La cerimonia aveva luogo nel grande piazzale del Tempio di Ammon, all’aperto, affinché il Sole potesse toccare il suo Figlio Prediletto ed infondergli la sua forza.
Tutto era pronto già dall’alba, nel grande Tempio eretto dal faraone Amenopeth III, costruito in fine pietra calcarea, come ebbe a dire lo stesso Sovrano, ma i preparativi erano iniziati da almeno un mese.
La scelta di quel Tempio per il Giubileo del giovanissimo Faraone, solo diciotto anni, non era stata affatto casuale: voleva essere un riconoscimento verso Amenopeth III, amatissimo dal popolo, ma anche di disprezzo verso il suo successore, Amenopeth IV, Akhenaton, di cui si voleva cancellare la memoria come si era già cancellato il nome dai monumenti.
Cosa aveva rappresentato Akhenaton per la storia d’Egitto?
Era stato un innovatore, senza dubbio e un uomo che aveva precorso i tempi. Il suo vero difetto? Precorrere i tempi di almeno tremila anni. Senza dubbio il suo fervore religioso fu vero e autentico, ma non mancò di un obiettivo politico: ridurre lo strapotere del clero.
Amenopeth IV aveva sostituito una religione politeista con una monoteista: un Dio contro molti Dei, Aton, il Dio buono e misericordioso, il Dio della pace. Un Dio fuori del tempo!
Ma torniamo alla cerimonia.
Durante tutta la notte, nei Templi della città si sacrificò agli Dei e si pregò.
A Palazzo, il Faraone si sottopose ad un rito purificatore attraverso abluzioni in una vasca in cui era stata versata acqua proveniente dal Lago Sacro della dea Mut.
Il laghetto, a forma di mezzaluna, era dedicato alla dolcissima Mut la quale, però, poteva assumere le sembianze di leonessa sanguinaria e rappresentare carestie, guerre e devastazioni. Poiché ai bordi del deserto i leoni di montagna andavano a dissetarsi presso piccoli stagni dalla forma vagamente a mezzaluna, all’interno del Tempio dedicato alla Dea era stato realizzato questo lago a cui la Divina Mut avrebbe potuto dissetarsi in sembianze di Leonessa Sacra.
Terminate le abluzioni e l’unzione con oli sacri, solo verso l’alba, con un mantello intessuto d’oro e pietre preziose, una tunica di finissimo lino trattenuta in vita da una cintura d’oro, il Faraone fu pronto a lasciare il Palazzo e raggiungere il Tempio.
Vi giunse risalendo il Nilo con i primi raggi del sole, alla testa di un lungo corteo di imbarcazioni.
Le barche, tutte bardate a festa con ghirlande di fiori di loto e steli di papiro, ospitavano gruppi di suonatrici con sistri e tamburelli e danzatrici con veli bianchi e rossi, i colori del Paese.
Il corteo approdò ad un molo all’altezza del Tempio, poi si incamminò a piedi.
Al centro del cortile, all’interno del Tempio, era stato innalzato un palco su cui era stato collocato un baldacchino che dava ombra al trono di legno pregiato.
Il corteo occupò i posti assegnati da rigido protocollo: la famiglia reale, composta dalla regina Anksenammon e dalle cinque principesse di sangue reale. Seguivano le famiglie dei nobili; prima fra tutte quelle di Eye, il Gran Visir e le famiglie di tutte le alte gerarchie dello Stato. C’erano, poi, i sacerdoti del Tempio; il Gran Sacerdote era ai piedi del trono. C’erano, infine, tutti i Dignitari di corte e per ultimi, i rappresentanti del popolo.
Tutti indossavano gli abiti più belli e ricchi.
Thut-an-Ammon salì la gradinata, raggiunse il trono e sedette.
Il Gran Sacerdote gli porse Scettro e Flagello, simboli del suo potere, poi gli posò sul capo la Corona Bianca e con questa, il Faraone si mostrò al suo popolo in qualità di Sovrano dell’Alto Egitto. Nel religioso silenzio che seguì, Thut sedette e il Gran Sacerdote gli pose sul capo la Corona Rossa del Basso Egitto.
“Ecco il Signore delle Due Terre, – salmodiò – Thut-ank-Ammon: Colui che è caro ad Ammon!”
“Salute a Thut-ank-Ammon!” si levò un grido.
Due sacerdoti, l’uno nelle vesti Horo e l’altro di Seth, portarono su per la gradinata un Pilastro che legarono al trono con fiori di loto e steli di papiro, a simboleggiare il Faraone come facente parte del Trono d’Egitto. Un terzo sacerdote, raffigurante Anubi, precedendo il Faraone, cominciò a girare intorno al trono ed al pilastro per due o tre volte, in un movimento che voleva ricordare il moto del Sole, tondo e circolare, di cui il Faraone era l’Incarnazione.
Era la Cerimonia del Bagno di Gioventù del Sovrano e il popolo poteva finalmente esultare.
Canti e danze si protrassero per tutto il giorno con brevi interruzioni per cibo e bevande e finalmente fu la volta dei maghi, che non mancavano mai, sia che la festa fosse sacra o profana, sia che si svolgesse nei Templi oppure nelle ricche case dei potenti.
Per essere ammessi ad esibirsi alla presenza del Faraone, però, c’era una ferrea selezione: ogni numero doveva affrontare il giudizio di almeno due giurie e dalla loro selezione si passava all’esame definitivo di un addetto speciale; solo allora, ci si poteva presentarsi al cospetto del Sovrano.
I numeri interessanti furono parecchi. Data la giovane età del Sovrano, la scelta era caduta su un ammaestratore di gatti che, con chissà quale arte riusciva a farsi ubbidire da un animale così poco addomesticabile e su un giocoliere assai abile con palle e bastoncini e birilli