Capitolo VI - parte terza

Capitolo  VI  -  parte terza

Osorkon accompagnò il ragazzo a casa.
Nsitamen si spaventò nel vedere il pallore impresso sul volto del ragazzo ed ancora di più nell'udire del suo malore; Ramseth cercò di rassicurarla, poi le chiese di offrire qualcosa all'ospite. Non ebbe tempo, però, di terminare di parlare, poiché divenne pallidissimo  e prese a rimettere convulsamente del liquido verde.
"Potenza di Ammon! - esclamò preoccupata la donna - Ma che cosa gli hai dato da bere?"
"Io niente. - rispose il pescatore -Alla Casa d'Oro, però, ha bevuto alla coppa del Faraone... Me lo ha detto egli stesso."
"Alla coppa del Faraone?... Oh, me meschina!... Aiutami... aiutami a portarlo a letto!"
Più tardi, quando il pescatore ebbe lasciato la casa, la donna sedette su uno scanno ai  piedi  del letto. Il ragazzo riaprì gliocchi ed incontrò lo sguardo severo e preoccupato della madre.
Le sorrise.
"Vedi, figlio mio, quale effetto può fare il vino alla tua età? -disse Nsitamen - E' saggio che tu non ne tocchi ancora... Fra qualche anno... con moderazione. Ma adesso..."
Il ragazzo non la lasciò finire.
"Io l'ho solamente assaggiato per far piacere al Faraone."
"Tu non devi più andare alla Casa d'Oro." ingiunse sua madre con atteggiamento risoluto.
"Ma perché? Il Faraone mi onora  della sua amicizia e mi ha ammesso alla sua presenza durante la posa per la sua maschera funeraria... Egli vuole che torni ancora a Palazzo. E' molto impressionato dai miei giochi."
"Tu non devi mettere più piede a Palazzo." insistette la donna.
"Ma perché? - anche il ragazzo insisteva -Egli mi chiama Fratello-del-mio-cuore e mi dimostra affetto."
"Ti chiama Fratello-del-mio-cuore?... Oh, me meschina!... Io non voglio che tu torni ancora a Palazzo e così sarà."
"Ma perché?" continuava a chiedre Ramseth.
"Non importa il perché... Ho deciso così e basta. Ora riposa. Nella tisana ho messo un'erba che ti farà dormire." e senza aggiungere altro, la donna schermò la finestra ed ordinò a Nuta, lo schiavo nubiano, di andare dal prete Namir e pregarlo di raggiungerla.

A base di papavero, la tisana che Nsitamen aveva preparato, fece scivolare il ragazzo in un piacevole sopore, un benefico riposo che pur non addormentandolo, gli procurò un dolce benessere. I rumori della strada,  lo scalpittio dei passi, le voci dei passanti, ogni suono gli giungeva attutito, ovattato e sommesso, come quello strano mormorio che era dentro la conchiglia che gli aveva regalato Osorkon.
Quella conchiglia, gli aveva spiegato l'amico pescatore, veniva da molto lontano ed era la casetta di un pesce .
"Una casetta?" aveva chiesto lui meravigliato.
"Certo! Come quella che si porta dietro la tua tartaruga." aveva spegato l'amico.
Non pago della risposta, lui  aveva chiesto a tutti i costruttori di case che conosceva, come un pesce potesse costruirsi una casa. Quelli, però, avevano riso, s'erano stretti nelle spalle come per dire che non ne sapevano nulla e uno di loro aveva detto:
"... però sono solide quanto le case di pietra e non fragili come quelle di fango e paglia."
Era proprio vero! Le case della gente, a Tebe,  non erano tutte uguali. Quelle dei ricchi   erano di mattoni di fango essiccato ed erano provviste di finestre e terrazzi, ma quelle dei poveri erano di paglia e fango e sui tetti si aprivano aperture per far entrare la luce ed uscire  il  fumo e potevano essere spazzate via facilemente da acqua e vento.

Cullato da quel dolce ronzio nelle orecchie, il ragazzo si lasciò trasportare in un mondo di nebbie, ombre e suoni indistinti poi, d'un tratto, un suono più chiaro e vicino lo fece sobbalzare. Riconobbe la voce di Narmir, uno dei portatori del Tempio, che  spingeva la sua carretta piena di doni per Ammon. Seguirono voci ben chiare e distinte e non  provenivano dalla strada, bensì  dalla stanza attigua:
"... è un rischio, ma come dissuaderlo senza digli la verità?" era la voce del prete Namir.
"Io sono sua madre. Io lo dissuaderò.  -  questa era la voce di Nsitaten ed era colma di apprensione - E' mio figlio e non voglio perderlo... Non deve più andare alla Casa d'Oro."
Ramseth si alzò; non poteva più sopportare la pena che era in quella voce.
"Come dissuaderlo!" continuava a dire il vecchio prete.
"Lo chiama Fratello-del-mio-cuore... - continuava a gemere la voce di sua madre - Non voglio che "lei" me lo porti via... Non potrei sopportarlo, se "lei" lo volesse per sé!"
"Chi vuole Ramseth per sé?"
Il ragazzo era comparso sull'uscio.
"Che cosa fai in piedi? Torna a letto!" cominciò il prete: era chiaro che cercava di prender tempo alle domande che sarebbero arrivate e che arrivarono puntuali:
"Chi mi vuole per sé, madre?"
Ramseth ripeté la domanda.
"La corte! Ecco chi ti vuole per sé!... La corte!" scandì il vecchio prete.
"Ma io non amo la vita di corte. - replicò il ragazzo - Io vado alla Casa d'Oro solo per alleviare la solitudine del mio Faraone e allietare i suoi ultimi giorni, perché... sapete... egli è davvero molto malato e il cesellatore lavora giorno e notte alla sua maschera funeraria."
"Ramseth,   ragazzo  mio... - il vecchio trasse un lungo sospiro -  La tua presenza a corte non potrà arrestare la  corsa del nostro amato Faraone verso l'eternità."
"Questo lo so, vecchio Namir, ma io voglio donargli qualche sorriso come farò con te... Ti darò sostegno e forza quando sarai pronto a salire sulla Barca di Ammon."
"Oh!"  si commosse il vecchio, ma la donna interloquì, sempre preoccupata.
"La corte è un posto pericoloso per un ragazzo come te, figlio mio. " disse.
"Tranquillizzati, madre. - le  sorrise rassicurante il ragazzo  - Io non suscito invidie a corte, poiché non prendo nulla dal Faraone in cambio dei miei giochi...  neppure la coppa  d'oro  in  cui ho bevuto e che il Faraone voleva donarmi, ho accettato."
"Che cosa hai fatto?... Hai rifutato un dono del Faraone?... Piccolo incosciente! - insorse il vecchio prete con affanno - Lo sai che non è permesso rifiutare un dono del Faraone?"
"OH!...  Adesso basta parlare di queste cose. - si spazientì il ragazzo, poi in tono più  conciliante - Ho molte cosa da fare. Dammi congedo, madre." disse.
"Dovresti stare a letto, figlio... Va, ma non ti stancare."

