Capitolo XV - Morte della principessa Nefer

Capitolo  XV  - Morte della principessa Nefer

Era proprio il principe Sekenze, Reggente Reale, con potere di vita e di morte su quanti vivevano nella Città-dei-Morti; lo seguiva un drappello di uomini armati.
Di media corporatura, ma dal fisico irrobustito dalla vita all’aria aperta e da esercizio fisico, Sekenze, pur senza avere particolari doti di avvenenza, era un tipo sicuramente interessante. Benché non avesse il fascino carismatico di Osor o la straordinaria bellezza di Thotmosis, aveva una personalità particolare ed intensa che emanava da tutta la persona: quella, forse, di chi è avvezzo ad esercitare il potere.  L’espressione del volto era ostinata ed ardita e l’incedere, elegante e sicuro di sé.
Smontato di sella, si accostò ai soldati intimando l’alt.
“Fermi tutti! – ordinò - Cosa succede qui?”
“Potente signore. – Enen si fece avanti – Sono il figlio del  nobile Teshut, funzionario del Faraone e sono qui per catturare uno schiavo fuggito da Palazzo.”
“E questo branco di caproni vestiti da guerrieri? – lo interruppe sarcastico il principe – Mi pare più un gruppo di ragazze davanti ad un topo e… e dimmi, Enen, figlio di Teshut… dov’è il “topo” che ha spaventato questi prodi guerrieri?”
Osor si fece avanti.
“Non era un topo, principe Sekenze!” disse.
“ Venerabile Osor! – esclamò il signore della  necropoli, con grande amabilità – Amico degli Dei e amico mio!… Solamente tu, sei capace di mettere in rotta da solo un esercito di agguerriti soldati…  ancora il trucco del leone? Ah.ah.ah...“ aggiunse, con una fragorosa risata, tendendo le braccia all’amico.
La terribile “visione” del leone, intanto, andava scomponendosi in una miriade di frammenti e scintille sempre più evanescenti.
“Devi insegnare anche a me questo trucco.” Continuò il giovane, sempre ridendo.
“Il mio amico, il principe Semenze non ha bisogno di trucchi per tenere lontano i nemici.” anche il prodigioso sacerdote di Bes ebbe un sorriso d’ironia.
“Per la Sacra Muta di Uadjet! – esclamò Enen alle spalle del principe – Lo sapevo che si trattava solo di magia.”
“E tu, stupido allocco, ci sei cascato. – lo sbeffeggiò l’altro - Ti sei lasciato impressionare da un gioco per bambini.”
Sopra le loro teste, intanto, Horo picchiava implacabile, affilando il suo becco di Falco sacro.
“Per il Fulgido Calamo di Thot! – ancora Enen, punto sul vivo – Sekhmet, la Possente, affili per me i suoi artigli di Sacra Leonessa, se quanto tu dici è vero, principe Sekenze: non io, mi sono lasciato impressionare da prodigi per ragazzi, ma i tuoi soldati.”
I soldati, intanto, svanito il prodigio, erano tornati indietro.
“Il principe Sekenze ha ragione. – intervenne Thotmosis –Piacerebbe anche a me conoscere simili trucchi.”
“Ehi, Thotmosis… amico mio fraterno… Ci sei anche tu? – il principe della necropoli dirottò la sua attenzione verso il principe di Tebe - E… e dimmi: per che cosa ne farebbe uso il figlio del Faraone?” domandò con un sorriso indulgente; era assai palese la simpatia che nutriva per il giovane Thotmosis.
“Per tener e lontano i tuoi prodi soldati, amico Sekenze… ah.ah.ah…” scherzò Thotmosis, mentre Enen andava balbettando:
“Lui… lui è il principe Thotmosis… E’ proprio il… il principe Thotmosis… Capo della Guardia Reale?”
“E’ proprio il principe Thotmosis. Io ti avevo avvertito! – il giovane Ankheren si fece avanti; si fermò di fronte al figlio di Teshut, poi gli dette le spalle e si avvicinò al principe Sekenze e lo guardò con quella espressione, vivace ed irresistibile, che gli guadagnava la simpatia di tutti – Io me lo porterei sempre al guinzaglio, quel leone.” disse.
“C’è anche l’impareggiabile Ankheren? – il principe della necropoli si girò verso di lui – Ma le tue preferenze non vanno a tori e torelli? E dimmi… il tuo amico Kaptha gode sempre di buona salute?”
“Ottima, signore. Kaptha gode di ottima salute ora che Ptha l’ha posto sotto la sua custodia ed ha fatto sapere che non intende bere il suo sangue.”
Ricordavano tutti che Ankheren aveva sottratto il suo torello al coltello sacrificale del Tempio di Ptha e che solo il l’intervento del principe Sekenze aveva salvato il torello dall amorte e il suo padrone da una buona dose di bastonate.
“L’ho detto allora e lo ripeto adesso: Ankheren, figlio di Mursil l’Ittita, è un ragazzo un po’ strano che dice cose strane, ma… c’era qualcun altro, ricordo, che diceva cose strane.ah.ah” rise il principe della necropoli.
“La principessa Nefer.” rispose il ragazzo, girandosi e tendendo un braccio verso la sporgenza rocciosa dietro cui la principessa aveva cercato  riparo.
Nefer stava seduta per terra, con la schiena appoggiata alla roccia, in uno stato di sofferente abbandono.
Non rispose al richiamo e solo allora suo fratello e gli altri si accorsero della larga macchia di sangue sul petto e della freccia ancora conficcata nella carne.
Si precipitarono tutti in suo soccorso.
“Ma tu sei ferita, principessa Nefer!” Ankheren la raggiunse per primo.

