*********************
La corte era in fermento: un torneo in onore degli ospiti.
Tutto era pronto da giorni nello spiazzo che si stendeva davanti al castello. Il terreno era stato recintato da una palizzata ed a metà del perimetro erano state sistemate alcune tende ornate di pennoni e frange colorate; davanti ad ognuna di loro c’era lo scudo del cavaliere che avrebbe partecipato al torneo.
Uno scudo bianco con bordo colorato di rosso e con al centro un’Aquila Reale, posava davanti alla seconda tenda: era lo scudo di Abelardo, Campione della principessa Teodolinda.
Sul lato opposto erano state sistemate le tribune per gli spettatori; un piccolo palco sopra un poggio era il posto d’onore e vi avevano preso posto il Duca, la principessa Teodolinda e i suoi ospiti longobardi.
Il torneo ebbe inizio.
Per primi entrarono in campo gli araldi i quali spiegarono le modalità della gara. Proclamarono i nomi dei quatto Campioni: Agililulfo, Gundebaldo, Teobaldo e Abelardo, Campione della principessa.
Ogni cavaliere presente poteva lanciare la sfida ai Campioni ed alla fine della giornata, quello tra i cavalieri che avesse spezzato quattro lance, sarebbe stato nominato Campione del Torneo ed avrebbe ricevuto in dono uno splendido cavallo.
I Cavalieri dovevano scegliere i colori della dama a cui volevano dedicare la vittoria, portando sul cimiero i nastri da lei ricevuti.
Ritiratisi gli araldi, entrarono i Cavalieri e la gara ebbe inizio.
I quattro Campioni, armati di tutto punto e chiusi nelle splendide armature, avanzarono nel campo. Giunti sotto il podio si fermarono per rendere omaggio al Duca ed alla principessa poi, al suono di tamburi, raggiunsero la loro postazione nella parte nord del campo. Gli sfidanti, invece, si allontanarono verso la parte sud.
Al segnale delle trombe, cessati i tamburi, i due gruppi mossero l’uno contro l’altro.
Nel primo scontro rimasero disarcionati tre cavalieri; i cinque superstiti, due sfidanti e tre campioni, tornarono alla loro postazione.
A sfidare il Campione che aveva vinto l’avversario si presentò un nuovo sfidante e il secondo attacco ebbe inizio.
La folla, cavalieri e dame seduti sulle panche sistemate nelle tribune e il popolo assiepato lungo la palizzata, incitava i Campioni e gli Sfidanti con urla e lazzi.
I tornei erano gli svaghi preferiti dell’epoca sia da nobili che dal popolo; i primi l’associavano alla caccia ed al banchetto, i secondi agli avanzi dei quello stesso banchetto.
Al secondo attacco il Campione della principessa fu disarcionato. Seguì un grido di disapprovazione unanime, ma ecco che, mentre i cavalieri tornavano al loro posto, un nuovo sfidante si fece avanti: era il bell’ambasciatore longobardo.
Il giovane si fermò davanti alla principessa.
“Sarò il tuo Campione. – disse chinandosi – Combatterò per te in nome di Re Autari.”
Teodolinda si voltò verso il Duca che ebbe un sorriso compiaciuto: se un capitano di Autari mostrava per sua figlia tale rispetto, certo il suo Re avrebbe fatto ancora di più.
Con un cenno del capo acconsentì e Teodolinda porse al suo nuovo Campione i nastri colorati: bianco e rosso rubino.
Il giovane si allontanò e raggiunse il suo cavallo che uno scudiero reggeva per le briglie al limitare del campo.
Pochi attimi dopo raggiunse la sua postazione e il terzo assalto ebbe inizio.
Non ci furono perdenti e il numero dei contendenti rimase a tre contro tre.
Nel quarto assalto il longobardo ebbe ragione dell’avversario e così nel quinto e nel sesto e anche nel settimo.
Al nobile Guadaldo restava solo un ultimo scontro, ma non erano rimasti avversari: c’erano solo lui e l’altro Campione, il figlio del Duca.
