CAPITOLO XI

CAPITOLO  XI

Si ritirarono tutti; Isabella, seguita da Osor, raggiunse la sua tenda, a pochi metri da quella del fratello.
Il verso di una civetta riverberava da lontano, ma l’ombra del Guardiano, che la luna discesa sui monti proiettava al suolo, la seguiva fedele e rassicurante; i lunghi capelli di Osor, agitati dal vento, parevano ali di ibis in volo.
Isabella ebbe un sorriso
“Osor! – esclamò – Amico mio, sei diventato la mia ombra.”
“Io sono Osor, mia Signora, Io…” cominciò quello.
“Lo so. Lo so. –lo interruppe lei –Tu mi seguirai fedele come l’ombra e libererai il mio cammino da pericoli ed insidie… Lo so! Ma come devo diritto che ho bisogno della tua protezione, sì, ma anche di un po’ di privacy?”
“Privacy?” fece Osor, senza perdere la propria imperturbabilità.
“E la principessa Nefer? Chi protegge la principessa Nefer, ora che tu sei qui con me? Lo sai, vero, che io non sono Nefer?”
Avevano raggiunto la tenda e la ragazza accese la torcia elettrica e sedette sulla brandina.
“Tu sei colei per cui il Destino non ha scritto sul Libro. – la sorprese, come di consueto, la prodigiosa creatura – Il tuo nome è Isabella e sei il Ka della principessa Nefer.”
“Sì! Ho capito”… Ma tu… tu, quale prodigio sei mai? Quale atto d’amore ti ha generato e messo al fianco della principessa Nefer? Ed ora che sei qui con il suo  Ka… chi  protegge lei? Chi protegge a principessa Nefer?”
“Tu sei Isabella. – tornò a cantilenare Osor – Tu sei il Ka della principessa Nefer e…”
“Ho capito! – tornò ad interromperlo la ragazza – Per te Isabella e il Ka della principessa Nefer sono la stessa cosa… la stessa entità… E va bene! Vuoi restare al mio fianco? Sia così…”
Un colpo d’arma da fuoco echeggiò nella notte, proveniente dalla tenda del fratello.
Isabella sobbalzò e si precipitò di  fuori, immediatamente
Seguita da Osor. Appena in tempo per vedere un’ombra sgusciare fuori della tenda di Alessandro e scomparire, inghiottita dalle tenebre.

Trovarono il professore che stava rialzandosi da terra.
“Alessandro… Alessandro. – urlò la ragazza – Che cosa succede? Ho sentito degli spari provenire da qui… Santo Cielo! Ma tu sei ferito!”
“No. No! – la rassicurò il fratello – La pallottola mi è passata accanto senza neppure sfiorarmi. No!”
“Dio mio che paura!” continuò la ragazza; Hammad, comparso sull’imbocco della tenda, appariva anch’egli assai preoccupato.
“Ho sentito degli spari. Provenivano da qui?” domandò.
“Hanno rubato il papiro - imprecò il giovane riassettandosi  la sahariana color dattero e passandosi una mano tra i capelli scarmigliati – Qualcuno si è introdotto qui dentro e mi ha sorpreso alle spalle – spiegò – Ho cercato di fermarlo, ma quello ha estratto una pistola puntandomela contro, poi ha afferrato il papiro. Quando ho provato a riprenderlo, quel delinquente ha fatto partire un colpo… per fortuna andato a vuoto.” Aggiunse.
“E adesso?”
“Poco male… Avevo già fotografato sia il cartiglio che il testo.”
“Chi può essere stato e perché? Perché hanno portato via proprio quel papiro? Non avranno dei sospetti?”
“Non credo. – Alessandro scosse il capo – Per pura avidità. Hanno preso quel papiro per pura avidità, io credo. Sul mercato avrà gran valore, come tutti i reperti riguardanti la tomba della principessa Nefer, ormai nota a tutti nel mondo.”
“Certamente!… Ma tu stai bene, amico mio?” chiese il suo assistente.
“Quel bastardo, figlio di una cagna, - imprecò il giovane – aveva una pessima mira, per mia fortuna… Dobbiamo trova quell’uomo, anche se non sarà facile.” aggiunse.
“Al contrario! – interloquì Alì, che aveva appena messo piede sotto la tenda – Sappiamo bene dove cercare.”
“Davvero?” fece Isabella.
“Lo sappiamo, sì! Si tratta sicuramente di un uomo di quel cane di Abdel il Rosso ed è in quella direzione che dobbiamo cercare e noi conosciamo già una delle sue tane.”
“Hai ragione, ragazzo. – convenne il professore – Scoveremo quella tana. Domani… Ci penseremo domani. Ora andiamo a dormire.”

