Capitolo XVII - La magia di OSOR

Capitolo  XVII  -  La magia di OSOR

Isabella, in quell’istante, stava osservando insieme agli amici i movimenti di Smith il quale si era fermato davanti alla porta chiusa di un bazar. Lo videro bussare tre volte con due colpi intervallati: certamente un segnale.
Una finestra, chiusa da persiane di legno dorato e traforato, si aprì, sotto una grossa insegna che recava la scritta: JOSEF HASSAN.
Alla luce di una lanterna appesa alla porta, apparve il volto di un uomo che scomparve subito dopo aver fatto un cenno con la mano.
“Ho visto già quel tipo. – disse Alì – L’ho visto al campo di scavo del professor Aziz curiosare e fare domande agli operai. E giurerei – aggiunse dopo brevissima pausa – di averlo già visto anche al bazar di Ashraf Sheik.”
”Anche quella canaglia? – proruppe Isabella – Si ritrovano proprio tutti qui, stasera.”
“Già! Venite… scopriamo  che cosa si nasconde dietro quella porta.”
”Come facciamo ad entrare?” replicò la ragazza.
“In qualche modo faremo.” Alì le fece un buffetto sulla guancia.
“Quando hai quello sguardo, mio bel principe d’Egitto, qualcosa bolle in pentola… direbbe il mio amico…”
“Chi sarebbe costui?” domandò Alì con accento un po’ risentito.
“Oh… - sorrise la ragazza – Solo un personaggio dei fumetti.”
“Ah!… Guarda queste vecchie case – continuò il ragazzo – sono legate insieme da un muro senza aperture… ad eccezione di queste finestrelle che fanno ventilazione ai sotterranei dove un tempo la gente teneva al fresco le provviste.”
L’apertura era sufficientemente larga da consentire loro di passare dall’altra parte; perfino Osor non ebbe difficoltà. Dall’altra parte, però, la parete era alta più di due metri ed Isabella si calò giù per finire nelle braccia di Alì che le fece fare una tripla piroetta prima di metterla giù. Scoppiarono a ridere e la prodigiosa creatura, alle loro spalle, li guardava in silenzio; i suoi occhi brillavano nel buio dello scantinato: un lampo di tenerezza, si sarebbe detto.
“Qui sotto è buio pesto. – disse la ragazza –Attenti a dove mettiamo i piedi… ma tu, non porti sempre fiammiferi con te?”
“Non ho fiammiferi con me questa sera, però ho un paio di accendini.
Subito dopo una fiammella tremolò nel buio.
“Accendini? Ah.ah… e da quando ti sei dato ai vizi?”
“Vizi? No!No!  Ahhah… fumo solo il narghilè. Questi accendini, con la figura di Thut-ank-ammon, sono del mio amico Aziz che vuole lanciarli sul mercato del turismo… Per Allah! – il ragazzo divenne serio, mentre il lume faceva luce d’intorno e strappava al buio dello scantinato, spigoli di grosse casse, sacchi di juta e cordame vario – Ma in che posto siamo capitati?”
“Speriamo non dentro la brace del proverbio!” fece lei.
“La brace di che cosa?”
“Non conosci il proverbio? Cadere dalla padella nella brace?”
“Io ho un presentimento…”
“Buono, spero… ahi! - una sporgenza nel suolo, contro cui Isabella era andata a finire, le strappò un’imprecazione – Con questo buio non si vede dove metti i piedi.”
“Ti sei fatta male?… Per tutti i Peli della Sacra Barba del Profeta! – l’esclamazione soffocata di Alì costrinse la ragazza a dirottare l’attenzione su di lui - Guarda qui, Isabella.”
“Santo cielo! Ma… ma questo è un sarcofago.”
“Non proprio un sarcofago… più un finto sarcofago per accogliere il Ka del defunto…” ipotizzò il ragazzo.
“Come quello di Sekhem-Khet a Sakkara?” domandò la ragazza, ma fu la voce di Osor a sorprenderli:
       “Ho perlustrato il Cielo e scavato l’Orizzonte – recitò –
        Ho percorso la Luce e i mi sono impadronito dei poteri…”
“Che cosa stai dicendo,Osor?” chiese Isabella.
“Sta recitando formule dei Testi dei Sarcofagi. – spiegò Alì – Guarda qui, sul fianco del sarcofago. -  Alì sollevò l’accendino ed alla luce della fiammella – Diamo un’occhiata qui intorno.” propose.   

