L'interno delle baracche non era dissimile da qualunque altro laboratorio: tavoli, sedie, strumenti di misurazione e rilievo, casse ed attrezzi; la sola differenza con gli altri laboratori erano le stufe, la cui pericolosità richiedeva cautela e precauzione, ma non c'era altra maniera per riscaldare.
Simone avanzò nella stanza; la tuta in tessuto speciale, in dotazione a tutti i membri della spedizione, metteva in risalto il fisico atletico. Trentaquattro o trentacinque anni, aveva alle spalle una solida esperienza di richerche e studi, misurazioni e rilevazioni delle mase ghiacciate. Era stato inviato a condurre richerche nell'Artico dal Comitato Geologico Italiano per il quale aveva già portato a termine una rilevazione sull'avanzamento e l'arretramento delle masse gliacializzate alpine.
"Che cosa c'é in quel pacchetto?" la ragazza tese le braccia.
"Prima la torta." sorrise Simone, scoprendo il capo e mettendo in mostra i capelli scomposti; non si riusciva a capire quanto sangue gallese fosse misto nelle sue vene a quello italiano: sua madre era originaria del Galles meridionale e i capelli erano di un vivido biondo, ma gli occhi, neri e penetranti, erano tipicamente mediterranei.
"Avanti! Avanti, la torta!" un coro di voci impazienti si levò d'intorno, seguito da una nuova, leggera, instabilità sotto i piedi.
La terra tremò ancora, la lampada a kerosene appesa al soffitto oscillò, i bicchieri tintinnarono e l'Indiana Jones cominciò a scendere e salire da cratere.
"Questa è decisamente più forte! - dsse Liliana - A questo ritmo si creeranno presto fratture nel ghiaccio."
"Ne ho contate quattro. - precisò Simone -Quattro scosse e la seconda mi è parsa particolarmente violenta."
"Usciamo fuori. - propose la ragazza - Il terremoto può aver provocato una spaccatura nella crosta ghiacciata."
Uscirono fuori ed affondarono il naso nell'aria gelida. Raggiungeva subito il cervello attraverso le narici, ma bastava respirare lentamente e ci si abituava.
Lo scenario della Baia degli Orsi era straordinario. Appariva come una fantasmagorica città di ghiaccio. Palazzi e grattacieli erano pezzi di ghiaccio affioranti dalla superficie; strade e viuzze erano i canali che la intersecavano: una metropoli bianca e fantastica, opera di architetto eccellente. Una città in continua mutazione. A ritmo costante. Perché costante era la formazione dei nuovi iceberg, favoriti dall'azione dei venti, delle onde, delle maree, delle precipitazioni: quei palazzi di ghiaccio andavano a sostituire quelli che si scioglievano, così come nelle città, quelli di cemento sostituivano i vecchi e disintegrati palazzi.
Il bianco era accecante, ma cangiava in un azzurro profondo, dopo aver visitato un verde cupo e un blu intenso. Poteva sembrare, in un primo momento, un gioco ottico. In realtà quelli erano davvero i colori degli iceberg: non solo bianchi immacolati, ma macchiati di colori straordinari: le particelle rocciose all'interno del ghiaccio trasparente.