La freccia era conficcata molto in profondità e il ragazzo la toccò quel tanto sufficiente a strapparle un lamento.
“Aspetta! – lo esortò Osor alle sue spalle – Non toccare quella freccia: la punta potrebbe aver reciso qualche arteria vitale.”
“Ma così morirà dissanguata.” Osservò Xanto al suo fianco.
“Xanto…” dalle labbra della principessa uscì un debole sussurro; il principe troiano le si inginocchiò accanto.
“Stai tranquilla. Avrai presto le cure di un medico.” Cercò di tranquillizzarla, ma pareva voler tranquillizzare più se stesso, tanto appariva abbattuto.
“No! – lei scosse il capo – Tu devi… andare. Devi… metterti in salvo. – balbettò, poi, rivolta al fratello -  Thotmosis… mi hai … promesso…”
Anche il fratello le si inginocchiò al fianco; le prese una mano, mentre Osor, con un lembo della fascia che portava in vita, le detergeva il sudore e con il mantello di Sekenze cercava di tamponarle il sangue che continuava a sgorgare copioso dalla ferita.
“Thotmosis… - riprese la principessa, dopo una pausa spezzata da respiri sempre più affannosi – Tu lo proteggerai… vero? Lo metterai… in salvo. Gli consentirai… di raggiungere la … sua terra?”
“Lo farò,  sorella del mio cuore. Lo farò. – la rassicurò il principe Thotmosis carezzandole dolcemente il capo - Non dubitare. Ma stai serena. Ti porteremo a Palazzo e sarai curata.”