Per lustrarono il locale, si imbatterono in una porta che si apriva su una scala di cinque o sei gradini, dal fondo della quale partiva un corridoio che percorsero con circospezione.
“Ma dove siano finiti?” esclamò Isabella.
“Se Maometto non va alla montagna, la montagna va a Maometto!” recitò il ragazzo.
“Sarebbe?”
“Ho idea che stiamo per imbatterci in qualcosa di grosso. Dì… non senti anche tu che…”
“Sento che stiamo per cacciarci in qualche guaio!”
“Quello che intendevo! – scherzò Alì – Guarda quella porta laggiù… Vediamo cosa si nasconde dietro.”
“Un campanellino nel cervello mi dice di stare lontano da quella porta, ma io… sai… non lo ascolto mai…”
“Magnifico!”
Alì spinse la porta, che fece qualche resistenza, ma poi cedette ad una spallata di Osor, chiamato a risolvere la faccenda.

Lo spettacolo che li accolse, quando la porta fu aperta ed una potente luce, forse collegata alla serratura inondò l’ambiente, era degno di un Faraone: mummie, sarcofagi, armi, arnesi, gioielli e numerosi altri oggetti di uso quotidiano.
Ovunque si posavano, gli occhi si riempivano di stupore e ammirazione: ori, argenti, ceramiche, pietre preziose.
“Allah sia magnificato!… Qui! Sotto il naso di tutti!” esclamò Alì.
“Non è possibile! – anche Isabella era sconcertata -  Il tesoro di Abdel il Rosso!… Lo abbiamo cercato ovunque. Tu lo hai cercato in ogni angolo della Valle e il tesoro trafugato dai contrabbandieri era qui… sotto il naso di tutti… Qui c’è tutto quello che il Rosso e la sua banda hanno portato via in tanti anni, senza che nessuno sospettasse mai nulla…”
“Direi proprio di sì! Ecco qui…”
Voci e rumori di passi interruppero il ragazzo.
“Nascondiamoci… presto. – disse la ragazza – Nasconditi, Osor… ma resta fermo ed immobile come una statua.” aggiunse.
Cercarono un riparo per nascondersi.
Appena in tempo, perché la porta si spalancò lasciando entrare Smith in compagnia di due uomini alti e snelli, dagli occhi nocciola e la pelle scura: sicuramente di razza nubiana.
“… non ti fidi troppo di quell’esperto del Museo di Torino? Io…” stava dicendo a Smith uno dei due nubiani.
“Tranquillo.  - rispose Smith – Esperto, ma ingenuo! L’ho segui per settimane, a Torino e…”
“E… tciii!”
Un fragoroso starnuto proveniente da dietro ad uno dei sarcofagi mutò le espressioni sulle facce dei presenti; anche di Isabella che non era riuscito a trattenerlo, facendo scoprire la sua presenza e quella di Alì e di Osor.
“Chi c’è qui? – gridò Smith  estraendo un revolver da una delle tasche del largo caftano che lo copriva da capo a piedi; anche gli altri due estrassero subito affilatissimi pugnalo di fattura yemenita, dall’impugnatura in cono di rinoceronte – Chi si sta nascondendo? … Qualcuno è nascosto qui dentro…”
Non ci volle molto a tirar fuori del nascondiglio i due ragazzi; Osor era on piedi accanto ad un grosso sarcofago in alabastro e nessuno pareva essersi accorto della sua presenza, mimetizzata nelle ombre.
”E voi due, da dove spuntate? – Smith si  piazzò davanti al ragazzo – Come avete fatto ad entrare qua dentro?”
“Apriti Sesamo!” disse in tono mordace la ragazza, alle spalle di Alì.
“Ehhh?” fece quello.
“Come Alì Babà e la sua banda. – continuò sempre con lo stesso tono la ragazza – Lo conosci Alì Baba?… Dovresti! Svolgeva la tua stessa attività.”
