Cap. XI - parte seconda

Cap.  XI  - parte seconda

Due donne sollevarono i lembi dell'apertura della tenda e la figura della sposa si stagliò nel vano.
Era bellissima e misteriosa.
La veste bianca di lucente satin, stretta in vita da una cintura dorata,  corpetto aderente e tempestato di perle e preziosi, era di chiaro stile vittoriano. Era stato il lord che l'aveva fatta arrivare direttamente dal suo Paese.  Sotto l'ampio mantello senza maniche, la gonna era ampia ed impreziosita di splendidi arabeschi e ricami in oro.  Il velo, trasparentissimo, era anch'esso tempestato di preziosi;  le copriva il capo, scendendo fin sulle spalle, ma  non riusciva a nascondere i bagliori degli splendidi capelli biondi che la principessa Jasmine aveva fatto cospargere di polvere dorata. Solo gli occhi, azzurro-cielo, lucidi e sapientemente truccati, erano scoperti: lo jasmac di sottilissima, trasparentissima mussola che le copriva il volto, ne accresceva fascino e mistero.
Un'ovazione accolse il suo apparire e tutti  le si fecero incontro. Fu sir Richard, però, il  Tutore della sposa, a farsi strada fra gli altri e raggiungerla. Reggeva le briglie di uno splendido cavallo di razza araba: bianco e lucido pelo raso, criniera intrecciata con nodi e passamanerie, preziosi finimenti ricchi e complessi. Una magnifica bestia. Era il cavallo di Harith.

Letizia fu fatta montare in sella e il corteo si mosse, preceduto da canti  e suoni.
La folla festante l'accompagnò durante tutto il tragitto e il sole, giù basso nel  cielo, si accomiatò languido: gli ultimi sprazzi di luce resistevano ancora, ostinatamente aggrappati alla sommità delle tende e delle palma piumate.
Finalmente la sposa raggiunse la casa dello sposo.

Consapevoli che l'attesa sarebbe stata lunga, amici e parenti dello sposo, tutti armati di fucili e carabine, avevano ingannato l'attesa in ogni modo: sparando, cavalcando e lanciando grida. Akim aveva raccolto un aquilotto fuori del nido e si stava occupando di lui quando la sposa arrivò, accolta da chiassose e festose scariche di fucili.
C'era  Rashid ad attendere la sposa davanti alla tenda dello sposo, in sua compagnia.
Insieme i due giovani si accostarono al cavallo ed attesero che la sposa, aiutata dal Tutore, scendesse di sella.
Emozionato,  ritto in piedi, lo sposo si mosse e andò incontro  alla sposa; appena le fu accanto, l'avvolse in uno sguardo amoroso, poi recitò la frase di rito, per tre volte, come voleva la tradizione.
"Io Harith, prendo te, Letizia, per sposa!"
Letizia sollevò su di  lui lo sguardo radioso: erano finalmente marito e moglie.
Anche il corteo, che appena raggiunta la tenda dello sposo aveva smesso il suo giubilo, per seguire le parole dello sposo,  tornò a suonare ed a cantare: solo ripetendo per la terza volta la formula, i due giovani diventavano veramente marito e moglie. Se lo sposo non l'avesse fatto, la sposa sarebbe tornata alla sua casa.

Seduta su una sella ornata di fiori, ghirlande e preziose bardature, la sposa si accinse ad assistere allo svolgmento della festa.
Intorno a lei continuarono i canti e le danze delle donne e le fucilate e le acrobazie con le armi degli uomini e ogni tanto, il ruggito della pantera di Zaira, al guinzaglio della padrona, riempiva l'aria già satura di eccittazione.
C'era la principessa Jasmine con il suo liuto e c'era Rashid con il suo fucile e c'era Selima, ostaggio di una noia che tentava di affogare in lunghi sbadigli.
Le donne stesero le stuoie su cui posare il pranzo di nozze: cus-cus, frutta e carni allo spiedo, datteri e una quantità infinita di dolci.
Jasmine era insieme alle donne; la spalla non era più fasciata ed aveva lasciato il liuto; le ombre della sera, intanto, si facevano sempre più lunghe. Canti e fucili tacquero.

Le donne raccoglievano in ciotoline cibo da offrire ai loro uomini.
Jasmine ne prese per Rashid: datteri e carne, un dolce messaggio carnale!
In piedi con la sua ciotola in mano, la principessa cercò nella marea di volti maschili, festanti e trasfigurati dall'eccitazione, quello di Rashid. L'aria fresca della sera calata sul deserto le aveva colorito le guance e acceso gli occhi.
"Chi andrà nel deserto non sarà più lo stesso." diceva un proverbio e lei si sentiva davvero molto diversa dalla pupilla del Sultano di Doha e desiderava soltanto una cosa: l'amore di Rashid.
Lo vide, da lontano, toccato dalla luce struggente dell'indolente momento del tramonto. Il sole era sceso, ma con il favore del riverbero del crepuscolo, si poteva ancora vedere chiaramente ogni cosa; presto, però, il deserto sarebbe stato iluminato dalla luna ed allora ogni ombra si sarebbe trasformata in mistero e suggestione.
Furono accesi tripodi, fiaccole e torce e le fiamme gettavano luci sulle ombre, rendendo ogni cosa surreale e magica.
Jasmine guardava  la figura di Rashid immersa in tanta suggestione, affascinata e trepidante d'amore. Giovane, bello, irruente, l'aitante, indomita giovinezza, l'aspetto fiero da antico guerriero: di quelli che consumano l'inchiostro degli scrittori e il colore dei pittori.
Anche lui la guardava da lontano; come in attesa.
Lei avanzò, attirata dal richiamo di quello sguardo, come l'ape è attratta dal fiore; avanzò con la sua ciotola in  mano e con lo sguardo di velluto carico di promesse, la pelle vibrante d'amore.