Cap. X Il Gran Consiglio - prima parte

"L'acqua è vita" - proverbio beduino

Mio adorato! - Jasmine staccò le dita dalle corde del liuto e le posò sulla nuca di Rashid seduto ai suoi piedi  su un cuscino - La mia musica ti rattrista?"

Quasi completamente ristabilita, la principessa Jasmine riusciva perfino a suonare il liuto se lo teneva poggiato sulle ginocchia.
Rashid era particolarmente affettuoso e lei si sentiva scompigliare il cervello da un turbinio di emozioni: tenerezza, amore, gelosia;  una marea di luce che si irradiava dai suoi straordinari occhi verdi e richiamava alla coscienza del giovane sentimenti di vellutato piacere.

L'amore e la passione a quelle latitudini erano forti e roventi come la natura stessa e Rashid si sentiva sopraffatto da emozioni mai provate prima.
Jasmine avvertiva il suo trasporto: negli sguardi, nei silenzi, nelle carezze e per lei sembrava giunto quel momento magico, quel tempo unico in cui il sole di giorno e la luna di notte, parevano risplendere solo per lei.  Con tutto l'animo, lei  voleva che nulla, soprattutto la gelosia, offuscasse quella luce.  Sentiva salire dentro sé, pian piano, dal più profondo del seno, dal più intimo del grembo, un fulgore così intenso e  indomabile che la inclinava verso di lui e le imponeva di annullarsi in lui e di mettere a tacere quella vocina sottile sottile...  Selima!  Il suo Rashid, però, non mostrava alcun interesse per quella donna.
"Non è la tua musica, mia adorata. - Rashid sollevò il bel volto bruno e tuffò lo sguardo nero africano in quello stupefacentemente verde di lei, fugando l'ultimo brandello della sua gelosia - Sono imperdonabile, vero, a lasciarmi prendere dai miei pensieri, quando tu mi sei vicina?" sorrise.
"Perché? - fece lei con dolcezza - I tuoi pensieri non sono anche i miei? Lo sai, Rashid... io sono felice se tu sei felice e preoccupata se tu lo sei e so che adesso sei preoccupato."

"E' vero! Sono preoccupato per Ibrahim. L'accusa da cui deve difendersi è molto grave ed è il pretesto per rompere gli equilibri delle alleanze! Tea poche ore si stabiliranno le sorti di tutte le tribù! "

Rashid si alzò, staccò dalla parete l'affilatissima jatagan.

"Chi viene con te?" domandò lei, seguendo ogni suo gesto con sguardo innamorato.
"Harith e sir Richard." rispose il giovane, infilandosi la jatagan al fianco e  la bianca keffiew in testa, poi si diresse a lunghi passi verso l'uscita; erano sotto la tenda che la principessa divideva con Zaira.
 

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Il Gran Consiglio delle tribù si tenne presso il pozzo di Rebek. Doveva il suo nome ad un fatto d'amore e morte: Rebek, la donna che per amore aveva scatenato una guerra fra due tribù e che alla fine s'era uccisa proprio ai piedi di quel pozzo.
Esauriti i convenevoli d'obbligo, lunghi ed elaborati come richiedeva la consuetudine, il primo a prendere la parola fu Rashid.
"Assalaam alaykum!"   (la pace sia su di voi), salutò.

"Wa'alaykum salaam!" risposero al saluto.

"Allah prese l'aria e ne fece il beduino, - riprese, con enfasi, il grande rais -  Prese del fango e ne fece l'asino, prese le feci del'asino e ne fece l'abitante sedentario della città, ma... - una pausa sapiente e ben studiata, poi - ... se Allah ha voluto fare dell'uomo che naviga il deserto il suo Figlio Prediletto, noi dobbiamo meritare la sua preferenza!... Siamo noi i soli Arab!"
Rashid, il rais dei Kinda, l'uomo più irruente del deserto, aveva parlato con voce pacata e calma, con le pause e le interruzioni giuste e tutti lo ascoltavano con rispetto reverenziale.
Il rispetto, che non è né scelta, ma neppure obbligo; il rispetto, che impoverisce chi non ne possiede.
Tutti: Harith abu Ben, sceicco dei Kinda, Afud abu Selim, sceicco dei Tamin,  Feysal abu Amud, sceicco degli Aws, Faysal abu Selim, sceicco dei Qaahtan, Ben inb Kassan, sceicco dei Kaza e tutti gli altri. Nessuno dei capi mancava all'appuntamento; tutti seduti alla maniera araba: in circolo ed a gambe incrociate, per non mostrare le suole delle scarpe, il fucile stretto fra le braccia.
Indossavano tutti l'abayah, la pesante, tradizionale mantella che riparava dal caldo dell'estate e dal freddo dell'inverno.
Un po' più lontano, un gruppo di donne preparava il caffè.
"Siamo noi i soli Arab!" ripeterono tutti in coro.
"Il principe Harith è il più degno degli Arab! - Rashid riprese la parola; senza fretta. Senza il bisogno di spenderne più del necessario. Calmo e misurato. Allentando la stretta della dialettica oppure serrandola - Da quando è alla guida delle Tribù del Deserto, a nessuno è mancata pace e abbondanza e perché la pace e l'abbondanza non vengano a mancare, occorre che vi sia unità e rispetto fra le tribù e nessuno meglio del principe Harith dei Kinda, possiede la capacità di guidare gli Arab!"