Più tardi, mentre era in giardino,  Ramseth cominciò a ripensare alle parole  appena   ascoltate e di cui non riusciva a comprenderne appieno il significato.
"Ne parlerò con Emma. - si disse con un sorriso - La mia amica ha una rispposta per ogni domanda."

Fu proprio la prima cosa che Ramseth domandò all'amica del futuro, l'indomani mattina, appena inginocchiato davanti all'altare ed alla Pietra-di-Luce."Sono preoccupato ed inquieto." esordì.

"Che cosa ti preoccupa?"   chiese  Emma.
"Le strane parole che ho udito per bocca di mia madre.  - la ragazza avvertì tutta l'inquietudine del ragazzo - Da quando il Faraone ha visto i miei giochi e chiede la mia compagnia, mia madre si mostra preoccupata."
"Dovrebbe essere contenta ed orgogliosa." osservò Emma, girandosi a guardare sua madre, in piedi alle sue spalle.
"Invece ne è terrorizzata. - seguì una pausa, che Ramseth riempì con un lungo sospiro poi si schiarì la gola e continuò - Lei mi ha allevato con molto amore, ma  io non sono suo figlio... - ancora una pausa; Emma seguiva stupita e interessata quelle parole - Io, però, non so quali pericoli possa correre, dal momento che godo della protezione del Faraone in persona. - un'ennesima pausa, per un sorriso - La mia compagnia lo consola e diverte." spiegò.
"Credevo che alla corte del Faraone ci fossero maghi, giocolieri e danzatrici..." osservò la ragazza.
"Il Faraone non ama la compagnia dei cortigiani. Sono sempre lì a chiedere favori.    Quanto   ai giochi, lo hanno annoiato ed egli preferisce i giochi di Ramseth." sorrise compiaciuto.
"Ma i maghi egizi non sono mai stati  eguagliati... - osservò la ragazza - Sapevano trasformare l'acqua in vino, i bastoni in serpenti e sapevano fare tante altre cose ancora... Non è così?"
"Anche i bambini conoscono quei trucchi. - replicò il ragazzo - I miei giochi, invece, lo divertono... sono le sue uniche distrazioni.  Il Faraone é sempre stanco...   Sono mesi che non visita il suo gineceo... me lo ha detto egli stesso e vede la Regina solo quando lei viene a trovarlo... Io non l'ho mai vista, ma tutti dicono che la regina Ankseammon è molto bella... - una pausa e un sorriso quasi di scusa, poi - Ma io ti parlo solo di me, Sorella-del-mio-cuore ed invece voglio sapere di te... Al mio amico Osorkon parlerò molto presto di te. Questo lo renderà contento."
"Io, invece, al mio amico Dario ho parlato a lungo di te e purtroppo sono arrivati i guai!"
Emma ebbe un sospiro.
"Non ti capisco." disse Ramseth dall'altra parte.
"Lo sai, vero, che è attraverso una macchina che noi due stiamo parlando? Ebbene... ci sono persone che stanno facendo di tutto per impadronirsene."
"Per la Sacra Barba di Ammon! - esclamò il ragazzo - E possono farlo?"
"Temo di sì, ma spero di no!"
"Non temere, sorella del mio cuore. - sorrise ancora Ramseth, con quel suo sguardo lontano, irraggiungibile e pur così straordinariamente colmo di splendore -Se anche quelle persone  lo facessero, io non risponderò."
"Io credo, amico mio, che se anche tu lo volessi,  non potresti farlo. Mio padre ha già provato a stabilire un contatto con te, ma non ci é riuscito. Io credo che soltanto noi due, io e te, per chissà quale arcano motivo, siamo in grado di parlarci."
"Asur mi ha spiegato il significato di "contatto telepatico"... come dici tu." la sorprese  una  volta ancora il ragazzo  antico.
"Davvero? Chi é Asur?"
"E' il potente sacerdote della dea Mut... Asur è un uomo molto  saggio e potente ed  è capace di imporre a chiunque la propria volontà solo guardandolo fisso negli occhi."
"Oh.Oh.... - fece la ragazza - Questa si chiama ipnosi."
Parlarono amcora a lungo. Emma faceva domande e dava risposte e suo padre annotava ogni cosa sul p.c. e come le altre volte, quando si avvicinò il momento di staccare il contatto, i due  si salutarono con le solite parole:
"Passo e chiudo!" disse Emma.
"Qui, Ramseth, passo e chiudo!" rispose l'altro.