

Ernesto Curti era appassionato di Archeologia ed era di ritorno da un viaggio-studio in Egitto, studi che conduceva quando non era impegnato con il proprio lavoro o era in vacanza.
Da uno di questi viaggi aveva portato qualcosa che aveva aiutato molto il suo lavoro. Qualcosa che riteneva assai preziosa: un pezzo di pietra. Un cristallino, forse un pezzo di meteorite, che aveva immediatamente colpito il suo occhio professionale.
Si trattava quasi sicuramente di un frammento di meteorite o di asteroide. Non ne era ancora assolutamente certo. Di sicuro sapeva solo che era ricco, incredibilmente ricco, di silicio. Un quantitativo enorme di silicio che avrebbe poortato avanti di molto l’hardware, il computer in elaborazione di Emma, cui erano indirizzate le sue ricerche: OMIKRON, come l’aveva battezzato sua figlia.

Da qualche anno, un gruppo di scienziati italiani, tra cui lo stesso professore, avevano spinto le ricerche in maniera davvero avanzata, giungendo alla vigilia, ne erano certi, di una grande conquista nel campo dell’Intelligenza Artificiale: dare al computer la possibilità di capire i segnali luminosi ed organizzarli ad alto livello.
In altre parole: dotare la macchina di sensi.
Il computer tradizionale non era in grado di svolgere questo compito, sia per dati, sia per istruzioni. Occorrevano più computers connessi, uniti in parallelo, in cui fare contemporanemente diverse elaborazioni su diversi punti dell’immagine.
Un esempio: la vista della macchina.
Occorrevano processori più potenti e memoria più ampia.
Il professore sperava che il cristallino rinvenuto tra le rovine di Tebe, sulla riva orientale del Nilo, per il suo altissimo contenuto di silcio, elemento base per la memorizzazione della mcchina, potesse davvero aiutarlo molto.