Capitolo VIII - parte terza

Capitolo  VIII  -  parte terza

uomo a misurarsi contro un'intera tribù per averti."

Lungi dal rassicurarla, quelle parole  ardenti ed appassionate misero nel cuore della ragazza maggiore inquietudine.

"Che cosa ne sarà di me e mia sorella? Volete venderci schiave o farci vostre schiave? - domandò con voce turbata - Se sono questi i vostri disegni..."

Il sopraggiungere di Ibrahim, il secondo del suo rais, che accostò le labbra all'orecchio per dirgli qualcosa, impedì la replica dello sceicco; prima di allontanarsi, però, egli la rassicurò:

"Torna a dormire, piccola Letizia e deponi i tuoi timori... la notte è ancora lunga."

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Sahab apparve all'orizzonte del lungo corridoio su cui scorreva la pista carovaniera. I cavalli galoppavano veloci sotto la spinta degli irrequieti cavalieri e la sabbia rimbalzava sotto gli zoccoli per ricadere, iridescente, davanti alle zampe dell'animale che seguiva; il feidy attutiva lo scalpittio degli zoccoli.
Feidy, così era chiamato il corridoio sabbioso e profondo creato dall'azione dello scirocco.
In quel punto del deserto, la mancata alimentazione di sabbia e la rapida opera del vento, avevano provocato una rottura al centro della grande duna e si erano formate lunghe catene parallele che si allargavano verso le estremità seguendo la direzione del vento; numerosi  widian asciutti si seguivano e si intersecavano. L'intera regione di Ar-Rimal era percorsa da una quantità di ormai asciutti corsi fluviali, ricordo di una remotissima, ma assai diversa epoca climatica. Dopo violente e brevi precipitazioni, questi widian si riempivano di acqua, ma l'evaporazione e l'assorbimento della sabbia, mettevano ben presto fine alla splendida esplosione di fiori che ne seguiva.
"Tra poco potremo ristorarci." esordì Rashid girando il capo in direzione di sir Richard.
"Deve essere bella. - disse il lord- E quell'alone che la circonda?" domandò.
"E' il riverbero dell'acqua. - spiegò Harith, che cavalcava alla sua sinistra - Sahab è ricca d'acqua."
Un colpo di fucile rimbombò nel lungo corridoio.
"Ci hanno visti.”
Rashid sollevò il fucile e lasciò partire un colpo poi si lanciò, seguito dagli altri, in un galoppo che non ebbe sosta neppure quando il sabbioso corridoio fu superato e si entrò in una piatta e gialla distesa da cui spuntava la prima vegetazione.
Si trattava, invero, di piccoli cespugli spinosi che la sabbia copriva e scopriva nel carosello imposto dallo scirocco, ma che si trasformavano, man mano che si avanzava e diventavano sempre più numerosi; al contrario della sabbia, che andava diradando e che lasciava posto ad un fondo ciottoloso e stepposo. Una prima palma, un tamarindo, segnava il confine tra l'oasi e il deserto. L'aria  aveva perso l'accecante ed intensa luminosità, fenomeno proprio di luoghi secchi ed asciutti. Anche la riverberazione, causa dell'evaporazione quasi totale dell'umidità contenuta nell'aria, era cessata; perfino la distesa superficie, che a causa del fenomeno della irradiazione era parsa più estesa di quanto non fosse in realtà, venne riportata alle giuste dimensioni.
L'aria divenne dolce; di sapore quasi marino.
"Se non sapessi di essere nel deserto, direi che questo è odore di salsedine." disse sir Richard.
"E' l'umidità delle foglie e delle radici delle palme a produrre questo odore." spiegò il rais.
"Confesso di sentirmene inebriato."
"Vi capisco, sir." disse il beduino e alzò il capo per respirò a  pieni polmoni l'aria della sua oasi; le teste fasciate da mindil e keffiew, i cavalieri percorsero l'ultimo tratto.


