brano tratto dal libro CAPITOLO IX - LETIZIA

 brano tratto dal libro     CAPITOLO  IX  -  LETIZIA

CAPITOLO   IX -    Letizia

Chi pianta spine non si aspetti di raccogliere rose”  -  proverbio arabo

 

"E' dall'alba che siamo qui riuniti. - tuonò il sultano dall'alto del seggio reale, accarezzandosi pancia e stomaco che sporgevano da sotto la tunica gorgogliando al più piccolo movimento. - Branco di caproni! Buoni a nulla!- passò in rassegna i suoi funzionari, additandoli uno per uno - Ed io dovrei ascoltare i vostri consigli? Per Allah! Impiccarvi, dovrei."

"Signore..." azzardò il Primo Ministro, ma il sultano lo zittì:

"Taci, stolto. O ti faccio tagliare quell'inutile lingua."

"Ascoltate il vostro umile servo. - l'altro insisteva, consapevole di avere qualcosa da dire- Se le mie parole, o saggio signore, non vi saranno gradite, mi farete punire,"

"Che cosa hai da dire?" ringhiò Sayed.

"Consiglierei di esaminare la proposta di Bekir. Mi sembra buona."
Il sultano guardò il suo funzionario; guardò i suoi occhi vivaci e mobili, il volto avvizzito dall'età, la fronte alta che nascondeva pensieri impenetrabili; ma anche quello guardava lui, gli occhi torbidi, le guance nascoste dalla barba ben curata e la faccia appuntita che gli davano quell'espressione cattiva,  le labbra sottili, proprio delle persone di malanimo.

"Qual é questa proposta?" chiese, senza abbandonare il sarcasmo.
"Bekir ha suggerito di inviare una spedizione contro i Kinda." azzardò l’altro.

"Anche il mio bambino mi suggerirebbe una spedizione contro i predoni. -  rispose calmo Sayed - Ma allora, io mi domando: perché ricorrere ai consigli dei Consiglieri se anche mio figlio, che ha solo otto anni, è in grado di darmi gli stessi suggerimenti?- smise di sorridere- Ma allora non capite!...Non capite che..."

Un'ancella entrò in quel mentre con un vassoio. Si accostò timida al padrone. Ma era manifesto che questi non aveva intenzione di sfogare su di lei la sua ira.

"Se tutti  questi dotti fossero intelligenti quanto tu sei bella, piccola Muna - disse allungando una mano verso il velo della ragazza- Il mio regno sarebbe il più felice della terra."

"Sei gentile, mio signore." sussurrò la schiava sbattendo maliziosamente le ciglia.

"Quando sarò stanco di questo branco di incapaci, vieni ad allietarmi con la tua danza e ti farò un bel regalo."

"Danzerò per il tuo piacere, mio signore e non per il dono." sorrise la ragazza e con lei sorrisero gli splendidi occhi sfavillanti e neri.

"Allora non ti farò regali, ah,ah,ah... – rise il sultano - Se il bracciale d'oro che  volevo donarti non accende la tua vanità, lo donerò ad un'altra."

"Se il tuo sguardo, mio signore, si allieterà nel vedermi adornata di gioie,- l'astuzia e la gaiezza scintillavano negli occhi della piccola schiava come fuochi d'artificio in un cielo notturno - io accetterò con gioia il dono."

"La sentite, stupidi caproni? E' solamente una ragazza, ma ha più cervello di voi tutti. Visto che femmina furba? Imparate da lei. -  il Sultano le fece una carezza, poi - Va, ora, piccola Muna e rendi la tua bellezza ancora più desiderabile."

La schiava si allontanò.

Quella breve parentesi aveva fatto sbollire l'ira del sultano e il ministro ne approfittò:

"Signore, se non potremo vincere quei predoni con le  armi, useremo l'astuzia."

"E come?" domandò scettico Sayed Alì; egli non era certo una persona paziente e diplomatica e  riteneva che la soluzione dei problemi, di qualunque natura fossero, si trovasse solo nell’uso della forza. 

"Quel demonio di Rashid... Che Allah lo sprofondi nel fuoco dell'inferno, sarà certamente al corrente della nuova carovana che sta per partire da Doha..."

"Puoi esserne certo! Quel dannato ha spie dappertutto!"

"Perché non trasformare la carovana in una trappola?"

"Una trappola? - il maggiore Honey, comparso nel mentre sull'uscio di una porta laterale avanzò nella sala -Il nostro primo ministro ha ragione, Altezza - esordì - Ho sentito quello che dicevate a proposito dei predoni e del loro capo."

"Uhhhh!...- il sultano si schiarì la gola ed assentì col capo -Elaboreremo un piano. Ma...meno testimoni!" e con la destra si lisciò il mento barbuto, mentre faceva cenno all'inglese di occupare l'ultimo divano rimasto vuoto.

"Sarà meglio!" disse il maggiore mettendosi a sedere.

Il sultano fece un cenno con la mano e la sala si svuotò; rimasero lui, il primo ministro e il maggiore il quale riprese, ma in tono molto serio:

"Ho delle rivelazioni da fare che richiedono la presenza di poche orecchie in ascolto.. - Sayed non replicò e il maggiore insistette - Non avete capito, altezza. Ciò che devo confidarvi è questione assai delicata." spiegò, accennando alla presenza del ministro.

"Di lui mi fido... forse anche più di voi... ah.ah.ah... maggiore!"  rise il sultano.

"Va bene! - capitolò l'inglese - Vengo subito al dunque: quel dannato predone... il rais dei Kinda... vi siete chiesto perché non risparmia nessuna delle vostre carovane... perfino le più piccole e meno allettanti, altezza?"

