Verso il tramonto dell’ultimo di quei giorni, una lettiga si fermò davanti alla casa del nobile guerriero Sushin. Portava le insegne reali dei Faraoni di Tebe.
Ne discese una donna velata che chiese dei padroni di casa e quando fu ricevuta, con gli onori che competevano al suo rango, la donna si mostrò in volto: era Nefrure.
Una scorta di soldati egiziani l’accompagnava.
“Tu? – esclamò Subad, cerea in volto, indietreggiando – Che cosa cerchi nella casa del nobile Sushin?”
“Vengo a riprendermi ciò che è mio!” sibilò la giovane donna.
“Una schiava non possiede null’altro che il nome con cui è chiamata e…” le alitò in faccia Subad, ripresasi dalla sorpresa, ma Nefrure la interruppe, altera e distaccata.
“Non si può tener schiavo il sangue reale a lungo. – rispose - Io sono Nefrure, principesa di Tebe, fatta prigioniera dai Gutei e venduta a tuo padre… ma non sarei rimasta a lungo nella condizione di schiava… - si girò verso l’ufficiale che comandava il drappello di soldati – Il Signore d’Egitto avrebbe mandato un riscatto, se tu, ubbidendo al tuo cuore malvagio, non mi avessi scacciata… Ma ora sono qui e reclamo diritti.”
Sushin si fece avanti con le braccia tese.
“Nefrure, mio dolce fior di loto! – sorrise, increduto e felice - Amica dei miei sogni, compagna dei miei desideri… Nefrure…”
Ma Nefrure, principessa di Tebe, ricusò l’abbraccio.
Subad guardava il marito.
“Hai dimenticato presto il tuo dolce fior di loto!” disse in tono di profondo rimprovero colei che era stata schiava.
“Ti ho cercata a lungo, Nefrure, ma mi accorgo di averti cercata nei posti sbagliati. Oggi andrò a sacrificare e Ningirsu perché ti ha ricondotta a me proprio nel giorno della sua festa.”
“Andrò via come sono giunta, – continuò con amarezza la giovane principessa di Tebe – ma porterò con me il frutto del mio seno.”
“Troppo tardi!” esclamò trionfante la perfida Subad.
“Non è troppo tardi. Il funzionario di re Gudea è con me per assicurarsi che tutto avvenga secondo la Legge e la mia scorta è qui per proteggermi… Ridammi mio figlio, Subad.”
“Nefrure, cosa dici? – proruppe Sushin – Di quale figlio parli?”
“Di Menkaura, che lei – Nefrure puntò l’indice accusatore contro la donna – che lei chiama Assur e pretende essere suo figlio, ma che è carne della mia carne.”
“Troppo tardi, Nefrure. – scandì Subad con negli occhi quello scintillio di cattiveria che la principessa Nefrure conosceva assai bene – Tuo figlio è morto!”
“No! No!” gridò la povera Nefrure.
“Subad… ma che cosa stai dicendo?”
Anche quello di Sushin era un urlo.
“Che Assur non era del mio sangue, ma del tuo e del suo.” e perfino quello di Subad era un urlo. Ma di rabbia.
“Che tu sia maledetta!” gemè Nefrure cadendo in ginocchio; sul suo bel volto, l’espressione di pronfondo, inatteso dolore aveva cancellato tracce di ogni altro sentimento. Udì la voce del funzionario del Re che ordinava:
“Sia portata via questa donna e subisca il castigo per tanta colpa.”
La donna si lasciò trascinare senza opporre resistenza; alle spalle le giunse la voce dell’uomo per amore del quale aveva fatto tanto male.
“Vieni, Nefrure. – Sushin si era chinato sulla principessa e l’aiutava a rialzasi – Andiamo a piangere sulla tomba di nostro figlio. Per molto tempo ho pianto da solo, ma se tu vorrai…”
“Sushin… - Nefrure sollevò lo sguardo in volto all’uomo che amava – Credevo che mi avessi dimenticata,”
“Non potrei mai dimenticare il mio dolce fior di loto… Vieni… Andiamo! “ e con estrema delicatezza, il giovane guerriero le asciugò con le dita le lacrime che le solcavano le guance.