Anche il principe della necropoli le si inginocchiò vicino e con voce severa:
“Sekhmet affili per me i suoi artigli da Leonessa Sacra se non punirò la mano che ti ha colpito, dolce fiore d’Egitto.- proferì –Portate il colpevole al mio cospetto… che possa punirlo adeguatamente.”
“E’ lui, il colpevole! – Nefer sollevò un braccio con gesto affannoso e lo puntò contro il figlio di Teshut, pallido come un cencio e la fronte madida di sudore – Sua… sua è la mano che ha colpito..”
“Io non sapevo… - balbettò Enen – Non sapevo che lei fosse la principessa di Tebe… Non sapevo… non sapevo…”
“Tu… hai condotto… qui la Barca… di Ammon… – continuò la voce sofferente della principessa – La vedo… già… veleggiare su queste… rocce…”
“Terremo lontano il Nocchiero della Barca della Duat, mia signora. – proruppe Ankheren, con il pianto negli occhi e nella voce – Lo convinceremo a porre altrove la prua di quella Barca…”
Nefer ebbe uno stanco, sofferto sorriso.
“Non si può… mercanteggiare… con lui. Anubi ha già drizzato le sue… orecchie da Sciacallo Sacro… verso questa… valle, amico… mio.”
Seguì una pausa; il petto della principessa ansimava nello sforzo di parlare.
“Risparmia le forze, sorellina. – Thotmosis piangeva, incurante del fatto che un principe di sangue non dovesse mai mostrare le proprie debolezze – Non parlare…”
“No! – sussurrò lei – Il mio uccisore non dovrà… mai camminare nella… mia ombra… Osor, amico… mio – era evidente lo sforzo  per conservarsi lucida – Il mio uccisore non… dovrà incontrare Nefer… nella Duat… Osiride Glorificato… deve sapere…”
“Oh, principessa Nefer! – proruppe il sacerdote di Bes – So che cosa vuoi da me. – si girò verso il giovane Amenemhat, il discepolo di Thot – Dammi uno dei tuoi papiri.” disse.
Dopo tanta tensione, la calma e il silenzio scesi sopra le loro teste, sembravano ancora più amari e profondi; Nefer cominciò a dettare:
“O tu, Osiride Glorificato… fa che Enen possa entrare nella Duat e non trovare pace nella sua hut-ka. Che sia respinto… che sia rinviato… che entri maledetto, che… esca odiato. Che il Tribunale di Usir trovi pesante… la Sacra Bilancia di Maaat…. O tu, Anubi, che fai entrare i Kau… nella dimora di Osiride, respingi il Ka di Enen... Accorcia i suoi anni, taglia i… suoi mesi. Enen è il malvagio distruttore della vita di Nefer, figlia… di Nut, Signora del Cielo. Che Ammit la Divoratrice, si nutra delle sue membra. Che le sue… membra periscano, marciscano, si dissolvano al tuo cospetto… quando verrà nel Neter-Kherty”

Terminato che ebbe di dettare, la principessa Nefer tese il prezioso anello che portava al dito: il Sigillo Reale, che il Faraone, suo padre, le aveva donato solo il giorno precedente, estasiato dalla sua danza.
“Apponilo … nella mia invocazione… a Osiride e ad … Anubi – riprese con voce sempre più flebile – Che Nefer possa… raggiungere gli Hotep Jaru… serena e … confortata…”
Osor ubbidì; bagnò il Sigillo nell’ampolla di Amenemath e lo appose sul papiro. Attese che la scritta si asciugasse e arrotolò il foglio, poi fece l’atto di restituire l’anello.
Nefer scosse il capo.
“Tienilo tu… amico mio… e Protettore…”
Osor infilò l’anello all’anulare della mano destra; alle sue spalle, le guardie del principe Sekenze avevano circondato il figlio del funzionario Teshut.