"Perché le mie carovane, maggiore, - tuonò Sayed - non sono mai piccole e poco allettanti!"

"No! No! Siete in errore ed all'oscuro di un particolare che, se venisse a conoscenza di Sua Maestà, procurerebbe ad entrambi noi, conseguenze irrimediabili!" scandì con lo stesso tono il maggiore e il Visir, che ascoltava in silenzio, guardò l'inglese, palesemente soddisfatto che qualcuno fosse capace di rivolgersi al suo padrone con il tono che egli usava con gli altri.

Sayed fece l'atto di replicare, ma Honey, che aveva solamente fatto una pausa per riprendere fiato, proseguì:

"Conoscete per esteso il nome di quel demonio, Sayed? Eh?... Sono certo di no, come sono certo che per voi Rashid  altro non sia che un dannato predone che infeste le vostre piste carovaniere... E allora sappiate, altezza,  che il nome di quel demonio è Rashid bin Mohammed Al Thani... Sì! quel demonio è un Al Thani... appartiene alla famiglia Al Thani!"

Sayed sbiancò in volto come se un'orda di  fantasmi gli stesse passando davanti.

"Non è possibile! - proruppe infine - Il ragazzo è morto... lo sapete bene, maggiore. Foste voi che..."

"Tacete, per il vostro Dio e per il mio! - esclamò l'altro in tono assai concitato, poi riprese - Ecco perché bisogna attirarlo in trappola e..."

"Attirare in trappola quel demonio non è facile! - lo interruppe Sayed - Ma... - continuò, assumendo un'espressione colma di significati e facendo al suo ministro cenno di lasciare la stanza - disponendo di un'esca efficace..."

"Ah!..." fu il commento del maggiore, sottolineato da un eloquente sorriso, mentre con lo sguardo seguiva il ministro che con malcelata contrarietà si alzava per lasciare la stanza,  tendendo l'orecchio nel tentativo di catturare  qualche frase vagabonda delle confidenze che i due si stavano scambiando.

"La principessa Jasmine... Dea-Vivente... immense ricchezze..." fu quanto l'uomo riuscì a captare prima di richiudersi alle spalle la grande tenda che nascondeva la porta d'ingresso.

                                                          

Mentre a Doha si ordivano tranelli, a Sahab l'episodio dell'espulsione di Alì era già dimenticata..

Albeggiava, il primo chiarore apparve all'orizzonte tra il cessare della notte e l'approssimarsi dell'aurora e le stelle andarono impallidendo inghiottite da quell'incerto biancore.

L'oasi era ancora avvolta nel silenzio, quello che segue il clangore e il fragore di una festa ed il vento assediava le tende.

Letizia, la figlia minore del mercante greco, era già in piedi: ogni volta, quel magico momento del risveglio del giorno la trovava sveglia e la spingeva fuori della tenda; gli splendidi occhi ancora assonnati, ma avidi di nutrirsi della struggente bellezza di quel magico momento.

La ragazza lasciò cadere alle spalle il lembo che fungeva da entrata della tenda che divideva con la sorella e le due piccole schiave di Bibal, ma restò ferma dov'era: qualcun altro l'aveva preceduta.

Il cuore  le balzò in gola nel riconoscere la figura di Harith, nobile e prestante;  fiero, nell'atteggiamento dall'eleganza felina: dell'audace leopardo del deserto e dell'intrepido leone di montagna. Non certo del vanitoso pavone, pensava con occhi sognanti e sfavillanti, mentre  fissava estasiata la sua possente figura.

Letizia era una sognatrice. Sempre persa, diceva con indulgenza sua sorella Atena, dietro sogni e fantasticherie; sempre attratta da mondi sconosciuti e lontani e da persone cariche di fascino e mistero, lontane dal suo ambiente:  il principe Harith, bello e irraggiungibile, era proprio la figura giusta per alimentare i suoi sogni e le sue fantasie.
Protetta dalla penombra, seguiva affascinata ogni suo gesto mentre Fatima, la nutrice, gli posava sulle spalle la Ksa, il bianco mantello svolazzante, che tanto faceva sognare le donne europee... e non solo quelle.

Fatima rientrò sotto la tenda e Harith fece qualche passo in avanti, ma si fermò subito e si girò, quasi  avesse sentito il richiamo di quello sguardo balenante.

"Letizia! - esclamò andandole incontro a lunghi passi e fermandosi davanti alla ragazza; sopra le cime piumate delle palme, la luna brillava ancora, ma le stelle andavano velocemente impallidendo e il fuoco del bivacco più vicino ardeva basso - Il tuo nome è Letizia? E' così  che   ti chiami? ... Letizia e gioia per lo sguardo... - sorrise, mettendo in mostra una chiostra di denti da giovane leopardo poi aggiunse, dopo breve pausa - Sei mattiniera, bella Letizia e l'Aurora ha le tue sembianze ."

Lei abbassò gli occhi e per coprire il rossore di cui s'era cosparso il bellissimo volto, si calò il trasparentissimo velo.

Sapeva, lo ripeteva sempre ad entrambe, a lei e ad Atena, il caro padre compianto, da quando erano  scesi dalla nave che li aveva portati da Atene. Lo ripeteva sempre, di coprirsi  il volto in presenza di un estraneo, se di fede islamica, perché, diceva, "... qui è considerato indecente l’usanza deii cristiani di permettere alle donne di mostrare il volto."

Harith sorrise al gesto: le donne, beduine non usavano coprire e nascondere i loro bellissimi voli, così come era imposto alle donne di città e della costa. Però non disse nulla: gli occhi di quella creatura, pensava, di quell'azzurro intenso rubato al cielo, erano sufficienti a sconvolgere i suoi sensi e lo trafiggevano come strali luminosi fin nel più intimo dell'animo.