Secondo le leggi della Cavalleria la postazione toccava al Campione del Signore di casa, ma la Cavalleria imponeva gesti di cortesia e così il Campione del Duca, che era nche suo figlio, gli cedette il posto e raggiunse la postazione degli sfidanti.
Il gesto fu salutato con uno scroscio di applausi.
Uno squillo di tromba, subito dopo, annunciò l’ultima gara e i due Campioni si lanciarono in avanti a spron battuto; l’urto delle lance, quando si scontrarono, rimbombò nella pianura con suono metallico e tonante.
Le due lance volarono in pezzi e i cavalieri ondeggiarono; parvero sul punto di cadere, ma ripresero l’equilibrio.
I cavalli s’impennarono, ma i Cavalieri ripresero ben presto anche il controllo su di loro.
Uno sguardo, un braccio levato e i due tornarono alle rispettive postazioni.
Nuove lance e nuovo assalto, ma questa volta il cavallo di Gundebaldo, il figlio del Duca, non resistette all’impatto. Si piegò sui garretti, poi cadde rovinosamente assieme al proprio cavaliere.
Il giovane longobardo saltò giù di sella, s’accostò al vinto e lo aiutò a rialzarsi e questi, toltosi l’elmo, gli fece un profondo inchino, dichiarandosi vinto.
Anche Guadaldo si scoprì il capo poi si avvicinò al palco, baciato dai raggi tiepidi del sole morente e chinò il capo biondo davanti alla principessa.
Teodolinda si alzò, discese i cinque gradini e s’accostò al suo Campione.
Guadaldo staccò dal cimiero i nastri colorati per cui s’era battuto e con mani leggermente tremanti li tese alla principessa che rispose con un sorriso.
Guadaldo stava per rialzarsi, ma:
“Aspetta. – lo fermò Teodolinda, sfilandosi un anello dal dito e porgendoglielo con gesro grazioso– Prendi. E’ per ingraziarti.”
Il giovane converse gli occhi in quelli di lei e la guardò così come si guarda un prodigio, poi prese l’anello e prima di infilarselo al dito lo portò alle labbra.
“Grazie a te, principessa. Lo custodirò come la più preziosa delle reliquie.”
******************************
Il corteo lasciò il Palazzo e si diresse verso la Cattedrale.
Le campane suonavano a festa e tutta la città era per strada; tappeti di fiori per terra e fiori che scendevano giù da finestre e balconi sulla portantina della sposa tirata da quattro cavalli bianchi montati da palafrenieri del Re.
Le campane della Cattedrale la accolsero suonando; profumo di fiori ed incenso.
Teodolinda varcò la soglia al braccio del fratello.
Era un po’ pallida.
Entrò nella navata.
Il suono delle campane restò fuori e l’accolse invece un coro celestiale di bambini.
A passo lieve si diresse verso l’altare tra due ali di volti sorridenti.
Sull’altare, di spalle, colui che stava per diventare il suo sposo l’aspettava insieme al prete che doveva celebrare; il cuore le tremava mentre, sempre avanzando, continuava a fissare le sue spalle, la figura salda ed atletica.
Avanzò ancora; solo due o tre metri la separavano da lui ed egli finalmente si voltò.
Teodolinda si arrestò; suo fratello si girà a guardarla.
La principessa fissava come incantata il suo promesso: re Autari, il suo Campione, il generoso cavaliere che si era battuto pe lei, il bell’ambasciatoe longobardo dallo sguardo audace.
Il cuore le batteva così forte nel petto che temette potesse egli sentirne i battiti; l’emozione la fece impallidire, arrossire e impallidire ancora.
Lo sguardo seguiva trepidante la figura di lui che si staccava dall’altare e veniva verso di lei, sorridente ed innamorato: Sentì le sue mani, forti e protettive, prendere le sue ed un brivido intenso le attraversò la schiena.
Le campane suonarono ancora, ma solo dentro di lei.
“Tu!” disse semplicemente.