DJOSER.... Il Magnifico
Secondo Sovrano della III° Dinastia può essere, in verità, considerato il vero fondatore per aver condotto il Paese verso uno dei periodi più illuminati di tutta la storia d'Egitto.
Il nome Djoser o Zoser, ossia il Magnifico, gli fu dato più tardi, forse durante il Primo Impero; il suo vero nome era Neterierkhet che all'incirca significa "Sacro per eccellenza".
Il suo nome è legato soprattutto a Sakkara ed all'imponente Piramide a Gradoni, opera del multiforme ingegno di Imhotep.
Di certo l'Egitto era un Paese già unito quando egli salì al trono, poiché la costruzione di un'opera così colossale fu tale da richiedere la partecipazione di tutto il Paese e non sarebbe stato possibile altrimenti.
Sappiamo poco di lui, ma di certo si sa che era un uomo saggio e colto; ha perfino lasciato degli Scritti Sapienziali, utili per futuri Sovrani. Ed era autoritario, ma giusto, come si conveniva ad un Re-Dio e la sua memoria fu onorata fino al Tardo Impero.
Sappiamo, grazie ad una iscrizione rinvenuta nello Wady Hammamat che inviò spedizioni in Siria, di cui sfruttò le miniere di rame e sappiamo che tenne lontano dai confini, le orde di nomadi del deserto.
Di certo fu Djoser a trasportare la capitale a Memfi, facendone una città splendida e degna degli epiteti con cui era conosciuta: La Città dal Muro Bianco, Memfi la Bella, Memfi la Prospera, ecc.
Ma fu sotto il suo regno che si verificò un episodio che sembra appartenere più alla leggenda che alla storia e che con molta probabilità ispirò il biblico episodio di Giuseppe.
Si parla di una terribile siccità che avrebbe colpito per sette lunghi anni il Paese. Se ne parla in una stele d'epoca Tolemaica, forse in occasione di uno dei tanti eventi che periodicamente colpivano il Paese.
E' il racconto di un Sovrano afflitto per la sofferenza, le disgrazie e i disagi in cui versa il suo popolo; da sette anni, infatti, l'Egitto é in preda alla miseria.
"... i bambini piangono, i vecchi aspettano la morte, perfino ai più forti vengono meno le forze.. - si lamenta Djoser - I battenti dei Templi si chiudono e il culto agli Dei non viene più praticato..."
Non resta che chiedere responsi all'oracolo di Thot e il Sovrano invia emissari ad Herancopolis dove i sacerdote del Divino Ibis, consultati i Testi Sacri, riferiranno al Re la risposta.
Ed ecco la risposta: Khnum, il Divino Ariete, - riferiscono i messaggeri - tiene i Sacri Sandali appoggiati alle acque del Nilo nell'Isola Elefentina, dove ama dimorare e solo quando li solleverà, l'acqua tornerà a fecondare la terra.
Djoser - riporta ancora la stele - capisce che il Dignore delle Acque vuole essere onorato e questo egli fa : lunghe processioni sulle rive del Nilo, canti e preghiere, doni e sacrifici. E Khnum gli appare in sogno e gli promette che toglierà i Sandali dalle acque.
Djoser si sveglia e il miracolo si compie: il grano torna a germogliare e la terra a rinverdire e il popolo é nuovamente felice: la saggezza e la devozione del Re hanno riportato l'abbondanza ed allontanato la miseria e la fame.
Il Re ha mostrato di essere l'intermediario tra uomini e Divinità.
L'opera più importante legata a questo Sovrano, però, é sicuramente la Piramide a Gradoni: una vera città-labirinto sulla cui funzione, però e complessa disposizione si continua a discutere. Così come si discute o più esattamente si é cominciato a discutere, sull'unità strutturale della Piramide.
L'intero complesso é stato davvero costruito a più riprese? Una mastaba e due successive modifiche? Sono in molti, tecnici e studiosi, che mettono in dubbio questa teoria, asserendo, invece, che la grande opera abbia seguito il progetto iniziale.
Soprattutto ci si interroga ed a ben ragione, su quella che appare come necessità di cambiamento del progetto iniziale. Quasi una correzione.
Ma é plausibile che l'immenso genio di Imhotep abbia conosciuto incertezze, tentennamenti e necessità di modifiche? Crederlo é davvero difficile! Pensare d una correzione é addirittura impensabile.
D'altro campo, nemmeno Djoser era uomo indeciso. Non é così che ci appare raffigurato nelle statue del serdab (saletta, nelle tombe, contenenti statue del defunto). Egli ci appare ieratico e sicuro; l'espressione grave e consapevole, propria di colui che rappresenta il mediatore in terra tra Dio e Uomo.