"Amo questo momento del giorno. - la sentì dire - Mi permette di  scrutare nei meandri più nascosti del mio spirito e di dare spazio ai miei sogni e ai miei desideri."

"Sogni e desideri? - sorrise ancora lui - Se Letizia mi confida i suoi sogni e i suoi desideri, io le confiderò i miei." aggiunse posandole  dolcemente una mano sulla spalla e sospingendola delicatamente in avanti.

 

Proseguirono per breve tratto, poi lei si fermò e sollevò su di lui gli straordinari occhi azzurri.

"Oh! Io ho pochi desideri e molti sogni. - confessò - Io vivo di sogni."
"Ma... - replicò Harith, completamente ammaliato dal balenio azzurro di quegli occhi - Io desidero tutto quello che sogno."

"Oh, no! - soggiunse Letizia - I desideri sono realizzabili, ma i sogni sono irraggiungibili. Ecco perché i miei desideri sono modesti e i sogni, invece, assai grandiosi... I miei sogni - sorrise - non hanno limiti né orizzonti... Non hanno tempo... Sono sogni!"

"Ma i sogni possono diventare realtà, piccola Letizia. Esprimi i tuoi sogni e i tuoi desideri e forse..."

"I miei desideri? Oh, io desidero incontrare Alma, la nipotina che ancora non conosco."

"Sono certo che la incontrerai un giorno."

Harith le sfiorò con la punta delle dita il volto proteso e nascosto dal velo; Letizia fremette e riprese:

"Vorrei... Vorrei anche  tornare in Italia, un giorno. - una lieve incrinazione nella voce - Vorrei tornare a Torino, la città dove sono nata."

"Ma... - trasecolò il giovane - Non sei nata ad Atene? E' da quella terra, mi dicono, che il mercante Aristo Gallas sia arrivato a Doha assieme alle sue due figlie."

"Io sono la figlia di Vittorio Bosio, archeologo e collega del professor Marco Starti, amico di Aristeo Gallas. Avevo dodici anni quando mio padre morì... insieme a mia madre... Aristeo si prese cura di me e mi adottò... Atena non è mia sorella di sangue, ma è molto più che lo fosse.  -  sorrise e si calò il velo. Quasi con civetteria. Ma lo tenne sulle labbra mentre parlava -   Io non ho mai smesso di sognare… Quando ero bambina e leggevo i libri di favole, sognavo giungle e Templi  misteriosi... deserti ed isole sperdute... Io… io sogno ancora... - s'interruppe; nello sguardo un pizzico di splendida malizia che conquistò definitivamente il cuore del bel predone - Non... non sorriderai del mio sogno se te lo confido?"

"Non sorriderò. - lui la guardava incantato, come si guarda un prodigio –Anche io ti confiderò il mio sogno."

"Io sogno ancora il principe delle favole... - sorrise -  senza macchia né paura, che mi rapisce sul suo cavallo bianco e mi porta lontano, in un luogo incantato."

"Splendido sogno, dolcissima Letizia. – anche Harith tornò a sorridere poi aggiunse - Io non ti dirò qual è il mio sogno, ma te lo mostrerò... dopo che avremo fatto onore al caffè ed alle ciambelle al miele della cara Fatima."

Il sole, intanto, comparso all'orizzonte, stava lacerando l'ultima foschia  del crepuscolo del mattino, permettendo al giorno di avanzare veloce.

Harith fece un cenno e un giovane si avvicinò; lo sceicco gli bisbigliò qualcosa all'orecchio e quello si allontanò veloce.

Un profumo di caffè e di ciambelle fritte saturava l'aria tutt'intorno, proveniente dalla zona riservata agli ospiti, nella tenda dello sceicco.

Il giovane passò intorno alla vita della ragazza il braccio forte e solido come una colonna e un fremito di piacere la percorse tutta; il  corpo  ancora rigido,  Letizia non sapeva quasi dirsi se a procurarle quei fremiti fosse l'aria fresca del mattino oppure la violenza delle sue emozioni.

Harith si tolse il mantello e lo posò con delicatezza sulle spalle di lei che sollevò su di lui gli stupendi occhi sfavillanti sotto le lunghissime ciglia di seta e con un sorriso  lo ringraziò.

Lui la guidava con tenera sollecitudine. Ogni tanto lei sbirciava verso di lui,  il naso adunco e il mento da animale da preda, il profilo sottolineato dalla breve barba, che nel loro insieme gli conferivano una certa somiglianza  con  i simulacri di antichi guerrieri:  bellissimo e un po' selvaggio.

Richiamato da quello sguardo, Harith si chinò sul suo capo;  a lei parve che vi avesse deposto un bacio e tornò a fremere.

"Vieni." la sollecitò.

l caffè era già pronto quando raggiunsero la tenda di Harith e la vecchia Fatima era già pronta a servirli. La ragazza, però, si liberò del mantello, che restituì al giovane e prese dalle mani della vecchia il prezioso vassoio poi, movendosi agile ed  aggraziata nella veste di seta lucida color cipria,  sotto lo sguardo compiaciuto di Harith cominciò a servire; offrì prima  il caffè poi le ciambelle ancora calde e sfrigolanti,  scegliendole una per una  con  le lunghe dita da artista e deponendole nel piatto davanti al giovane; dopo sedette accanto a lui e si servì da sé.