Le stelle andavano impallidendo, inghiottite da un debole chiarore, all’alba dell’indomani, quando, consumata una veloce colazione, il gruppo lasciò il campo.
Alessandro ed Hammad si allontanarono a bordo della jeep in direzione del Ramesseum; Alì ed Isabella, invece, in compagnia dell’immancabile Osor, presero il sentiero per il Tempio di Iside.
Il deserto roccioso venne loro incontro arido e brullo, ocra ed a tratti grigio-scuro, profilato da una stupefacente catena di montagne dalle vette disordinate ed aspre.
Screpolato di grotte, fenditure ed anfratti, quell’orizzonte sembrava opera di una qualche capricciosa Divinità che si fosse divertita a graffiarlo quando era ancora tenera argilla.
L’aria era ancora fresca, ma presto si sarebbe riscaldata, perché dall’alba al tramonto, in quel posto si avvicendavano due mondi, l’uno arroventato e l’altro gelido: il giorno e la notte.
“Questo è il momento che amo di più. - esordì la ragazza, nel silenzio rotto solo dal verso acuto di un falco solitario – Il sole lacera le ultime ombre e non è ancora nemico dell’uomo, ma suo alleato. Questa solitudine è meravigliosa.”

Un grido atterrito, però, proveniente da una delle tante fenditure della parete rocciosa, le tombe degli operai della Città dei Morti, lacerò la “meravigliosa solitudine”.
“Cos’altro succede ancora?” disse Alì precipitandosi nella direzione da cui provenivano le grida: una tomba che sprofondava dentro la roccia attraverso una lunga gradinata.
Isabella lo seguì immediatamente.
La camera funeraria, che i due ragazzi raggiunsero di corsa, un ambiente soffocante, caldo e silenzioso, era immerso in una immobilità violata solo dalla presenza dei profanatori e rotta solo da una pittura che occupava la parete ad Occidente: una gigantesca raffigurazione della dea Nekhbeth, il Sacro Avvoltoio dell’Alto Egitto, la Bianca Signora dell’Eternità, dalle grandi ali  spiegate.
      “Come avvoltoio piomberò su colui
       che oserà entrare in questa dimora
       e di fiamme lo avvolgerò…” c’era scritto.
“La Maledizione di Nekhbet!”
Il grido atterrito che li aveva attirati là sotto, li investì ancora, angoscioso e carico di terrore.
Nonostante il caldo, un brivido attraversò le loro schiene.
L’uomo che aveva gridato, non più giovane, un naso adunco che dominava la faccia barbuta, quasi li aggredì, mentre continuava ad urlare:
“La Maledizione di Nekhbet… la maledizione di Nekhbeth…”
Di razza araba, l’uomo indossava un lungo caftano a strisce nere e bianche e portava i capelli nascosti sotto un quadrato di stoffa scura trattenuto intorno al capo con un rozzo cordone di canapa.
“Nekhbeth…- continuava ad urlare nel suo delirio sconclusionato, indicando un uncino infisso nella parete all’altezza della mano sinistra della Dea dipinta sulla parete – La vendetta di Nekhbeth… il suo ferro arroventato brucia la mia carne e le fiamme mi stanno divorando…”
“Imbecille! –l’apostrofò il ragazzo – Non è stata Nekhbeth. Ti sei  ferito andando a sbattere contro questo punteruolo sicuramente intriso di qualche droga o allucinogeno.”
“Oh, sì! Dev’essere andata proprio così. - assentì Isabella, poi, con accento sorpreso, puntando l’indice contro l’uomo – Ma… ma io conosco quest’uomo.” aggiunse.
“Certo che lo conosci. – disse il ragazzo – Osor ha fermato le pallottole della sua pistola… Non ricordi?… L’estate scorsa…”
“Ma certo! Ora ricordo… ricordo le pallottole che rimbalzavano sul petto dell’amico Osor… ah.ah!”

