La principessa Nefer avanzò di qualche passo, si avvicinò e restò a guardare lo splendido simulacro. Quando, però, i suoi occhi si posarono su quelli della statua, di quarzo e straordinariamente realistici, ebbe l’impressione che fossero vivi.
Era una statua di straordinaria bellezza e perfezione tecnica,impreziosita da intarsi di avori, pietre preziose e paste vitree. Ritraeva un giovane dalle notevoli proporzioni fisiche e dai potenti muscoli ben distribuiti. Un pettorale, composto di dischetti dorati tenuti insieme da una maglia d’oro, gli copriva il petto e un perizoma maculato gli cingeva i fianchi.
Il braccio destro, teso in avanti verso una lancia, e quello sinistro, a pugno chiuso, esprimevano forza, ardimento e superiorità: quella statua “era”, nell’atteggiamento e nella compostezza, un Protettore.
“Oh, sì! – proruppe la principessa – Tu sei un artista che conosce l’andare di una statua di uomo e il venire di una statua di donna… Tu conosci la posa del colpire un nemico e il bilanciare del braccio di chi punta la preda. Tu sai l’espressione di spavento di chi deve essere sacrificato o il guardarsi l’un l’altro negli occhi di chi ama… Questa statua è quanto di più mirabile i miei occhi abbiano veduto mai.”
“E tu, bellissima fanciulla, sei quanto di più amabile abbiano veduto i miei.” sorrise compiaciuto Mosè.
“Lei è la principessa Nefer di Tebe.” interloquì una voce alle loro spalle; si voltarono tutti.
“Osor!”
Il cuore e lo sguardo di Nefer traboccarono d’emozione.
Osor, il Sacerdote di Bes, avanzò nella stanza e si fermò accanto alla statua: ne era la copia perfetta.
Alto e atletico, i muscoli gli guizzavano sotto la pelle abbronzata; la luminosità corvina dei capelli era trattenuta sulla fronte da un cordino di lino color sabbia, proprio come quello della statua che lo raffigurava. Al collo un largo shebiu a dischetti, Osor sembrava personificare le forze della natura: era prestante e di straordinaria bellezza.
A guardarlo, nessuno avrebbe posto in dubbio una sola virgola di quello che si raccontava sul suo conto. Di lui si diceva che fosse stato affidato alla corrente del Nilo in una cesta di vimini e che Sobek in persona, il Signore dei Coccodrilli, avesse guidato quella cesta tra anse e giuncaie. Il Deforme Bes, si diceva, lo aveva allevato e protetto così come aveva fatto con Horo-fanciullo perseguitato da Seth e gli aveva fatto dono di qualità sconosciute agli uomini comuni. Nessuno, infine, dubitava che i ghepardi del deserto lo avessero nutrito con il loro latte e che sciacalli e coccodrilli, gli fossero stati compagni di giochi.
Nella Città dei Morti la sua autorità e il suo prestigio, erano superiori perfino a quelli del principe SeKenze, cugino del Faraone e Capo di tutte le istituzioni al di là del fiume. A lui si rivolgevano tutti per consigli e protezione o per ottenere giustizia.
Lo stesso principe SeKenze si rivolgeva a lui per essere illuminato su questioni di ordinaria o straordinaria importanza, come il processo istituito per trovare i colpevoli della profanazione della tomba della regina Hetepheres, madre del Faraone.
“Come posso servirti, mia signora?” chiese in tono assai riverente il giovane scultore, rivolto alla principessa di Tebe.
“Offrendo ospitalità e asilo ai miei amici, - rispose la principessa, indicando il principe Xanto, alle sue spalle – Cerchiamo un rifugio per lui e il mio amico Ankheren dice che…”
“No! – la interruppe Osor l’Esposto – Il lungo braccio di Teshnut è già qui. Questo, sono venuto a dire: i suoi uomini sono già sulle tracce del fuggitivo che, neppure qui, sotto la protezione di Ptha, è al sicuro.”
“La Ferale Sekhmet sfoderi i suoi artigli e il suo mantello grondi sangue abbondante! – imprecò il principe Thotmosis – Quell’uomo non ha rispetto per nulla ed infrange impunemente le Leggi di Maat, Signora della Sacra Bilancia.”
“Chi non teme gli Dei, rischia di inciampare nella propria ombra.” sentenziò Osor.
“Che cosa possiamo fare?” chiese in tono apprensivo la principessa Nefer.
“Osor libererà da ogni insidia il cammino della principessa Nefer e di coloro che percorrono la sua stessa strada. – rispose con un sorriso enigmatico e sfingeo il giovane sacerdote della più misteriosa delle Divinità – Seguitemi. C’è un solo posto dove il principe Xanto di Troia può trovare salvezza.”
Si voltò per lasciare la stanza, subito seguito da tutti gli altri.
Osor l’Esposto si voltò per lasciare la stanza, subito seguito dagli altri.
Appena fuori del Tempio, però, la principessa Nefer ebbe la sensazione che l’orizzonte andasse allargandosi e tutto quanto in esso contenuto, cappelle, antri, monti e strade, cominciassero a dissolversi in un etra fluido ed instabile comparso improvviso.
Un nuovo paesaggio venne pian piano sostituendosi, ugualmente assolato e giallo, ma assai più arido e rovente.
Vide, là dove c’erano case e cantieri, rovine, cumuli di terra smossa, tombe scoperchiate e tanta gente: una moltitudine di gente strana. D’aspetto inquietante. Come non ne aveva mai viste prima e che non assomigliavano a nessuno dei popoli che conosceva.
Improvvisamente “la” vide.
Vide Isabella. Vide il proprio Ka in mezzo a quelle persone ed “avvertì” un pericolo mortale incombere sopra la sua persona.
“Attenta! Attenta! Lo spettro del Messaggero è sopra di te. – urlò, tendendo le braccia in avanti, come per afferrarla - Attenta… ”
Una voce, proprio nello stesso istante, attraversò il cervello di Isabella, lacerandole la coscienza; si trovava nella necropoli in compagnia degli amici.
“Attenta! … - rintronava quella voce dietro la fronte aggrottata - Lo spettro del Messaggero è sopra di te. Attenta… A-t-t-e-n-t-a!”
Isabella avvertì una minaccia nell’aria, poi vide Osor, al suo fianco, protendere un braccio in avanti e qualcosa rimbalzarvi sopra con un sibilo acuto, andando a colpirla di striscio alla spalla sinistra.
Isabella abbassò il capo e vide una macchia arrossarle la maglietta bianca. Era ferma in mezzo al viottolo, accanto ad uno dei tanti banchi di souvenirs offerti ai turisti: quasi in casa, poiché le abitazioni erano proprio nel cuore della necropoli.
Era confusa e le parole che le uscirono dalle labbra parevano non aver senso:
“Lo Spettro della Morte… Il Messaggero…” continuava a ripetere mentre, con fatica, cercava di riannodare sensazioni, emozioni e fili spezzati di pensieri vagabondi.
“Qualcuno sta sparando… - urlò una voce alle sue spalle - Mettetevi al riparo.”
L’amico Alì, che era con lei, la prese per un braccio e la trascinò via.