Capitolo XIII - terza parte

Capitolo  XIII  -  terza parte

Dov'era Emma in quel momento? Ancora nelle mani dei rapitori.
Per tre giorni lei e gli amici erano rimasti rinchiusi in quella cantina. Sul finire del  terzo giorno la ragazza fu prelevata  insieme a Dadio e condotta al piano di sopra. Qui l'aspettava una sgradevole sorpresa:  in mezzo alla stanza c'era il suo Omikhron.
"Hai visto, ragazzina? - uno sciocco e soddisfatto sorriso trionfava sulla bocca dell'uomo dalla barba bionda - Tuo padre è stato ragionevole."
"Lo avete costretto. - interloquì Dario - Lo ha costretto lei, professor Sacrate."
"Lei... lei, professor Dario mi ha riconosciuto?" stupì  l'altro; anche Emma era profondamente sconcertata.
"Ma... ma allora  è proprio il professor Sacrate?" domandò.
"Proprio lui!  - spiegò Dario - Truccarsi e dichiararsi il professor Sacrate!... Geniale! Chi vrebbe mai pensato trattarsi veramente del professore? Si tolga la barba... Non serve!  Ho sospettato di lei fin dall'inizio, ma non avevo prove."
"Bene! A carte scoperte!  - fece  l'altro liberandosi di barba, baffi e parrucca  -  E tu fammi vedere come funziona questa macchina."  aggiunse rivolto verso la ragazza.
"Io non so fare proprio nulla." rispose Emma.
"Mi aspettavo questa risposta. - l'accento del professore divenne duro; un cenno ad uno degli uomini presenti nella stanza e la porta d'ingresso s'aprì, lasciando entrare Leo. Sacrate gli si avvicinò e gli puntò la pistola alla tempia. - Sarà il primo, poi toccherà agli altri." disse.
Leo tentò un passo indietro, ma fu immediatamente immobilizzato.
"Delinquente!" scandì la ragazza.
"Come può un uomo di scienza trasformarsi in un delinquente solo per..." interloquì  Dario, ma il professore lo interruppe:
"Non sono il professor Sacrate. - disse - Non esiste nesun professor Sacrate."
"Ma che cosa sta dicendo?... I suoi studi!"  trasecolò Dario.
"Studi?   Solo vecchie scartoffie nella mia borsa e qualcosa imparato a memoria. Niente di più!"
"Ma allora, chi é lei?"
"Uno pagato per fare questo lavoro!"
"Un killer!" fecero insieme Emma e Dario; Leo sembrava terrorizzato con quella canna puntata alla tempia.
"Adesso basta chiacchiere! - si spazientì il falso professore, tirando fuori da una  borsa la stele di pietra trafugata dalla baracca - Credevate di averla nascosta proprio bene eh?... Devi  decifrare questi segni, signorina." aggiunse.
"E se non ci riuscissi?"
"Devi riuscirci. So che tuo padre ha fornito questo p.c. di  informazioni di questo tipo."
"... e se non ci riuscissi?" ripeté Emma.
"Senti, ragazzina... da questa maledetta scatola dipende la mia vita, ma... anche le vostre. Capito, adesso?"
"Va bene! Tenterò." capitolò  la ragazza con un ce del capo.
"No! Non ci siamo capiti, bella! Non devi tentare... Devi riuscirci!"
Emma assentì nuovamente col capo e si mise al lavoro. Stette al computer per buona parte della notte; ogni tanto sollevava il capo, faceva una pausa,  poi tornava al lavoro. Intorno alle quattro del mattino si lasciò scivolare esausta sulla sedia.
Il falso professore  raccolse tutto il materiale e lo ripose in una grossa borsa legale assieme alla stele ed al computer.
"Bene! Bene!" disse,   dando loro le spalle.
"Adesso potete lasciarci andare." esordì Dario.
"Devo prima accertarmi che tutta questa roba non sia solo cartaccia. Lei mi capisce, vero?" l'uomo non gli dette tempo di replicare e lasciò la stanza, ma ricomparve poche decine di minuti più tardi, arma in pugno.
"Vieni di sopra con me, ragazzina. - disse;  Dario fece l'atto di alzarsi, ma l'altro lo minacciò con la pistola - Non si muova lei!" intimò afferrando la ragazza per un braccio e spingendola avanti a sé verso l'uscio.