“Spiritosa, la piccola! Ah.a.h.ah.” rise l’uomo.
“La conosci? – domandò uno dei due compari – Conosci questi due?”
“Non conosco la ragazza, ma conosco lui. – Smith indicò Alì – E’ il figlio di Hammad Azim…”
“Il dottor Azim… l’archeologo?”
“Hhhh!” fece Smith afferrando Alì per un braccio.
Alì tentò di liberarsi strattonando, ma il gesto lo spinse in avanti, di fronte al prodigioso Osor, immobile e fermo come una statua, proprio come gli era stato ordinato; sempre al fianco del sarcofago.
“Fai qualcosa, amico. – Alì fissò il suo sguardo scuro africano in quello di quarzite della prodigiosa creatura, sfingea e sempre immobile – Ehi! Muoviti! – gli gridò – Fai qualcosa o finiremo presto anche noi a perlustrare il Cielo e scavare l’Orizzonte… come ami ripetere di continuo.”
Osor non mosse un solo muscolo, lo sguardo di quarzite…
“Volete rispondere? – la voce di Smith alle spalle del ragazzo – chi vi ha detto di questo  posto? Come avete fatto ad entrare qui?” continuava a chiedere.  
“Con le nostre gambe, naturalmente. – rispose il ragazzo – E recitando per tre volte “Apriti Sesamo”… come dice la mia amica Isabella.”
“Sì! – interloquì la ragazza – Sono molto brava nei giochi di magia… “
“Anche spiritosa, la piccola! Brava! Mi piacciono le ragazze coraggiose e odio, invece, quelle  piagnucolose.” la zittì l’inglese, afferrandola per un braccio e facendole fare, con gesto assai  sgarbato, un passo in avanti.
“Ehi!… Mi fai male! Lasciami!” protestò Isabella.
“… e te ne farò molto, ma molto  di più se non rispondi alle mie domande .- disse Smith. Piccolo e smilzo, una studiata negligenza nel vestire, l’apparenza insignificante, quell’uomo non smetteva di sorridere, mentre minacciava – Come avete fatto ad arrivare a questo posto… Avete parlato con qualcuno? Chi vi ha…”
“Adesso basta! – interloquì il ragazzo – Vuoi sapere come siamo capitati qui?… Se Allah permette, abbiamo ragione di credere che tu sia in possesso di un reperto che non ti appartiene.”
“Davvero? – fece l’altro con insostenibile ironia - E che cosa vorresti?… Riaverlo?”
“Naturalmente! – la pronta risposta del ragazzo; Osor era sempre immobile come una statua e nessuno pareva fare caso a lui – Ma anche farti conoscere le prigioni locali,  amico.!
“Ah.ah.ah!” scoppiò a ridere l’altro, trascinandosi nella ridata anche i due nubiani, cui l’inglese fece cenno e che afferrarono immediatamente il ragazzo per le braccia.
Inutilmente Alì cercava di svincolarsi.
“Per la Barba del Profeta! – sbottò infine, girando il capo verso il prodigioso amico – Tu non fai nulla, Campione? – proruppe - Te ne stai immobile come una statua… Isabella.. Isabella… Digli di darsi una mossa… avanti.”
“Osor…” disse semplicemente la ragazza e la creatura, come un gigante addormentato svegliato dal sonno, si scosse e si avventò sui tre.
Smith lasciò cadere da sotto il caftano il prezioso astuccio con il papiro della principessa Nefer.
Nel silenzio irreale che seguì, lo  squillo del cellulare di Isabella lacerò l’aria.
”Questo è Alessandro.” disse la ragazza.
Era proprio il professore e li raggiunse pochi minuti dopo insieme ad Hammad ed alla dottoressa Fatma; li scortava una jeep di gendarmi che presero in consegna i tre malviventi e si allontanarono.