Horo piegava malinconicamente le sue ali di Falco Sacro e la barca con a bordo la principessa morente e i suoi amici afflitti, solcava le acque del Nilo, diretta a Palazzo; i remi catturavano l’acqua contro corrente e la lasciavano dietro di loro, bianca di spuma.
Uno stormo di cicogne comparve in volo su un picco roccioso; una di loro si staccò dal gruppo e venne a volteggiare sopra la barca e quasi sfiorò le loro  teste, prima di seguire le compagne.
Un sorriso silenzioso distese le labbra morbide ed esangui della principessa, mentre lo sguardo seguiva quel frenetico frullo d’ali.
“Madre…” la udirono balbettare, poi la videro tendere  una mano come se davvero davanti a lei ci fosse l’anima di sua madre, la principessa Telika.
Richiuse gli occhi e sentì la voce del fratello che spiegava al principe troiano:
“Era il Ba di sua madre… quella cicogna… Era la regina Telika, venuta a confortarla mentre sale sulla Barca di Ammon, affinché non si senta sola…”
“La principessa Nefer non sarà mai sola! – interloquì Osor, con voce assai grave e misteriosa – Lei avrà al suo fianco una guida fedele che proteggerà i suoi passi per un tempo fuori da ogni limite di tempo… - il giovane prese fra le sue le mani della ragazza – Vai serena, piccola Figlia del Cielo. Osiride dai Milioni di Anni ti accorderà lo splendore del Cielo nel Neter-kherty, che è il mondo che è aldilà.”
Nefer sorrise, ad occhi chiusi, e si avviò, serena e leggera, verso una luce fluttuante che le veniva incontro tra echi lontane e  frulli d’ali. 
Il gorgo luminoso andò avvicinandosi sempre più e, d’un tratto, il volto sorridente di sua madre emerse dal fondo.
Ogni dolore, nella carne e nello spirito andò diminuendo. Pian piano. Fino a svanire.
Un’improvvisa serenità, una profonda pace furono le sue ultime sensazioni umane, prima che la luce la inghiottisse; il pianto di Xanto, dolente e sconsolato, rimase fuori del gorgo.
“E’ morta! La principessa Nefer è morta!” piangeva il figlio del Re di Troia.

                        

 

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“La principessa Nefer è morta! - Isabella si portò le mani al petto con la dolorosa sensazione che il cuore le si stesse  schiantando… come strappato  dal torace -  La principessa Nefer è morta – ripeté – e mi sento morire… anch’io…”
Il fratello Alessandro, spaventato dall’improvviso ed inspiegabile malore della ragazza, dovette avvicinare l’orecchio alle sue labbra per poterne sentire le parole.
Stavano tornando al campo. Avevano appena visitato la tomba della principessa, quando Isabella era improvvisamente impallidita ed aveva accusato violenti dolori al petto e si era accasciata a terra priva di sensi.
Trasportata sotto la tenda del fratello, dopo minuti di tensione e spavento per tutti, aveva ripreso i  sensi.

“La principessa Nefer è morta. – ripeté per la terza volta – Ho “visto” la sua morte… l’ho “sentita”. Si! Adesso so tutto. “Ricordo” tutto…. Nefer ha inviato ad Osiride la sua invocazione ed Osor l’ha trascritta sul papiro… quello che noi abbiamo portato via dal Museo...”
“E il Sigillo?” chiesero in coro.
“Osor lo ha apposto sul papiro.”
“Ma dov’è?” domandarono, sempre in coro, poi  Alessandro continuò:
“Non è nell’astuccio che conteneva il papiro, non è tra i gioielli della principessa e non si trova neppure alle dita della sua statua.”
“Non alle sue dita. - spiegò Isabella – Al dito di Osor. Il Sigillo si trova al dito di Osor, perché Nefer è ad Osor che lo ha consegnato.”
“Ma allora…” di nuovo il coro, poi Alì si girò verso la prodigiosa creatura, alle sue spalle.
“Sì! – proruppe la ragazza – Il sacerdote di Bes, l’amico Osor, lo ha infilato alla statua del Guardiano… quella che lo scultore Mosè aveva scolpito per lui e che Osor ha posto accanto alla principessa, a protezione del suo sepolcro… Il Sigillo si trova senza dubbio al dito del nostro amico Osor.”
Chiamato in causa, Osor si fece avanti e tese la mano destra: infilato all’anulare c’era un anello d’oro dalla forma assai inconsueta, che pure, mai avevano notato prima.
Era il Sigillo del Faraone.