La donna nella cultura biblica

La donna nella cultura biblica

 

Nel grande Libro Sacro dell'Ebraismo, il  Talmud, si legge  "Dio non ha tratto la donna dalla  testa dell'uomo perché lo dominasse,  né dai piedi perché lui dominasse lei, ma dal fianco perché stesse vicino al suo cuore."

Nella Bibbia, invece,  sono varie le voci che  definiscono la "donna  ideale. Nei "Proverbi", ad esempio,  la donna ideale é madre e sposa laboriosa e attiva: l'ultima a coricarsi e la prima ad alzarsi: Non invadente né fastidiosa "come la pioggia che ingrigisce il giorno"" o sfuggente "come l'olio che non si può tenere nell'incavo della mano". Diversa   è invece la donna del "Cantico dei Cantici" in cui si esaltano le qualità fisiche... ma che, in realtà, é soltanto un Poema.

I costumi familiari  nella cultura biblica erano senza ombra di dubbio improntati sul  Patriarcato. I nomi dei grandi Patriarchi sono noti a tutti: Abramo, Isacco, Giacobbe… Notevole rilievo viene, dunque, dato all’uomo nell’ambito della famiglia e assai meno alla donna. Bisogna, però, tener presente che il fondamento  del Patriarcato aveva come fine la forza strutturale della tribù e la tribù poggiava sulla famiglia, nella quale la donna ricopriva soprattutto il ruolo di moglie e madre.

Ma vediamo nel dettaglio quella che era la condizione della donna biblica.
Non aveva alcuna potestà sui figli, essendo, questa, esercitata quasi esclusivamente dal padre.
Alla donna non era consentito  di divorziare dal marito; viceversa, questi poteva farlo in qualunque momento.Soprattutto in caso di sterilità: un difetto fisico imputabile solo alla donna e che l'uomo aggirava tranquillamente ricorrendo alla poligamia (ammessa ma contenuta per motivi economici).  Alla donna ripudiata veniva dato un documento che attestava la sua condizione di donna libera e la possibilitò di contrarre nuovo matrimonio, 

In verità, non mancarono voci contro questa usanza.Il profeta Malachia, ad esempio, farà dire a Dio: " Io detesto il ripudio

Rimasta vedova, la legge le permetteva di sposare il fratello del marito. (usanza  chiamata Levirato)  senza, però obbligo; obbligato invece era il fratello del defunto il quale in caso di rifiuto veniva tacciato di infamia.  I figli nati da questa unione, inoltre,  prendevano il nome del primo marito. Alla vedova era anche concesso di rstare nella casa del marito defunto e di riprendersi la dote che poi passava i figli maschi, in caso di mancanza alle figlie femmine e infine ai fratelli del marito defunto.

Ancora in ambito familiare, una figlia femmina rappresentava sempre  una preoccupazione  per il padre e il consiglio era di mostrarsi in pubblico  riservata e  coperta di veli 

In caso di necessità (e talvolta anche senza tale esigenza) il padre poteva vendere la figlia come concubina… consolante, però, sapere che a questo padre (sempre in caso di necessità) veniva concessa la facoltà di vendersi anche i figli maschi…

Qualcosa di buono per la donna?… sembra che la somma versata dallo sposo per procurarsi una moglie, restasse a lei, invece che aggiungersi al patrimonio dei nuovi parenti.
Qualcosa di simile accadeva anche alle donne romane, specialmente in epoca imperiale, le quali seppero farne buon uso (come vedremo in seguito) per affrancarsi (i primi tentativi, in verità) da secolari tradizioni.