Fatima la scrutava, tra l'incuriosita e la sospettosa, ma Letizia le chiese del dolcificante con un sorriso così radioso, che il volto rugoso della vecchia si distese immediatamente. Quando nei piatti  e nelle tazze non ci fu più nulla, lasciare una pur minima traccia di cibo era irrispettoso per l'ospite e la cuoca, Harith si pulì  la bocca sul dorso della mano e si alzò.

Letizia lo imitò;  ringraziò entrambi, sia Harith che la sua nutrice e  fece l'atto di allontanarsi. Harith la trattenne per un braccio, mentre con l'altro si sistemava il mantello.

"Aspetta, Letizia. - disse - Ho una sorpresa per te."

"Una sorpresa?"

Lei si fermò, lui fece un cenno affermativo del capo e la prese per mano, guidandola verso l'esterno; la vecchia Fatima le mise uno scialle sulle spalle. La ragazza si girò per ringraziarla con un sorriso, poi seguì il giovane che, in silenzio, proprio come chi  pregusta il sapore di una sorpresa,  le fece attraversare il campo, quasi del tutto deserto  a quell'ora, salvo sentinelle e qualche mattiniero.


Vicino alla Fontana del Fico, quasi al centro del campo, trovarono il giovane con cui Harith poco prima aveva scambiato qualche parola.

Reggeva le briglie di uno splendido cavallo bianco, che tese al suo sceicco prima di allontanarsi.

"Ecco, piccola Letizia. - Harith la inondò di uno sguardo unico e particolare,  quello da cui la scintilla del desiderio sprigiona già al primo incontro... al primo incrociarsi di sguardi. - Il tuo sogno!...  Il principe delle favole, senza macchia né paura, che col suo cavallo  bianco ti rapisce e ti conduce in un luogo incantato!...E' il tuo sogno, hai detto...  Io ho qualche macchia, forse, ma non ho paura e sono qui per realizzare il tuo sogno e condurti in quel  luogo incantato!"

"Oh, Harith! - proruppe lei, colta di sorpresa, mentre un lieve rossore le scivolava lungo le guance rilucenti del riflesso del primo sole del mattino - Io non so che dire..."

Lui la guardava incantato.

"Posso aiutarti a montare?" domandò.

Lei fece un cenno affermativo del capo; aspettava  il fuggevole attimo in cui si sarebbe consumato il contatto dei loro corpi... Era preparata ad emozioni e turbamenti, eppure, per    la seconda volta, si lasciò cogliere dalla sorpresa: non s'aspettava  quell'eccitazione, quel vellutato piacere, quando lui le cinse la vita con entrambe le mani e nel sollevarla la tenne così vicino a sé da confondere sguardi e respiri; non s'aspettava la indicibile eccitazione prodotta dal seno serrato e palpitante contro il petto di lui mentre la portava più su, prima di deporla sulla sella.

Per un attimo, lei lo guardò dall'alto poi, con un balzo, lui le montò alle spalle e insinuò le braccia sotto le sue braccia, intorno al busto, per attirarla a sé e lei si trovò seduta con le ginocchia sul collo dell'animale e con le gambe sulle ginocchia di lui. Trattenne il respiro, sotto l'empito di  una violenta emozione, rigida e tesa, nelle braccia di lui che  con una mano la sosteneva per  la vita e con l'altra reggeva le briglie.

Fu solo allora, quando lo sguardo cadde sulle sue mani, che Letizia si accorse della ferita ricucita e ancora fresca tra il polso e il dorso della mano sinistra.

"Ti sei procurato questa ferita battendoti con sir  Richard per me, sceicco?" domandò.

"Chiamami Harith, piccola Letizia. Sì! - assentì lui con un sorriso - Te l'ho detto, dolce gazzella, sono pronto ad affrontare un'intera tribù per i tuoi occhi azzurri."

Lei girò il capo per guardarlo in volto; le guance, poi le labbra si sfiorarono.... pochi secondi, ma lei ammutolì...  e non solo per l'emozione, ma  anche per lo stupore: si aspettava che Harith la baciasse e la stringesse forte, ma Harith non lo fece, nonostante negli occhi gli brillasse quella luce irrequieta con cui nessuno l'aveva mai guardata prima.

Gliene fu grata e ne fu delusa al contempo, ma quel vago timore che per giorni non l'aveva abbandonata l’afferrò quasi di sorpresa.

"Sir Richard si è battuto per mia sorella. – disse, cercando di rendere la propria voce il più incolore possibile - Adesso   Atena è una donna libera che può decidere della propria vita come ha sempre fatto, ma... ma io, Harith? - una lieve incrinazione nella voce, che proprio non riuscì ad impedirsi di avere - Cosa sono io? Quale sarà il mio destino?"

"Oh, Letizia! Luce degli Occhi Miei! - proruppe lui,  fermando il cavallo e lasciando andare le redini sul collo dell'animale - Non hai ancora capito che non è il tuo destino ad essere nelle mie mani,  ma è il mio destino ad essere nelle tue?" le mormorò sulla bocca, poi l'avvolse in un abbraccio, le gambe avvinte alle sue, in un spasmodico intreccio di braccia, mani, bocche.   Il seno di lei palpitava contro il torace di lui tambureggiante.

Harith appoggiò la guancia a quella di lei, s'inabissò nel fulgore azzurro dei  suoi occhi e le liberò il capo dal velo; lei lo lasciò fare. Inebriato, lui le tirò indietro la massa setosa e bionda dei lunghi capelli e la baciò; prima sulla fronte, poi sugli occhi e sulla guancia, per tornare ancora alle palpebre, che lei aveva abbassato,  ma  che lo facevano impazzire per il tesoro che vi nascondevano. Finalmente si fermò sulle labbra.  Lei fremeva e in lui il desiderio premeva, durissimo, come un fiore che spinge per aprirsi. Nelle labbra di lei semiaperte vi aveva trovato sapore di latte e miele; lo stesso che era nella sua bocca. Pago, ma non sazio, passò alla gola e al collo ed a quella tenera curva, proprio fra gola e collo, irresistibile richiamo dei suoi  sensi eccitatissimi.

