La Stele di Rosetta

La Stele di Rosetta
Possiamo dire che la scoperta della stele di Rosetta fu fondamentale nela decifrazione dei geroglifici egizi.
 

Fu rinvenuta ad El Rashid (Rosetta, per l’appunto), un piccolo villaggio su Nilo a qualche chilometro dal Mediterraneo.
Lo straordinario reperto, una spessa lastra di pietra nera della misura di 174 cm di altezza per 72 cm di larghezza, fu rinvenuta dai francesi, ma cadde presto nelle mani degli inglesi con cui proprio in quel territorio si facevano guerra.
Fu donata da re Giorgio III al British Museum di Londra, dove si trova ancora oggi.
Napoleone, però, grande estimatore della civiltà egizia, comprese immediatamente il valore di quella misteriosa pietra nera, appena gli ufficiali del suo Stato Maggiore gliela mostrarono; fece arrivare due esperti da Parigi ed ordinò alcune copie.

Una di quelle copie si trova oggi al Museo Egizio di Torino e fu studiando quello straordinario reperto che il francese  Francois Champollion, (di cui parleremo in altra sede) ne decifrò il contenuto.
Occorsero trenta anni dal suo rinvenimento, però, prima di riuscire a decifrarne le misteriose scritte, ma il grande studioso ed egittologo francese non riuscì mai a vedere l’originale.

 

                
 

Che cosa c’è scritto su quelle pietra? E come riuscì, il geniale ed appassionato egittologo francese a trovare la chiave di decifrazione dopo che per trenta anni insigni studiosi, tra i quali il suo stesso professore, Silvestre Sacy, tentarono invano?

In un ordine di tre registri, ognuno dei quali in una lingua diversa: Geroglifico, Demotico e Greco, sta scritto quanto segue:
“… Tolomeo, Colui che vive in eterno, l’Amato di Ptha, il Dio Epifani, Eucaristicus, il Figlio del re Tolomeo e della regina Arsinoe, Filopatore degli Dei.
Molto bene egli ha fatto ai Templi ed ai loro abitatori ed a tutti i sudditi suoi, poiché è un Dio, Figlio di un Dio e una Dea, come Horo, Figlio di Osiride, che ha protetto suo Padre.”

Si tratta, dunque, di un Decreto dei preti di Memfi, risalente al 196 a.C., in cui si riconosce al faraone Tolomeo V il merito di aver ristrutturato il Tempio di Ptha a Memfi.

1419 sono i Geroglifici, distribuiti in quattordici righe ed incompleti; il testo Demotico, invece, pressoché intatto, è distribuito su 32 righe; le parole in greco, infine, sono 486, distribuite su 56 righe.

Genio e costanza permisero al giovanissimo studioso francese di raggiungere quel risultato inseguito da decine di colleghi più o meno illustri. Fu soprattutto l’intuizione, però, a guidarlo verso il successo ed alla interpretazione di quei segni misteriosi: l’intuizione che i segni dei geroglifici avessero anche un valore fonetico.

In realtà, un altro grande  studioso fu ad un passo dalla soluzione: l’inglese Thomas Young, che già prima di Champollion aveva  intuito la relazione tra la scrittura greco-copta e i geroglifici.
Una sola certezza: si trattava di un unico testo scritto in tre lingue diverse.
All’inizio, decifrarlo sembrò impresa facile.
In realtà, occorsero più di trenta anni e il genio multiforme di Champollion.
Occorsero tanti anni a causa di un errato presupposto. Il testo in greco, infatti, era leggibile e traducibile e, giustamente, si supponeva che le altre due scritture avessero lo stesso contenuto. Siccome, però, si era convinti che la scrittura egizia fosse esclusivamente ideografica, le varie decifrazioni degli altri due testi, risultarono assai fantasiose e, a dir poco, bizzarre.

Poco più di 20 anni, invece, ci vollero all’inglese Young per riuscire a decifrare un nome: quello del faraone Tolomeo.
Era scritto all’interno di un cartiglio inciso su un obelisco di un Tempio sull’isola di File.

Ma fu soltanto dieci anni più tardi e fu servendosi proprio di quella prima decifrazione che Champolliom riuscì a decifrare il cartiglio della regina Cleopatra: i due nomi, Tolomeo e Cleopatra (presenti sia sull’obelisco che sulla stele), contenevano diversi segni in comune.

Partendo da quei segni e confrontandoli al demotico (scrittura assai più fluida e lineare) ed al greco, Champollion riuscì a trovare la corrispondenza tra i diversi gruppi di segni (figurativi, simbolici, fonetici) ed a tradurre finalmente la “Scrittura Sacra”.
La conoscenza della scrittura geroglifica, infatti, s’era persa da quasi due millenni.