Il verso di una civetta riempiva la notte di sibili prolungati e la luna, sulle case più alte, saliva veloce nel cielo.
Isabella prese l’astuccio che il fratello aveva raccolto da terra. Lo toccò. Quasi l’accarezzò e il bel volto assunse immediatamente quella espressione smarrita ed estatica che gli amici ben conoscevano.
Lo sguardo fissava assente i buchi disuguali e storti che l’umidità e l’oscurità avevano distribuito tutt’intorno nelle pareti e che una mano di tintura bianca tentava vanamente di nascondere.
L’ormai ben noto turbinio di emozioni le scompigliò il cervello e lei si avviò, ancora una volta, lungo il sentiero che “conduceva” alla principessa Nefer di Tebe.

Ogni cosa intorno andò sfocando e quando la nebbia si dissolse, si ritrovò in quell’”altro mondo”, nei panni della principessa Nefer ferita e sanguinante.

Nessuno degli amici pareva essersi accorto di lei e della sua ferita; gli sguardi di tutti erano concentrati sulla figura del Sacerdote di Bes: Osor era chino al suolo sopra un mucchietto di terra.         

Anche Nefer aveva lo sguardo fisso su di lui.Un ginocchio per terra, l’altro appoggiato ad una bassa sporgenza il giovane prete della più misteriosa Divinità della necropoli di Tebe stava bagnando la sabbia con l’acqua del piccolo otre di pelle che portava sempre legato in vita.
Con gesti rapidi e precisi le dette volume e consistenza e quando il mucchietto informe ebbe preso la sagoma di un leone di sette o otto pollici, Osor lo irrorò con le ultime gocce dell’otre.
A questo punto, intonò una cantilena struggente, modulata e dolce: la “giusta voce” che solo un sem, sacerdote esorcista di grado elevato, conosceva ed era capace di impostare.
Nefer guardava in silenzio e l’orecchio  seguiva frastornato i suoni incomprensibili delle He-Kau, le Sacre Parole dell’incantesimo: il deserto, le rocce e il cielo, parevano rinviarne i suoni e gli accenti misteriosi
La piccola sagoma di sabbia cominciò ad oscillare; i granelli vibrarono, si mossero, poi si unirono in una massa compatta ed omogenea. Una miriade di piccole scintille, che parevano prendere vita direttamente dall’aria e dal riverbero rovente del suolo, formarono un’aureola che circondò il piccolo simulacro di leone e colui che l’aveva creato.
Quando Osor ebbe pronunciato l’ultima parola, un leone dalle straordinarie proporzioni fisiche, palpitante di vita, balzò fuori dall’alone di luce trasparente.
Un potente, terrificante ruggito riempì l’aria e raggelò il sangue nelle vene; i soldati smisero di tirar frecce e fuggirono spaventati.
“Che prodigio è mai questo?”  “Via… via! Scappiamo!”  gridavano.
IL gruppo di amici arretrò sparpagliandosi; il principe Xanto appariva il più turbato:
“La tua magia, amico Osor, supera di gran lunga quella di ogni altro mago!” continuava a ripetere.
“Neppure il mago Vebaoner, avrebbe potuto reggere il tuo confronto, amico mio.” assentì il principe Thotmosis con il tono di chi si sente fortunato.
“E neppure l’ebreo Mosè, che guidò la rivolta di alcune tribù del popolo degli Ibrihim contro il nostro beneamato Faraone, fece mai tanto.” gli fece eco la voce del giovane Amenemhat, allievo di Thot.
“Non conosco questo Mosè. – confessò il principe troiano – Era un guerriero del Popolo di Mare?”
“No! – interloquì Ankheren – Al cospetto di Meremptha, nostro beneamato Signore, Amato di Ptha, il potente mago Mosè voleva mettere in mostra la potenza del suo Dio: trasformò in serpente il suo bastone, facendogli divorare quelli in cui  i maghi d’Egitto avevano trasformato i propri, ma… quel magico serpente svanì come nebbia al sole quando lui – l’allievo di Ptha indicò il prodigioso prete di Bes – lo toccò con l’indice della sua mano destra.”
Il rumore di cavalli in arrivo, mentre Enen minacciava i soldati in fuga, attirò l’attenzione del ragazzo.
“Sentite? – disse - Zoccoli di cavalli. Deve essere il principe Sekenze.”
Enen, intanto, continuava ad urla ed inveire:
“Tornate indietro, stupide donnette… Non fuggite come gazzelle impaurite… E’ solo un trucco!… E’ solamente un trucco…”