Per qualche attimo lei restò ancora immobile a ricevere amore, intimorita dall'audacia  di lui ma anche timorosa che smettesse; la bocca di lui continuava a cercarla, insieme alle mani ed a percorrerla con grande delicatezza. Poi, egli  le prese una mano, che  portò su di sé. Prima timidamente e timorosamente, poi con più sicurezza, lei si lasciò guidare nella scoperta del corpo di lui... ricerca e scoperta eccitante, terrificantemente meravigliosa. Continuò a "cercarlo" ed a scoprire la sua diversità e lui le lasciò la mano... libera di esplorare da sola.

Tornò da lei. Cominciò sbottonandole la veste di seta aperta sul davanti; uno per uno, i numerosi  bottoncini si arresero sotto le dita eccitate. Il corpetto della veste, aperto, scivolò sulla spalla sinistra, mostrando il tesoro nascosto. Si chinò per saziarsi di baci e inebriarsi del profumo di quella pelle bianca e morbida; le abbassò le bretelle che reggevano il seno, ma lei lo trattenne.

"No!”

Solo un monosillabo, ma riuscì a fermare il grande predone .
Harith allentò la stretta; un lieve bacio sui capelli, poi le sistemò la veste.

"Non temere. - la rassicurò - Non temere, Luce degli Occhi Miei! Non farei nulla che non volessi anche tu."

"Non... non hai risposto alla mia domanda, Harith. – lei si ricompose, il volto fiammeggiante -  Io... io vengo da una terra dove le donne non si mettono più in vendita da molto tempo e... ed ora  non so se sono una donna ancora libera."

"E io ti ho risposto, mio bene infinito! - il grande predone si chinò a sfiorarle una volta ancora la guancia - Capisco, però, le tue paure, ma... ricorda, mio bene,  le donne di Sahab sono donne libere." aggiunse, poi, afferrate le redini, lanciò il cavallo al galoppo.

Lei lasciò correre un lungo istante prima di chiedere:

"Vuoi dire, Harith, che se il lord inglese non fosse riuscito a battere quell'Alì, mia sorella Atena avrebbe potuto rifiutare di diventare la sua terza donna... quell'Alì ha già due mogli, io so… Perché ne voleva una terza?"  continuò, in tutta ingenuità.

"Ah.ah.ah"... - rise il giovane, poi spiegò - Allah gli permette di avere quattro  mogli...  se può mantenerle dignitosamente, ma... forse, queste cose tu non puoi ancora capirle, piccola Letizia."  sospirò, sfiorandole i capelli con le labbra in un gesto tenero e insieme assai sensuale.

Lei fece l'atto di prendere la parola, ma esitò; lui continuava a sfiorarle la nuca con la bocca e lei proruppe:

"Non le capisco, infatti e non le capirò mai. Quando l'amore busserà al mio cuore sarà per sempre e l'amore sarà tutto per una sola persona ed a nessun'altra donna sarà permesso..."

Harith non la lasciò finire.

"Ah.ah. ah... –sorrise e la strinse così forte da farla gemere; sentiva, attraverso il sottile tessuto di seta della sua veste, le pulsazioni affrettate del cuore e del sangue,  all'unisono  con il ritmo delle proprie   - Ah, piccola Letizia... - sospirò, poi, di colpo, mutando tono nella voce esclamò - Guarda davanti a te, Letizia... Guarda. Ecco il mio sogno!”

Avevano galoppato per più di un miglio tra le basse dune di un mare di sabbia.  Lentamente avanzarono verso un avallo; gli zoccoli del cavallo sollevavano un piccolo turbine di sabbia iridescente attraversato dal primo raggio di sole.

"Sembra neve gialla ammassata dal vento." osservò la ragazza.
"Neve? - fece il giovane predone delle sabbie - Non ho mai visto la neve, ma deve essere uno spettacolo straordinario."

"Straordinario, sì! - rispose lei - E' fredda e gelida,  non rovente come questa sabbia e si scioglie come acqua tra le dita.... - spiegò, ma ammutolì, al sommo della meraviglia   appena ebbero raggiunto l'avallamento e svoltato l'ansa della breve duna. - Oh!"   non   riuscì a trattenersi.

Nel  giallo riverbero della sabbia vide, come un miraggio, spuntare la cima piumata di una gigantesca palma. Subito dopo una seconda e poi una terza e una quarta e infine un  cerchio di palme che serravano uno specchio d'acqua dalla vaga forma di mezzaluna nel quale andava a specchiarsi un cielo di un azzurro incredibile.

"Quel gioiello - disse il giovane - ha il colore dei tuoi occhi, Angelo mio."

L'oasi era piccolissima; neanche venti metri di lunghezza, ma di straordinaria suggestione: un gioiello di turchese incastonato nell'oro della sabbia e ornato dagli smeraldi dei fusti   di palma.

"Ecco il mio sogno, piccola Letizia. - Harith fermò il cavallo sul bordo di quello stupefacente specchio d'acqua - Ha dissetato per generazioni intere tribù - spiegò smontando ed aiutando Letizia - Qui le donne venivano a raccogliere acqua fino a quando la siccità non lo prosciugò, molto tempo addietro. Oggi è tornato più ricco e rigoglioso di prima e sir Richard dice che, se riportata in superficie e ben distribuita, l'acqua che  si cela qui sotto disseterà tutta la regione ed è questo il mio sogno... condurre l'acqua con  canali o tubi  sotterranei  in ogni parte del territorio."

