Fra tumuli e fosse, Djoser si aggirava trascinando uno slittino, Avanzava a fatica, ma determinato. Avanzava solitario, perché in quella parte del cimitero le guardie avevano poco da proteggere. E avanzava silenzioso, essendo, lo stridore dello slittino contro i sassi, il solo rumore.
Due enormi roditori gli sfrecciarono davanti facendolo sobbalzare.
“Djet h Neheh!.. come dice l’amico Mosè. – proruppe, lanciando una rapida occhiata intorno – Topi così grossi e ben pasciuti metterebbero in fuga il più famelico dei gatti… Coraggio, Djoser… Non lasciamoci distrarre dal nulla.”
A circondarlo era davvero il Nulla, poiché non c’era alcun rumore: inutile tendere l’orecchio per sorprenderne uno qualsiasi: un bisbiglio, un sussurro. Nulla. Neppure il rumore dei granelli di terra smossi dall’aria. Ed era veramente solo. Solo in mezzo a pietre che evocavano storie di vite vissute; pietre che raccontavano la pietà di uomini verso altri uomini. Pietre misere, forse, ma capaci di proteggere il Grande Mistero: la partenza da questo Mondo per
il Mondo-di-Sotto.
Già una volta si era trovato in una circostanza simile. Era consapevole di ciò che stava facendo e dei rischi che stava correndo. E non era il castigo degli uomini che temeva; di ben altra sostanza era il suo disagio, perciò cominciò a recitare:
“Voi che fate entrare le Anime-Bau nella dimora di Osiride,
fate entrare con Voi l’Anima-Ba di Nsitaten.
Voi, che aprite i Cammini per Osiride…”
Un soffio leggero gli sfiorò il collo; rabbrividì, ma proseguiì:
“Oh Unico, che Ti alzi nella Luna, salute a Te.
Che a Nsitaten siano sempre aperte le Sekhet della Duat...”
“Djoser…”
Una voce lo sorprese alle spalle; deglutì a fatica e arrestò immediatamente il passo, andando ad inciampare contro una sporgenza del terreno. Riuscì a conservare l’equilibrio, ma il respiro divenne rapido e veloce come l’ansimare di una bestia in trappola.
Il riflesso della luna sullo spigolo della grande Piramide del faraone Khufu gli illuminò la faccia: non aveva bisogno di frugare nella mente per riconoscere quella voce.
“Madre…” invocò; l’orizzonte davanti a lui era livido e i suoi occhi lo sfiorarono sgomenti.
“Non spaventarti, figlio mio adorato... Sono qui. Dietro di te.”
Djoser si girò, tremante della più violenta emozione: dietro di lui, attraversata dal timido bagliore della luna, vide la figura evanescente di sua madre Nsitaten.
Non era l’immagine luminosa che gli era apparsa alla Laguna-della-Doppia-Fiamma, nel Mondo-Di-Sotto, quando gli era venuta incontro insieme al maestro Pthahotep, ma era sempre giovane e bella. Così come la ricordava: la madre più bella del mondo.
Stava immobile di fronte a lui, con sguardo amoroso. Verdi bagliori partivano dall’amuleto Uay, in porcellana smaltata e a forma di papiro, che le pendeva sul petto. Glielo aveva messo al collo il padre prima di chiudere il suo corpo fra le bende per assicurarle vigore ed eterna giovinezza.
Djoser lo fisso terrorizzato.
“Non aver paura, figlio adorato. – lo rassicurò la figura evanescente, chinandosi a soffiare sulle dita dolenti, così come faceva quand’era bambino e si sbucciava un ginocchio – Non ti arrecherà alcun danno. Non può nuocere ad un puro di cuore e tu, figlio mio, sei puro come il respiro della Celeste Nut.”
“Ma... – replicò il ragazzo – sembra di fuoco.”
“Era di fuoco. – spiegò sorridendo il fantasma di sua madre – Era una fiamma divorante quando ha contrastato le malvagie intenzioni del Distruttore-di-Cuori.”
“Hai incontrato il Distruttore-di-Cuori?” s’impressionò Djoser.
“Oh! – sorrise lei, nel modo più celestiale che il ragazzo immaginava si potesse sorridere – Il Ka di tua madre attraverserebbe le lande più desolate del Mondo-di-Sotto e anche del Mondo-di-Sopra ed affronterebbe Demoni e Spiriti malvagi per poterti vedere anche un solo istante.”
