Era un giovane. D’aspetto bellissimo, il volto era così radioso che per un attimo Djoser dovette chiudere gli occhi. Quando li riaprì, vide una testa che si levava nobile e dritta su un collo taurino e un volto ovale e bruno che pareva scolpito nel basalto. L'espressione era timida e dolce. Straordinariamente dolce. Lo sguardo, però, penetrante ed ardente, irrequieto come quello di un giovane toro, fiammeggiava, simile a oro fuso dai cangianti riflessi turchesi. La fronte, piatta e marmorea, si allungava verso il sincipite dove si inserivano due corna arcuate, levigate e lunghe; una stupefacente macchia bianca campeggiava al centro della fronte.
"Hapy!” sussurrò Djoser; quella presenza non gli ispirava alcun sentimento di paura.
"Divino Hapy, Alfiere di Ptha il Creatore – salutò -
Omaggio a Te che scendi dal cielo e dai da bere alla terra.”
“Djoser, Figlio della Terra. Abbandona tutto quanto ti lega al Mondo-di-Sopra. – la voce del Hapy gli penetrò il cervello -Trattieni qui il tuo Corpo e lascia lo Spirito libero di andare oltre gli Orizzonti-Inviolabili-del-Tempo.”
Djoser sollevò lo sguardo e incontrò quello del Signore del Nilo, turchese, magico e carico di splendore.
Stava sognando? Sotto i sandali non sentiva più il selciato del pavimento, ma nuda terra. Dov’era? Gli pareva di non aver mosso piede eppure era certo di trovarsi in un altro posto. E Hapy? Era anche Lui frutto del suo sogno? Era certo di no, com’era certo di avere già incontrato il Signore del Nilo nel suo aspetto umano.
Un ricordo nitido e chiaro riemerse dalla bruma del tempo infantile. Aveva due o tre anni e stava giocando sul greto del fiume, dietro casa, con l’amichetto del cuore: Amosis, Sikty, Neferptha... Sikhty. Forse Sikthy. Non ricordava con assoluta certezza il suo nome. Ricordava invece che era molto divertente raccogliere ciottoli e vermi sul greto del fiume che il ritiro delle acque lasciava scoperto. Divertente, ma pericoloso. Solo qualche metro più in là, le acque sprofondavano tanto da minacciare di inghiottirli. Proprio ciò che accadde quel giorno.
La voce di Hapy tornò a risuonargli nella mente.
“Risparmia animo e cuore per le prove che ti attendono, ma abbandona ogni paura, o Sa-ta, Figlio-della-Terra, e segui con
fiducia i passi della tua Guida.”
"Sono pronto a seguirti." disse Djoser e perfino la propria voce gli parve un grido che squarciasse il silenzio arcano ed immobile che era intorno a lui e dentro di lui, rotto soltanto dagli sguardi sfolgoranti del Dio. Era sempre fermo, i piedi sempre radicati nel suolo, eppure provava la stessa sensazione di quando scivolava lungo i budelli della Piramide di Khufu.
“Non sono Io la tua guida.” lo sorprese Hapy scuotendo il capo e
facendo fremere l’aria; la miriade di lucenti corpuscoli presenti
nell’aria, parevano scintille impazzite.
“Sarà Lui a guidarti fino alla prima delle Sette Arrit della Duat.”
Fu solo in quel momento che Djoser avvertì una seconda presenza nella stanza e sentì un soffio alitargli sul collo con il bruciore di una fiamma. Capì subito, senza nemmeno voltarsi, che si trattava di Anubi.
Si girò, con animo lieto e gioioso, ma precipitò nello sgomento: l’aspetto del Signore delle Tenebre-Profonde non era quello a lui familiare, gioviale ed un pò ironico. Non era l’aspetto amabile e cortese del compagno di giochi, del maestro sempre indulgente. Il sembiante di Anubi era simile ad una fiamma minacciosa. Gli occhi verdi ed incandescenti parevano pronti ad incenerire, denti e zanne a lacerare, mani ad artiglio a squartare.
Terribile ed Implacabile. Ecco il vero aspetto di Anubi. Così come lo aveva “visto” comparire davanti al principe Kabaef prima che gli succhiasse la vita con quello sguardo tremendo.
Terrorizzato, il ragazzo si girò verso Hapy, ma il Signore del Nilo non c’era più; al suo posto era rimasto un intenso profumo di loto e papiro e una miriade di scintille sempre più trasparenti.
Djoser balbettò qualcosa, ma la mano ad artiglio di Anubi lo toccò sulla spalla e la paura scivolò via dal suo spirito, come l’ombra del pomeriggio sulle case. Il ragazzo abbassò lo sguardo e nel breve battito di ciglia, che a lui parve lungo quanto l’Eternità, la Tenebra si squarciò davanti ai suoi occhi sollevando il primo velo dei Grandi Misteri di Ptha: la Gola del Ro-Stau, la grande Porta dell’Oltretomba.
Djoser la fissò irrigidito dalla paura. Il braccio di Anubi lo guidò e il ragazzo comprese la ragione per la quale lo Sciacallo Divino aveva assunto quel terribile aspetto: tre Demoni, armati di mannaie e coltelli, terrificanti a guardarsi, stavano venendo loro incontro per impedire l’accesso a quella Soglia.
Erano i Sorveglianti del Ro-Stau e al cospetto del Signore del Cammino-Nascosto, pur tra mugugni ed invettive, indietreggiarono. Prima di lasciarlo passare, però, per le Leggi che regolavano il Mondo-di-Sotto, pretesero di conoscere il
nome del pellegrino e che egli pronunciasse il loro, con la giusta intonazione.
Anubi fece un cenno affermativo del capo e il ragazzo recitò:
“Sono Djoser, figlio di Pthahotep, architetto di Ptha. Il mio ren è: Colui-che-esce-dai-papiri.”
“Da dove vieni?” chiese l’Araldo.
“Dalla terra di Ineb-Heg, il Muro Bianco di Memfi.”
“Che cosa sei venuto a fare qui?”
“Sono venuto per conoscere i segreti della Duat. Aprite il Ro-Stau e lasciatemi entrare. – ordinò - Io non sono arrivato qui impuro, ma provvisto di magia e conosco i vostri nomi: Mades è il tuo nome, Heri-sep è quello del tu compagno e tu sei Babi.”
I demoni abbassarono subito asce e mannaie e il grande portale si spalancò con un fragore assordante che lo fece trasalire, nondimeno, si apprestò ad oltrepassare la Buca del Mistero. Con un certo disagio, per la verità: il disagio del distacco che la Terra avverte quando la zappa le stacca una zolla dalla crosta. Era come se il suo essere si fosse scisso e parte di sé fosse rimasta fuori di quella Soglia. Non dolore fisico, ma piuttosto un disagio dello spirito per la perdita di qualcosa. Comprese di aver lasciato su quella Soglia la prima delle “identità” che componevano il suo essere umano: il ren, il nome segreto.
Un’altra delle identità era il Ka, lo Spirito. Era simile al djet, il corpo fisico, di cui era la copia esatta. C’era poi il Ba, l’Anima, che era la parte più intima dell’uomo. E c’era la Shut, l’Ombra. Infine c’erano l’Ib e l’Akh, il Cuore e il Corpo di Gloria. Sette, in totale, e lui provava quel senso di perdita che si avverte quando si smarrisce qualcosa di prezioso e vitale.
Che il ren fosse una questione molto importante per la creatura umana, Djoser lo sapeva assai bene. Vitale, per la verità, dal momento che neppure gli Dei potevano farne a meno. Non avere un nome equivaleva a non esistere. Possedere il nome segreto di un’altra persona