"Ma è un sogno meraviglioso! - esclamò la ragazza al colmo dell'entusiasmo - E'  un progetto meraviglioso e straordinario.  Ed è il posto più suggestivo che io abbia mai visto... un posto da sogno... Un vero Paradiso!"


Non c'erano solo palme in quel Paradiso, ma anche arbusti spinosi e cespugli frondosi dalle foglie brillanti, carichi di fiori rosa.

"Sir Richard dice che qui sotto potrebbe celarsi un tesoro di immensurabile valore..."

"Petrolio! - lo interruppe la ragazza; lui la guardò stupito - Mio padre era un biologo e... anche il professor Marco me ne parlava."

"Il mio sogno! - ripeté il grande predone - Rashid, il mio rais e sir Richard, il suo amico lord inglese, mi aiuteranno a realizzare questo sogno:   il lord con i suoi studi e Rashid  impedendo che le lotte fra le tribù incendino il deserto. "  

                               

                                           ******                          

                              

La Fontana del Fico, nel cuore di Sahab riusciva a dissetare tutta l'oasi; Letizia vi stava attingendo acqua con una brocca, nella tarda mattinata di quello stesso giorno, quando una nuvola di polvere occupò l'orizzonte.

"Chi sarà quella gente che arriva al galoppo?" domandò al ragazzino che era con lei e l'aiutava a riempire la brocca.

Era un gruppo di cavalieri, una mezza dozzina, almeno ed altrettanti cavalieri partirono dall'oasi per andare loro incontro. Tra loro c'era anche il rais, Rashid dei Kinda.

I cavalieri arrivarono e sfrecciarono al galoppo sfrenato davanti al Pozzo del Fico diretti  alla tenda di Harith che pareva attenderli.

C'era anche una donna a far parte del gruppo, un'abile cavallerizza che stava perfettamente al ritmo con gli altri. Cavalcava un cavallo dal lucido pelo marrone, elegantemente bardato di nastri, passamanerie e altri ornamenti. La ragazza, completamente vestita di un tenue colore verde, indossava elegantissimi pantaloni larghi e vaporosi sotto una casacca dello stesso colore ma di tessuto più leggero e impreziosito di ricami: in testa, sotto un magnifico mantello dello stesso tessuto e ricami, esibiva un hiiab, fazzoletto di un verde molto più scuro, che le incorniciava viso e collo.

Letizia seguì i cavalieri con sguardo incuriosito; intanto com'era prevedibile, la gente  dell'oasi non impegnata in altre faccende, si affacciò all'uscio delle tende e si riversò tutta  di fuori, con un'unica direzione: la tenda del capo, sgusciando di qua e di là con alte grida e colpi di fucili sparati in aria.

Tornata alla tenda che divideva con alcune donne e sua sorella Atena,  Letizia domandò alla sorella, ferma davanti all'uscio assieme alle due piccole schiave di Bibal:

"Chi è quella gente? Da dove arrivano quei cavalieri? ... C'è anche una donna, avete visto?...  E che cosa significa quest'aria di festa che sta catturando tutti... qui?"

"Avanti! Venite anche voi! - una mano di donna afferrò, di spalle,  Letizia per un braccio; la ragazza aveva appena  posato a terra la brocca. Si buttò il mantello sulle spalle e si lasciò trascinare via,  seguita da Atena - Andiamo a rendere omaggio a Fatima, la bella promessa del nostro sceicco, la  figlia dello sceicco Feysal della tribù degli Aws... Venite."

"La... promessa dello... sceicco Harith?" sussurrò con un fil di voce  la ragazza rallentando  la corsa e fermandosi di scatto;  per un attimo il respiro venne a mancarle e il sangue retrocesse velocemente dal bellissimo volto per far posto ad un profondo pallore.

"La bella Fatima.  Sì! - assentì l'altra, ignara del solco di profonda, dolorosa amarezza che quella  notizia  stava imprimendo al suo cuore - Fatima, la figlia maggiore dello sceicco  degli Aws, promessa sposa di Harith, il  nostro amato sceicco" recitò con sussiego.

Letizia sentì piegarsi le ginocchia. 

Come investita da un vortice del vento che da settimane assediava Sahab, si piegò in avanti con la sensazione che ogni cosa precipitasse assieme a lei: il cielo, i monti, le tende.

"Harith e Fatima - continuava implacabile la voce della donna al suo fianco - si scambieranno presto promessa di matrimonio e allora qui ci sarà grande baldoria, grande festeggiamenti e confusione... Venite...Venite!"

La mano della donna continuò a trascinarla; Atena procedeva dietro  di loro.

 

Fatima, la promessa sposa dello sceicco di Sahab fu sistemata sotto la tenda di Alina, la donna più influente della tribù.  Alina, madre di Ibrahim, il vice di Rashid, era la più autorevole delle donne della tribù per la numerosa figliolanza: madre di ben dieci maschi a cui, come ogni donna araba, era legata da vincoli quasi servili, ma a causa di cui, però, godeva di grande prestigio in seno alla comunità. La sua tenda era la più grande fra tutte quelle del campo: la nascita di tanti figli,  maschi e femmine, ne aveva ogni volta fatto aumentare la capienza. Era anche  tra le più ricche e dotate, perché tutta quella figliolanza aveva portato benessere e sollecitato la generosità dell’intera tribù.

Tappeti, stuoie, divani, cassettoni e ceste; specchi e specchietti, arazzi e telai, piatti,  anfore, vasi e vassoi; fucili e pugnali: nella casa di Alina non mancava proprio nulla..