“Il tuo Ka? – la interrupe il ragazzo – Non capisco, madre.”
“Questo che vedi davanti a te, figlio mio, non è il Corpo-di-Gloria di tua madre. Non è il Glorioso-Akh che hai incontrato allo Stagno-di-Fuoco, Di-Sotto. Quello è rimasto laggiù. Questo che vedi è solamente lo Spirito di tua madre.”
“Che cosa ci fa lo spirito della mia adorata madre fuori della tomba? E’ in cerca d’acqua e cibo? Le ultime offerte deposte non erano sufficienti alle tue necessità? Quale figlio snaturato lascerebbe girovagare lo spirito di sua madre in cerca di cibo?”
“Oh!... Il mio Akh vive felice nei Giardini-di-Osiride. Non gli manca nulla. Nè cibo, né acqua e neppure fiori, che rallegrano la vista. - il fantasma di Nsitaten ebbe un sorriso che le riempì lo sguardo di faville - E non manca nulla neppure al mio Ka, che vive nella nuova dimora, grazie a te, figlio mio, Anima della mia Anima!”
“Oh! – proruppe Djoser – Avrei voluto essere io a chiudere i tuoi occhi quando il soffio di Anubi ha toccato le tue palpebre, madre…” s’interruppe per trattenere un singhiozzo.
Il fantasma di Nsitaten sorrise ancora.
”Non ero da sola. Tuo padre era con me ed ora che anch’egli mi ha raggiunto, ogni giorno noi due varchiamo insieme i Cancelli di Geb per venirti incontro.”
“Oh, madre mia. – la interruppe Djoser – Io voglio che voi due siate uniti anche qui, come lo siete nel Mondo-di-Sotto.”
“Lo sai, figlio mio! Queste sono le leggi stabilite dagli Dei: la hut-ka, in questo Mondo, per accogliere il corpo e i Sekhet-Jaru, nell’Altro, per accogliere i Corpi di Gloria.”
Djoser non la lasciò proseguire.
“E’ una cosa che tuo figlio non può più accettare, madre. Il giorno in cui lasciammo Sais, fu perché il caro padre sentiva avvicinarsi il tempo stabilito per lui dagli Dei e voleva che la morte lo ricongiungesse alla tanto amata compagna della sua vita. Quel giorno, madre mia, io giurai a me stesso che nessuno mai, su questa terra, avrebbe tenuto separati i vostri corpi.”
Nsitaten ebbe un lungo sospiro.
“Vengo qualche volta a fare visita alla casa-eterna che tuo padre preparò per il mio corpo-sahu, qui nella necropoli…”
“Il maestro voleva per te una casa più dignitosa.”
“Lo so, figlio mio. Lo so! Non angosciarti per questo.”
“Ero un bambino, allora, – Djoser scosse il capo - ma ora molte cose sono cambiate nella vita di tuo figlio, madre, e…”
“Oh, Djoser, figlio adorato, non vorrai fare qualche pazzia?”
“Io voglio solo riparare all’ingiusta sorte che il Destino ha riservato ai miei genitori: da questa notte non vi mancherà nulla, là dove andrete a vivere insieme.”
Un luccichio comparve negli occhi del fantasma di Nsitaten, quasi di pianto. Così luminoso, così carico di splendore, che perfino il riflesso della luna, restituito dalla superficie abbagliante della piramide di Khufu, alle loro spalle, pareva un timido bagliore.
“So che cosa vuoi fare, figlio mio. So, che cosa stai facendo… e te ne sono grata. Te ne siamo grati tutti e due, io e tuo padre, ma io sono qui per pregarti di rinunciare dal tuo proposito, che è lodevole ma pericoloso....Oh, Djoser, piccolo mio, io devo andare… Vorrei restare per convincerti a non fare pazzie, ma non posso fermarmi. La Dea-del-Silenzio mi chiama. De … devo an... anda…”
Prima ancora di terminare le sue parole, lo spirito di Nsitaten si dissolse nell’ombra.
“Madre…” cercò invano di trattenerla il ragazzo, con lo sguardo lucido di lacrime non trattenute.
(continua)
brano tratto dal libro di Maria Pace: "DJOSER e i Libri di Thot"
SOCIETA' EDITRICE MONTECOVELLO
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