Capitolo III - parte quarta


Nelle ore che seguirono la tensione parve allentarsi; flebo per sostenere i due viaggiatori del tempo e massaggi agli arti per facilitare loro la circolazione. Tutti intorno alle due preziose creature, tutti accanto a loro, ad assisterli notte e giorno e per diversi giorni, per essere testimoni oculari di un evento unico e straordinario: il rivivere della materia umana più nobile.
"La musica." suggerì Liliana.
E la musica, ottimo coadiuvante nella cura di casi di lesioni al cervello, la musica di Vivaldi, la "Primavera",  in sul finire del quarto giorno entrò nella stanza: note vivaci e briose. e
Rapidi lampi vennero a baluginare negli occhi del Figlio del Gelo.

Ombre e luci, suoni e voci, disordinati  istinti ed offuscate immagini,  brandelli in fuga di scomposte visioni e sogni contorti, furono il primo irrompere nel suo cervello della consapevolezza del ritorno alla vita.  Poi, un'espressione d'angoscia. Chiara, infine, la sua voce:
"Tasin..."
Alzò un braccio, come a voler scacciare fantasmi dalla mente e tornò muovere lo sguardo  d'intorno.
"Tasin..." ripeté e  una volta ancora tornò a chiudere gli occhi.
Gli era più facile  ad  occhi chiusi  dare ordine e disciplina alle voci che ronzavano dietro la fronte come in un nido di calabroni;  i suoni, infine, si  placarono  e ombre   assunsero contorni   sbiaditi  e non ben definiti;  suoni e immagini arrivavano da ogni parte.
Passò molto tempo, scandito dal ritmo del suo stesso respiro, prima di convincersi d'essersi svegliato da un lungo sonno e ritrovato in un posto strano e nuovo in cui, però, non avvertiva minacce. Capì subito di che posto si trattava.
"I verdi pascoli del cielo!" fu il primo pensiero che la mente riuscì a comporre.
Ma ancora fischi dietro la fronte ed ancora suoni ed immagini contorte, ancora rigidità alle braccia ed alle gambe... stanchezza... eppure aveva riposato... Finalmente un'immagine... l'unica ad essere chiara sopra le altre: il dolce volto di Tasin, colei che lo aveva generato.
Anche ad occhi chiusi poteva vedere benissimo quel volto.
Le nuvole, però, oscuravano ancora la sua mente popolata di scene: corna di cervi in lotta... fiamme sulla foresta... l'abbaiare di Pelo Rosso ... e un volto dolce come quello di Tasin che lo stava guardando e gli sorrideva... Sì!  Non aveva alcun dubbio! Aveva proprio raggiunto i Verdi-Pascoli-del-cielo, sospesi ad un metro dal suolo sopra le bionde messi di grano ed avena, che attendono gli uomini pii e meritevoli per le eterne beatitudini.
Girò il capo in direzione di quel volto dal sorriso così simile a Tasin, immerso nelle ombre sopra di lui:
"Gug..."  disse.
Liliana, china su di lui, girò il capo in direzione di Franco alle sue spalle.
"Lo avete sentito?... Ha detto qualcosa..." esclamò con voce rotta.
"Gug... - rispose Franco - Ha detto gug... Non so che coglia voglia dire, ma di certo ha chiesto qualcosa."
Cercarono nel baluginio di quegli occhi antichi il significato di quella parola dal suono perduto.
"Paradiso... forse." scherzò Dario e Franco:
"Non è escluso! - replicò - Avrà sete?" domandò.
"Fame... sete... Cosa si può fare? Che cosa si può dargli? Carne, pane, acqua..." replicò Dario.
"Gug... - ripeté il Figlio del Gelo cercando di sollevare un braccio che, però, ricadde subito di fianco, ma non gli impedì di replicare il gesto e il braccio, questa volta,  restò più a lungo  sospeso in aria prima di cadere di nuovo, poi, ancora la voce,   con l'accento di chi pare stupirsi di non esere capito -Gug !"
Questa volta, però,  mentre lo sguardo correva dall'uno all'altro  dei volti protesi,  il ragazzo accompagnò le parole con l'eloquente gesto del palmo della mano tesa verso la bocca.
Chiedeva di bere!  Il Figlio del Gelo aveva sete e chiedeva di bere!
Il primo gesto!  Il primo segno di comunicazione! E la cosa straordinaria era che arrivava da lui e non il  contrario.
Fu portato un bicchiere e Simone, reggendogli il capo, l'accostò alla bocca.
Lessero una certa perplessità nel suo sguardo mentre scrutava il bicchiere e il suo contenuto, ma poi gli videro aprire le labbra e trangugisre d'un fiato.
"Gug." lo udirono ripetere.
"Sete arretrata di qualche millennio!" scherzò Dario.
"Diamogli un succo di fruttta." propose Franco, uscendo  per ricomparire subito dopo  con una bottiglietta di succo di albicocca che versò nel bicchiere e che Simone nuovamente accostò   alle labbra del ragazzo.
Il Figlio del Gelo, però,  guardò il bicchiere con espressione dubbiosa.
"Non pare molto convinto!" disse Franco in tono scherzoso.
"Ah.ah.ah... - rise Dario -  Mica scemo! Vedrà un bicchiere per la prima volta, ma in fatto di genuinità è un campione! Si starà chiedendo che cosa diavolo sia quell'acqua colorata."
"Si fida poco delle apparenze, il nostro amico! - ancora Dario - Non si fida neppure delle creature del  Paradiso, a quanto pare. ah.ah..." rise.
"Tu saresti una creatura del paradidso? Ah.ah.ah... Capisco perché nessuno voglia partire per l'altro mondo! " Franco si unì alla risata e dette una pacca sulla spalla dell'amico; Liliana intanto faceva al ragazzo il gesto di bere e questi bevve e l'aria di compiacimento che gli comparve sul bel volto testimoniò l'apprezzamenteo di quel prodotto della civiltà moderna su un ragazzo della civiltà antica.
"Ehi!..." la voce del professore attirò l'attenzione verso di lui e il cane.
Anche quella del Figlio del Gelo, che parve finalmente accorgersi dell'animale che, a sua volta, richiamato da quello sguardo, emise un debolissimo guaito.

Un lampo passò negli occhi del ragazzo antico; emozioni intraducibili vennero a navigare per lunghi attimi nei suoi occhi. Tentò di alzarsi, ma i gomiti rifiutarono di reggere il peso del  suo corpo.
Il professore, però, era già chino sul cane per raccoglierlo sulle braccia e, nel silenzio profondo e commosso sceso su tutti, andò a deporlo accanto all'antico padrone.
L'animale guaiva debolmete e scondinzolava felice: aveva riconosciuto il padrone, che gli stava parlando in quella sua lingua dai suoni gutturali, così remota, persa nella notte dei tempi.
Il capo poggiato su quello dell'amico, il corpo scosso da un fremito, il Figlio del Gelo  piangeva   icoe il cane piangeva con lui, lo sguardo nocciola e quasi umano. Poi i guaiti si fecero flebili;  sempre più flebili e il ragazzo rimase a piangere da solo un lamento antico.
Il suo volto di fanciullo senza tempo parve quasi vecchio quando il dolore vi stampò la sua stigma.