Luci e ombre, profumi ed odori.  Confusione, risate e gridolini.
Era quasi sempre da lei che le donne si radunavano per ricorrenze. cerimonie, feste o semplicemente per fare quattro chiacchiere ed adesso erano tutte lì, curiose di vedere la promessa del loro sceicco.

 

Anche Letizia raggiunse la tenda di Alina, ma si fermò a qualche metro dall'uscio, poi  avanzò ancora di qualche passo e ancora si fermò;  si avvolse nello scialle che quella stessa mattina la vecchia Fatima, la nutrice di Harith, le aveva messo sulle spalle e si nascose dietro il fusto di una palma, restando a fissare la rivale.

"E molto bella!" pensava, mentre una spina acuminata le trafiggeva sempre più profondamente il cuore: Harith, vicino a lei,  che le sussurrava qualcosa cingendole la vita, così come aveva fatto con lei solo all'alba di quello stesso giorno.

Restò a fissarlo e di colpo gli vide sollevare il capo e convergere verso di lei lo sguardo.  Smise di respirare, temendo che lui l'avesse vista, pallida e afflitta, l'animo bruciante di amarezza e umiliazione, nascosta dietro quella palma come una ladra.

Capì, invece, che Harith non l'aveva vista e allora fece un gran respiro e afferrando l'ultimo residuo di coraggio si avvicinò ai due.

"Rendo omaggio alla futura sposa dello sceicco dei Kinda. - recitò con sussiego, modulando la voce in maniera così dolce e musicale che  un aperto, cordiale sorriso  distese i lineamenti  del volto della futura sposa, mentre un lampo indefinibile attraversava lo sguardo dello sceicco - Che il vostro Allah sia sempre con voi e riempia di felicità e di serenità i vostri cuori !" concluse e si voltò per allontanarsi.

"Letizia!" la richiamò Harith, tendendo il braccio verso di lei, ma Letizia era già lontana e  altre mani si tendevano verso di lui.

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Il nuovo avvenimento, la cerimonia di fidanzamento dello sceicco, aveva assorbito la gente di Sahab: un’occasione  che offriva ai giovani l'opportunità di combinare altri matrimoni.

Per l'occasione le giovani si erano caricate di ornamenti, bracciali, catene, orecchini, anelli ed avevano indossato abiti festivi, coloratissime gùbbah e cinture ricamate. I giovani, invece, senza barba né copricapo, per indicare che non possedevano nemmeno una moglie, portavano solo una fascia bianca intorno al capo e sopra lunghe tuniche esibivano toghe e mantelli dai ricami dorati.

Spiccava in mezzo a loro il turbante bianco e oro di Akim che, con i suoi giochi di magia, teneva desta l'attenzione di tutti.
Il numero più applaudito fu quello in cui, nella gabbia di un serpente, il ragazzo fece comparire Rama, il falco di Rashid.  Perfino il rais ne fu strabiliato e per quanto lo pregasse, non riuscì a farsi rivelare il trucco. Il ritorno a casa di Rama era una stupefacente sorpresa per tutti.

"Ma come hai fatto? - andava chiedendo Rashid, mentre calzava il guanto di  pelle su cui accogliere il rapace - Quando è arrivato qui?"

"Proprio ora!- rispose il ragazzo in tono gioioso- L'ho riportato io qui direttamente da Doha."

"Ma è straordinario! Come hai fatto? Non vuoi proprio rivelarmi il segreto?"

"E che segreto sarebbe? ah,ah,ah..." rideva il ragazzo, circondato da una folla commossa e felice di quel ritorno, ma anche impressionata dalle capacità di quello strano ragazzo.

Intanto, conclusa, tra una sorsata e l'altra di the, l'interminabile trattativa sulla dote da versare alla sposa, lo sceicco Harith  presentava un saggio dei suoi doni. Erano alquanto numerosi, in verità,  ed erano accompagnati da una notevole somma di denaro perché Fatima, oltre che ragazza di virtù fisiche e morali, apparteneva alla famiglia dello sceicco della tribù degli Aws, per generazioni avversari dei Kinda.

Alla cerimonia era stato invitato anche sir Richard. Il lord inglese conosceva molte  caratteristiche della gente che lo ospitava; sapeva che ogni tribù, composta da varie famiglie, aveva una discendenza comune e prendeva il nome del primo padre: Figlio di… Quanto più numerose erano le famiglie, tanto più forte era il potere di ognuna di loro: quanto più numerose erano le donne dell’harem,  tanto più numerosa era la schiera di giovani guerrieri intorno al padre e Feysal, sceicco degli Aws, aveva una nutrita figliolanza e la sua era una delle più potenti tribù dopo quella dei Kinda .

 

"Lunga vita agli sposi. Viva Harith e Fatima!"

Le grida gioiose degli uomini lo staccarono dalle sue riflessione;  brindavano con  acqua e the, poiché il Corano non consentiva alcolici  e le donne trillavano, facendo schioccare la lingua nel modo  caratteristico.

La luna era già alta nel cielo e i fuochi dei bivacchi più scoppiettanti che mai. L’atmosfera era assai calda ed eccitata: era il secondo giorno di quella festa e il momento più atteso, soprattutto dai membri più giovani.

La Danza dell’Amore. La danza notturna più frenetica ed eccitante, attesa e vietata. La legge islamica la vietava, ma nessuno più rispettava quei divieti. Erano le donne, in quel gioco eccitante e proibito, a scegliere il maschio e trascinarlo in un vortice di audacia e trasgressione.