Il lord inglese aveva seguito in silenzio le parole dell'amico. Sapeva bene che i beduini avevano in odio ogni forma di gerarchia e l'unica autorità riconosciuta e scelta... soprattutto scelta, era quella del rais ed egli conosceva bene la natura del suo amico rais.
Rashid era l'uomo giusto per quella gente: combattente nato ma con il talento della sopravvivenza e non della vocazione al sacrificio o dell'ultimo sangue.
Di lui non conosceva tutta la storia ma sapeva che aveva dovuto assicurarsi l'esistenza e la sopravvivenza con la tenacia e qualche volta anche la violenza ed era certo che l'avrebbe fatto anche per il bene della sua gente: i Kinda. I KInda, amava ripetergli Ibrahim con un certo orgoglio, non conoscevano l'umiliazione del tributo; i Kinda, diceva, orgogliosi e fieri, mai avrebbero chiesto protezione in cambio di  mercede.

Ne era convinto, sir Rchaerd. Conosceva bene il principe Harith e la sua gente e se doveva esprimersi su di loro non avrebbe esitato ad affermare che primeggiavano per valore, si dimostravano leali nelle alleanz e tenaci nelle avversità.

Rashid tacque e nella breve pausa che seguì, ci fu il silenzio più assoluto, poi le ovazioni:
"Sia gloria al principe Harith!"
"Allah è con lui!"
"Sia egli nostro capo e guida."
Infervorato dalle parole e dalla dialettica del  grande predone, tutti riconoscevano Harith come capo indiscusso.
Chiamato in causa, il giovane sceicco di Sahab posò la tazza di caffè appena svuotata, balzò in piedi e con gesto teatrale si liberò della kefiah, poi brandì il pugnale e lo  sollevò in alto; forte, atletico, i muscoli guizzarono, potenti e ben distribuiti, sotto il mantello, che ricadde sulle atletiche, candido e in contrasto con il colorito bruno della pelle del torso nudo.
Suggestiva, la possente figura, stagliata contro l'orizzonte arido e di un intenso giallo-ocra.
"A capo scoperto! - scandì voce vibrante e solenne lo sceicco dei Kinda - Onde mi possiate guardare in faccia. Avete riconosciuto in me il vostro capo ed io riconosco la libertà di ognuno di voi, perché, prima di tutto, l'Arab è un uomo libero..."

E sapeva bene quel che diceva, il giovane sceicco Kinda: gli uomini di Sahab, orgogliosi ed intolleranti al comando, erano, però, capaci di scegliersi il capo giusto.

Guardandolo, sir Richard pensò agli antichi generali romani ed a quello che uno storico antico di cui non ricordava il nome, aveva detto in proposito: i soldati romani sapevano  scegliersi un capo, essergli fedele ed ubbidirgli ciecamente.

"Tacito... si chiamava Tacito... - esclamò; Ibrahim  al suo fianco si girò a guardarlo - Nulla! Nulla!  Sto pensando a voce alta."  disse con un sorriso e tornò a guardare in direzione dell'amico Harith.
"Dici bene, Harith ibn Assan! - una voce gli scrosciò alle spalle improvvisa e  dagli acceti sgradevoli - Ogni Arab ama la propria libertà ed è per questo che io, figlio del deserto, non riconosco in te il capo appena acclamato."
Harith si girò di scatto e si trovò di fronte la faccia baldanzosa e provocatoria di Ben Hassad, figlio di Feysal, il defunto sceicco dei Kaza.

Sir Richard  balzò in piedi e lo stesso fece Ibrahim e fu contro di loro che si appuntò l'indice accusatore del beduino.
"Questa mano - scandì con voce tagliente come la lama del pugnale che brandiva con la destra - esige giustizia e vendetta."
"Come osi interrompere questa riunione e lanciare accuse?"
la voce severa di Rashid fece convergere su di sé ogni sguardo, compreso quello dell'accusatore, che dopo un lieve esitazione proseguì:
"Ti chiamano  tutti il "Leone di Ar-Rimal" e sei da tutti temuto ed io dovrei temerti, Rashid, rais dei Kinda, ma il dolore per la morte di mio padre, per mano di questo assassino, - Il giovane Ben puntò lindice accusatore in direzione di Ibrahim - ha cancellato ogni paura dal mio cuore... - una pausa, riempita da un respiro pesante e  affannato, nel silenzio più totale, poi riprese -  Sono venuto a reclamare giustizia  presso gli Anziani della tribù dei Kinda, ma il loro  rais mi ha rimandato al Gran Consiglio delle Tribù... E qui, io sono ed   esigo il  sangue dell'assassino in cambio di quello di mio padre, sceicco dei Kaza."

Il lord inglese lasciò il suo posto ed avanzò di un passo o due. Aveva avuto già avuto occasione, durante gli anni in cui aveva assolto al  compito di Assistente di carovane per la "Compagnia d'Arabia"  a nome della Graziosa Maestà, la regina Vittoria, di verificare la natura infida  dei Kaza, sleali nelle alleanze e sempre pronti al tradimento. Gente perennemente in condizione di dipendenza da altre tribù, pronta all'ossequio, ma atta al tradimento.
"Falso e spergiuro! - irruppe, nell'empito di un furore incontenibile ed estraneo all'abituale flemma,  attirando su di sé la generale attenzione - Tu sei il solo responsabile della   morte di tuo padre... Tu soltanto!" scandì con durezza.
Un brusio si levò sull'assemblea.
"Mi accusi della morte di tuo padre ben sapendo che si tratta di una spregevole menzogna, Ben Hassad. - anche Ibrahim intervenne nel drammatico battibecco - Tu mi hai aggredito con il tuo pugnale, ospite sotto la tenda di tuo padre, lo sceicco Feysal... Sai bene, Ben Hassad, che quando tuo padre ha tentato di dividerci, è caduto sulla mia arma... Io ho un testimone." aggiunse, indicando il lord inglese.
"Ho un testimone anch'io! - replicò Ben, poi batté le mani e fece un nome - Nazir!".