Come sempre, il prodigioso compagno e protettore, che li aveva seguiti là sotto, sollecitato nel sentir pronunciare il proprio nome, si fece avanti.
Gambe divaricate e braccia conserte, la magica creatura si piazzò di fronte all’uomo facendone sprofondare il terrore nell’angoscia più totale.
“C’eravamo recati nell’Antro di Mertseger in cerca di tracce della principessa Nefer, ricordi? – riprese Alì - E trovammo la culla di Osor, il sacerdote del Deforme Bes… finita là chissà come.”
“Bes e Mertseger erano entrambi Patroni degli operai della necropoli di Tebe e Osor era Sacerdote di Bes… mi pare ovvio che la sua culla si trovasse da quelle parti… - fece osservare la ragazza - Ciò che trovo prodigioso, invece, è il fatto che nessuno l’abbia vista prima di noi, in tanti secoli.”        
“Tante cose – sorrise Alì – sono prodigiose in questa storia: il terrore di quest’uomo, il ritrovamento di quella culla… lui…”
Il ragazzo si girò verso la prodigiosa creatura.”
“Lui!… Già, lui! – un lampo d’emozione attraversò lo sguardo della ragazza - Quante volte mi sono chiesta come potesse una Divinità dall’aspetto di Bes avere come sacerdote un giovane avvenente come Osor.”
“E ti sei mai chiesta chi sia … o cosa sia veramente… il nostro amico Osor?… Porta il nome di quel sacerdote di Bes, ma chi è in realtà?”
“Tante volte me lo sono chiesta, sì!… Sappiamo che gli antichi cherwebb egizi erano in possesso di conoscenze che non furono mai messe per iscritto.”
“Credi che quei sacerdoti fossero davvero in grado di manipolare la materia? – Alì ebbe un sorriso, poi proseguì – Anche i nostri “stregoni” hanno manipolato la materia… Hanno creato la pecora Dolly… e chissà quante altre diavolerie hanno fatto.”
“Già!”
“E come spieghi questo tuo… chiamiamolo “contatto telepatico” con una persona vissuta tanti secoli addietro?”
“Telepatia, come dici tu… non so. C’è tanta confusione dentro la mia testa quando rientro da quei “viaggi”.”
“Uhhh! – fece Alì, poi la prese per mano, si schiarì la gola e riprese – Quest’aria pesante che stiamo respirando non contribuisce di certo a schiarirci le idee… Vieni. Andiamo.”

Lasciarono la tomba; fuori i militari stavano caricando il tombarolo su un veicolo militare.
“Brucio… brucio – continuava a gridare il malcapitato, dimenandosi e cercando di strapparsi gli abiti – Il fuoco mi brucia la carne.”
“Poveretto” – s’impietosì Isabella – Dev’essere in preda alle allucinazioni.”
“Mah!… - esclamò il ragazzo -Forse una delle sette Anime del defunto sepolto in quella tomba lo sta perseguitando.”
“Non mi dire che credi a queste cose.”
Alì ebbe un sorriso, che accompagnò con un sospiro; un gruppo di cicogne, intanto, si alzò, sul fondo, sollecitate dallo schiamazzo di alcuni ragazzini.
Piccoli, bianchi fantasmi chiusi nei lunghi caftani di lino grezzo, giocavano inseguendosi tra sepolcri e sporgenze rocciose.

Il rumore di una jeep attirò l’attenzione della ragazza.
“Ehi! – gridò al fratello, a bordo del veicolo – Vieni qui. Presto.”
Il posto cominciava ad animarsi: turisti e venditori di ricordini. La jeep si fermò e il professore spense il motore, poi discese dal veicolo e si accostò ai due.
“Che succede? Quell’uomo sta male? – domandò, seguendo con lo sguardo le convulsioni del ladro – Ma quello è Faiza. – aggiunse, puntando l’indice verso di lui - E’ un uomo della banda del Rosso.” precisò.
“Proprio lui, signore. – spiegò uno dei soldati – E guardate cosa c’era dentro la sua borsa.” il soldato mostrò alcuni cocci e diversi pezzi di intonaco.
“Maledizione!” fecero all’unisono Alessandro ed Alì.
“La Maledizione del defunto sepolto in questa tomba.” disse convinto il militare, facendo cenno alle convulsione del disgraziato, che non accennavano a scomparire e costringevano i soldati a trattenerlo con la forza.
“UHHH!… - fece il professore – La maledizione che calerà sul suo capo quando finirà nell’aula del Tribunale, direi. Le Leggi sulla tutela delle Antichità, per fortuna, nel vostro Paese sono molto severe.”