Accosciato accanto a Rashid, la luce delle fiamme del bivacco che strisciava sui  volti, sir Richard guardava le ragazze di Sahab danzare. Instancabili ed incontenibili, sensuali e e pudiche al contempo. Le guardava e pensava che quelle ragazze, che non usavano nascondere i bellissimi volti  dietro veli e mascherine, come facevano tutte le altre donne arabe, che portavano le loro gubbah con la stessa grazia e solennità con cui una Regina porta un mantello, erano le donne più libere che avesse mai incontrato: né in quelle terre, né nelle lontane terre di Scozia.

“Quei ragazzi – quasi fosse entrato dentro i suoi pensieri, Rashid lo distrasse dalle sue riflessioni – sono stati portati a tale stato di eccitazione, -  gli stava dicendo  – da sentirsi pronti ad usar violenza, ma le ragazze li hanno stremati  al punto da renderli incapaci. ah.ah.ah…. “

Rashid rideva, lo sguardo incendiato dai bagliori delle fiamme.

                                                 ****

Tra le ragazze, spiccava l'assenza di Letizia.

"Sapevo di trovarti qui."

La voce di Harith, straordinariamente dolce e tenera, sorprese Letizia alle spalle.

"Davvero?"  disse lei senza neppure voltarsi, ma permettendo ad un brivido di percorrerla lungo tutto il corpo.

Stava seduta su una sporgenza rocciosa, al limitare dell'oasi; davanti  a lei l'irraggiungibile orizzonte continuava a fuggire ed alle spalle l’aggrediva l'eco di risate, voci e grida gioiose che si staccavano dal piazzale dove la gente di Sahab era raccolta in festa.  Si alzò, ma continuò a dargli le spalle e lui l'attirò tra le braccia.

"Non toccarmi! - gli ingiunse lei con voce tranquilla, ma ferma - Non mi toccare. Non voglio!"

Lui ritirò le braccia a mezz'aria; lei si girò e la profonda tristezza concentrata negli occhi di lei, asciutti e splendidi, lo turbarono, insieme all’indolente momento toccato dall'ultimo struggente chiarore del giorno.

"Mi dispiace, Letizia! Mi dispiace! - proruppe - Mi dispiace che tu lo abbia saputo in questo modo!"   le sussurrò chinandosi e posando le labbra sulla cascata morbida dei capelli: senza velo né orpelli,  lei  ostentava quasi con sfida la sua straordinaria, incomparabile bellezza.

"Lo so!" rispose lei con disarmante semplicità.

"Sei arrabbiata con me e..."

"No! - lo interruppe lei sorridendo: un sorriso che conservava intatta tutta la dolcezza, ma che era triste come una lanterna spenta sulla parete di una casa violata - Non potrei mai essere arrabbiata con te, Harith, perché tu sei e resterai  per sempre il mio "sogno"... Io mi sento, invece,  ferita e umiliata."

"Oh, no! - esclamò lui con voce sinceramente contrita - No, Luce degli Occhi Miei! Io ti avrei parlato di Fatima... ti avrei detto che solo il dovere e non l'amore mi lega a lei e..."

"Ho qualcosa che ti appartiene, Harith. - lo interruppe lei, tendendogli qualcosa che aveva in mano  e accompagnando il gesto con quel sorriso senza gioia che tanta afflizione procurava a lui  - Di certo appartiene alla tua promessa sposa, ma, non so come...  è finita nella mia tenda."

Si trattava di una collana: un gioiello degno di una regina. Una luccicante cascata di diamanti trattenuta da una maglia d'oro puro  che racchiudeva al suo interno un enorme, preziosissimo, sanguigno rubino; opera eccellente della oreficeria della più pura tradizione araba.

"Oh, no! Mio bene! - gli occhi nero africano del giovane, profondi e sempre più turbati, l'avvolsero come in una carezza, le sue mani cercarono il bel volto chino di lei e lo sollevarono, le braccia l'attirarono a sé - Questo gioiello è proprio per te, mia  dolce  gazzella e non si trovava per sbaglio sotto la tua tenda."

Lei non rispose, né lo respinse e lui la strinse ancora più forte, certo che la resa  fosse vicina: lei era così disarmata e vulnerabile e lui non voleva che si sentisse in alcun  modo costretta e desiderava, invece, che l'inclinazione verso di lui avvenisse per sua stessa volontà, pur sapendo che a sublimare la meravigliosa sensualità di lei erano proprio il suo  comportamento e la sua paziente attesa.

"E' un gioiello  molto prezioso. - udì infine la voce di lei, dolce e ferma insieme - Oro e pietre preziose: il dono per una "Promessa sposa" o una "Favorita" ed io non sono  né   l'una né l'altra cosa."

Colto di sorpresa, mentre lei tentava di sciogliersi dalla stretta, Harith cercò di trattenerla;  intorno a loro era tutto silenzio, il clamore era lontano e loro due erano soli.

Ferita, umiliata, ma  femminilmente implacabile, lei  lo ferì a sua volta:

"Mi hai messa sul banco e vinta in regolare combattimento... - proferì - Non so se per   farmi prigioniera o rendermi la libertà... Se sono prigioniera, comportati come un padrone, Harith. Se, invece, sono libera,... torna dalla tua donna."

"Lascia che ti spieghi..." tentò lui, ma lei gli voltò le spalle e si allontanò.

 

Quella notte stessa Atena e Letizia lasciavano Sahab; con loro portavano un cammello e un fucile, ma in cambio lasciavano una collana di topazi, unico oggetto della ricchezza paterna, sottratto alla cupidigia dei predoni e di Bibal, il mercante di schiave, il cui valore era sicuramente superiore.

Le cercarono inutilmente per due giorni