Capitolo III - Osorkon (prima parte)

Capitolo  III  - Osorkon  (prima parte)


La colazione era pronta: pane, latte, burro e marmellata e la mamma di Emma consultò l’orologio appeso alla parete della bella cucina americana, bianca e profilata di rosso.
“Quella benedetta ragazza starà ancora dormendo. – pensò – Chissà quanto tempo ancora sarà rimasta alzata a gurdare le stelle, questa notte.”
Pochi attimi dopo la raggiunse nella sua stanza; Emma era ancora lì, con la testa appoggiata al braccio, sul tavolo e stava dormendo profondamente.
La donna scosse il capo; andò ad aprire il balcone poi le si avvicinò.
“Ma benedetta ragazza! – le fece una carezza, leggera, per non spaventarla – Non sei andata a dormire” aggiunse, gettando un’occhiata veso il letto.
Emma sollevò il capo, si stropicciò gli occhi e guardò il volto un po’ preoccupato di sua madre.
“Mi sono alzata presto, ma poi mi sono appisolata sul tavolo. Ero stanca.”
“Appisolata?… Dormivi profondamente!” sorrise la donna.
“Davvero?”
“Davvero! Ora, però, in bagno e poi a far colazione.”
“Agli ordini, caporale!”
Emma  si alzò, un comico saluto marziale e si allontanò di corsa verso il bagno.
“Che strano sogno ho fatto. – pensava intanto – Un momento… ma è stato proprio un sogno?… Ma certo! – si disse, guardando la propria immagine riflessa nello specchio - Che sciocca sei, Emmolina! Era proprio un bel ragazzo, però… quello del sogno… Meglio di tutti i rospetti che conosco…  meglio perfino del protagonista di quel film… Com’è il titolo? Avatar… Sì! Avatar! O di quel bel lupo-mannaro. Ah.ah.ah... E come  si chiamava?… Ramseth!… Si chiamava Ramseth… però…”
Però non si diresse verso la cucina, appena fatta la doccia, ma tornò in camera ed infilò il c.d. nel computer.
“Se è stato un sogno… ma se non è stato un sogno – pensò a voce alta – qui deve esserci la prova… “
Armeggiò con mani febbrili e molta eccitazione e infine:
“Ti chiamerò colei che parla attraverso la pietra di luce – ascoltò col cuore in gola – Ma di quale pietra stai parlando…”
“Questa è la mia voce e l’altra… “
Un’indicibile emozione le afferrò la gola, impedendole quasi di respirare, poi salì alla testa e nuovamente scese giù, fino allo stomaco, per risalire ancor più velocemente al cervello. Non sapeva cosa fare, ma non voleva parlarne con nessuno.
“Devo avvertire papà… Egli neppure immagina che tipo di macchina abbia creato… Un ragazzo dell’Antico Egitto…”  ed intanto camminava su e giù per la stanza, senza, però, riuscire a prendere una decisione.
“Meglio non parlarne con nessuno, per ora. Nemmeno con la mamma… Mi spedirebbero dallo strizza-cervelli… Con Dario… Forse con lui potrei parlare…. Accidenti! Ma è possibile?… Cosa diceva Ramseth?… Che si mette tutte le mattine in adorazione del Sole… Forse potrei captare… Oh, Emma, ma che accidenti stai dicendo? Captare… captare…”
Emma lasciò la stanza. A tavola fu piuttosto taciturna.
Sua madre pensò che fosse la stanchezza, le fece una carezza e poi la guardò dalla finestra mentre svoltava l’angolo per andare a scuola.

Il primo pensiero di Emma, tornata a casa, fu di chiamare il professor Cardiff.  Lo fece appena si ritrovò da sola nella sua stanza e non si perse in preamboli.
“Ho bisogno di parlare con lei, Dario. – disse, sollevando la cornetta del telefono e dando al telescopo, sul balcone, una veloce occhiata - Si tratta di una questione molto seria. Ho qualcosa da mostrarle e devo farlo immediatamente.” aggiunse.
“Di che cosa si tratta?” fece una voce dall’altro capo del filo.
“Non posso parlare per telefono. Dovrebbe…”
“Facciamo così. – la interruppe Dario, impressionato dal tono concitato della voce della ragazza – Passo da te fra dieci minuti. Dovrò fare quella strada per andare in Laboratorio.”