La gente dell'oasi s’era riversata tutta fuori delle tende. Le donne avevano lasciato fusi e lana, telai ed arcolai, per correre incontro  ai loro uomini; i bambini, chiassosi e seminudi, avevano smesso di giocare per precipitarsi verso i cavalieri e questi dovevano fare ricorso alla loro proverbiale perizia, per evitare di schiacciarli sotto gli zoccoli degli animali. Incuranti del pericolo, i piccoli si insinuavano tra le gambe dei cavalli, si attaccavano alle loro code e saltavano sulle groppe.
Ma non erano i soli a manifestare la gioia con tanta esuberanza: l'intera tribù era invasa da eguale eccitazione. Tutti instancabili ed operosi nell’aiutare a scaricare asini e cammelli.

Le prime cure furono riservate proprio agli animali, feriti o disidratati; ai primi provvedevano le donne con una poltiglia di erbe medicinali e dei secondi si facevano carico i più giovani della tribù.

Sahab era davvero un posto incantevole. Piccola, non si estendeva oltre i quattro chilometri, era ricca di pozzi intorno ai quali, cosa assai insolita per un popolo nomade, c'era un accenno di agricoltura. C’erano piante, a Sahab, dai tronchi spessi quanto il torace di un uomo, le cui radici dovevano spingersi a tale profondità sotto la sabbia, da raggiungere falde acquifere quasi irraggiungibili.
Numerosissime le tende; un vero villaggio. Erano nere o a strisce colorate e sostenute da brevi paletti infissi nel terreno. Erano fatte di pelo di capra e di cammello, animali di cui,  unitamente ad asini, cavalli e dromedari, erano pieni  gli steccati. Su molte di esse posava una stuoia coloratissima che le donne producevano e che doveva sfidare per decenni le ingiurie del deserto.

Sulla soglia di una di quelle tende, una donna si fece da parte per lasciar entrare lo sceicco; i capelli erano bianchi e la vecchiaia le causava un tremito continuo, ma gli occhi brillavano di gioia.
"Sii il benvenuto nella tua tenda, Harith.- disse tendendo un vassoio con piccole tazze d'argento, che reggeva con mani malferme - Ed anche a te, straniero, se sei ospite del mio signore." disse rivolta all'inglese.
"Allah sia con te." la ringraziò Harith con un sorriso affettuoso.
"Grazie della cortesia." anche l'inglese ringraziò.
"Allah sia anche con te, Rashid."anche il rais ebbe il saluto della donna ed anche lui rispose con un sorriso.
"Allah sia pure con te, Fatima."


L'interno della tenda, che si estendeva più per lunghezza che per larghezza, era diviso da un telone in due parti; la prima, comunicante con l'esterno, era riservata agli uomini e serviva per ricevere gli ospiti; la seconda era riservata alle donne ed un profumo di caffè proveniva da quella parte.
Il caffè, però, doveva essere il complemento di un banchetto, che le donne avevano già preparato. Sulla tovaglia bianca stesa per terra, infatti, posavano vassoi stracolmi di cibo: un segno di riguardo verso l'ospite, una tavola riccamente  imbandita!
Terminate le abluzioni, sostituiti gli abiti impolverati,  sedettero tutti sulla grande stuoia e il pranzo ebbe inizio, servito da due giovani donne; l'allegro coro di voci femminili proveniente da dietro il telone, andò infittendosi sempre più.

Finalmente venne servito il caffè.

Era un vero rito. Riuniva gli amici ed era pretesto per scambio di notizie, opinioni, consigli e preghiere. Per essere perfetto bisognava che fosse: amaro come la notte, caldo come il sole e dolce come l'amore!

La tostatura veniva fatta al momento ed i chicchi venivano ridotti in finissima polvere in uno staio di ottone; solo così, acquistava quel profumo inimitabile. Onde evitare che fondi di polvere potessero trovarsi nella tazza, soprattutto in quella di un ospite, una volta giunto ad ebollizione,  veniva lasciato depositare e poi era travasato in un'altra caffettiera. A questo punto, dopo averlo riportato ad alta temperatura ed aromatizzato con spezie varie, il caffè era, finalmente, pronto per essere servito.